Thierry Henry ci mancherà. E non perché, quando un giocatore si ritira dopo 411 gol in oltre 900 partite, l’omaggio è d’obbligo. Henry ci mancherà perché era un giocatore fuori dagli schemi, non classificabile: attaccante centrale, ma pure esterno, e poi prima o seconda punta? L’abbiamo visto in avanti al fianco di Bergkamp, oppure reggere il reparto da solo, e ancora defilato sulla fascia a spartirsi il territorio nemico con Messi ed Eto’o. Chi era Thierry Henry? Non potremo mai saperlo, è questo il suo fascino. Aveva un tiro potente, il tocco vellutato, la giocata rapida, e poi il passo felpato. Riusciva in tutto, come se addosso gli avessero appiccicato una serie di personaggi e lui li avesse fagocitati tutti. Un po’ guascone, un po’ damerino, Thierry Henry, con il suo numero 14 sulle spalle, è stato soprattutto una gioia per gli occhi, la metafisica che diventa fisica, e i dieci gol che abbiamo scelto per raccontarlo ne sono la riprova più lampante. Come direbbe il suo vecchio allenatore Wenger, «Piuttosto che parlare di Henry, è meglio guardarlo».
1— Francia-Sudafrica 3-0 (Mondiali, 12/6/1998)
È l’estate del primo Mondiale vinto dalla Francia, quello di casa, superando in finale il Brasile per 3-0. Henry ha appena 21 anni, ha giocato solo tre amichevoli con i Bleus, eppure il ct Aimé Jacquet decide di inserirlo tra i convocati. Thierry, che allora vestiva la maglia del Monaco, giocherà tutte le partite della manifestazione (segnando tre volte), tranne la finale. Nel match inaugurale, contro il Sudafrica, va già in gol: prende palla sulla trequarti, si libera in velocità di un difensore e con un tocco sotto beffa il portiere avversario in uscita. È l’inizio di una storia d’amore lunghissima con la Nazionale transalpina: 123 presenze (davanti c’è solo Thuram con 142) e 51 gol (recordman). Due anni dopo, vincerà l’Europeo, con tre centri in cinque gare. E ci sarà la sua mano galeotta, contro l’Irlanda, nel gol di Gallas che regala la qualificazione della Francia ai Mondiali del 2010. Henry va ad esultare come se nulla fosse, come un certo Maradona 24 anni prima.
2— Arsenal-Manchester United 1-0 (Premier League, 1/10/2000)
L’Arsenal dei trionfi ha una sola faccia, ed è quella di questo francese nato ad una trentina di chilometri da Parigi, ma di origini caraibiche. Con i Gunners, dove ha militato per otto stagioni di fila (dal 1999 al 2007, più una parentesi di quattro partite nel 2012), Henry ha vinto due Premier League (2002 e 2004), tre Fa Cup (2002, 2003 e 2005) e due Community Shield (2002 e 2004). È stato Wenger a farne un attaccante puro, mettendone a frutto le qualità sotto porta. E pensare che, quando il tecnico francese glielo aveva comunicato, Henry aveva esclamato: «Ma io non sono bravo a segnare». In precedenza, aveva giocato soprattutto da esterno, ruolo che aveva interpretato anche nell’anonima parentesi con la Juventus (14 gare, 3 reti). In questo gol, Henry fa sfoggio della sua velocità d’esecuzione e del suo “terzo occhio”: riceve palla spalle alla porta, se la alza e con un movimento rapidissimo si gira e dalla distanza la infila all’angolino. La straordinarietà del gol la si riconosce anche guardando il difensore che lo marca e il portiere dello United: non hanno nemmeno il tempo di capire cosa sta facendo, che il pallone è già entrato nel sacco.
3— Arsenal-Tottenham 3-0 (Premier League, 16/12/2002)
Quando Maradona decise, nel Mondiale messicano, di far fuori tutta la Nazionale inglese e segnare un gol in solitaria, inventò un genere del gol tutto nuovo. Poi sono arrivati i Weah, i Kaká, i Messi, gli Henry, appunto. Ma se quella corsa di Maradona era sincopata, con Diego che danzava sul pallone, Thierry sembra volare e poi planare sul campo. La sua fuga non ha esitazioni, sin dall’inizio: gli arriva un pallone alto che lui addomestica con delicatezza, lo ammansisce ai suoi piedi, pur non frenando il movimento in avanti delle gambe. Poi si avventura verso l’infinito e oltre, resiste ad un avversario che prova a fermarlo, arriva al limite dell’area, effettua un gioco di gambe per disorientare gli avversari, ma lui e il pallone continuano ad incedere verso l’inevitabile, che arriva, con una staffilata di sinistro che il portiere degli Spurs non ha nessuna idea di come neutralizzare.
4— Arsenal-Liverpool 4-2 (Premier League, 9/4/2004)
Una caratteristica di Henry era quella di svariare molto e venire a prendersi palla sino a centrocampo. Situazione ideale per esibirsi nelle sue irresistibili progressioni palla al piede. Come in questa partita, contro il Liverpool: avversari messi fuori uso con una serie di accelerazioni e dribbling. L’ultimo, quello in area di rigore, è strepitoso: il difensore va da tutt’altra parte, barcolla come un ubriaco e finisce per scontrarsi con un suo compagno di squadra. Quando improvvisa queste giocate, dove schemi e tatticismi sono messi da parte, Henry ci riporta a una dimensione primordiale, quella delle partite tra ragazzi, in strada o su campetti in terra battuta. Prendere palla e andare verso la porta, sfidando tutta la squadra avversaria: come in quest’occasione contro il Manchester City, quando decide di irridere chiunque voglia rubargli il pallone. Un atto di arroganza che solo i più grandi possono permettersi.
5— Arsenal-Charlton 4-0 (Premier League, 02/10/2004)
Guardate cosa fa Henry quando va a esultare: ringrazia Reyes che gli ha recapitato il pallone. Eppure non c’è una cosa in questo gol che non sia suo. Lo ha creato lui, dal nulla, come solo i geni del football sanno fare. Novantanove attaccanti su cento avrebbero scaricato all’indietro, lui decide di difendere palla, controllare l’avversario alle calcagna, spiazzare lui, il portiere avversario e uno stadio intero con un colpo di tacco di rara potenza e precisione. Henry è il giocatore che ha segnato più reti nella storia dell’Arsenal, 227. A Londra sarà due volte Scarpa d’Oro (2004 e 2005) e vincerà per quattro volte la classifica capocannonieri della Premier League. Un segno indelebile nella storia dei Gunners che il club londinese ha omaggiato con una statua del calciatore posta nei pressi dell’Emirates Stadium. Quiil video in cui viene svelata la statua, alla presenza di un Henry commosso: «Nemmeno nei miei sogni più folli avrei immaginato una cosa del genere. L’immagine di questa statua è un esempio perfetto dell’amore che provo verso questo club».
6— Weiz-Arsenal 0-5 (Amichevole, 20/7/2005)
Un’amichevole in piena estate, contro una squadra austriaca di un comune di nemmeno 10.000 anime. Henry non cambia ruolo, copione, sceneggiatura, solo perché sta giocando in un angolo di terra sperduto tra le Alpi. Recita come sa, sia che si trovi in un teatrino vetusto di provincia, sia che si presenti su uno dei palcoscenici più prestigiosi al mondo. Senderos gli serve un pallone dalla lunga distanza e lui, anziché metterlo giù, decide di esibirsi in un numero da giocoliere. Stop di coscia, sombrero sul difensore con il destro, tocco morbido con il sinistro a scavalcare il portiere. Tutto al volo, tutto con estrema delicatezza, accarezzando il pallone.
7— Real Madrid-Arsenal 0-1 (Champions League, 21/02/2006)
Con i Gunners, Henry non riuscì mai ad imporsi in Europa. Ma il suo Arsenal era tra le squadre più temute: il miglior risultato fu nel 2006, quando arrivò in finale, salvo arrendersi al Barcellona per 2-1. Prima dell’epilogo di Parigi, l’Arsenal eliminò, nella fase ad eliminazione diretta, Real Madrid, Juventus e Villarreal. Fu proprio Henry a decretare il passaggio dei Gunners ai quarti e l’eliminazione dei galacticos con una rete stupenda, partendo dal cerchio di centrocampo. Colpisce, nella sua cavalcata, il fatto che Henry sia ignaro degli avversari. C’è solo lui e il pallone, chi prova a mettersi di mezzo (nell’ordine, Ronaldo, Mejia, Guti e Ramos) non ha nessuna possibilità di frenarlo. Henry vive in un’altra dimensione, nell’etereo degli onnipotenti del pallone, inavvicinabile.
8— Barcellona-Atletico Madrid 6-1 (Liga, 4/10/2008)
Chiusa l’esperienza nell’Arsenal, Henry giocherà per tre stagioni nel Barcellona, compreso l’anno dei record, il 2009: la formazione di Guardiola vince tutto, campionato, Champions League (l’unica per Henry), Coppa del Re, Supercoppa Europea e spagnola, Mondiale per club. L’anno dopo viene bissato il trionfo nella Liga. Messi ha confessato che, quando “Titì” mise piede per la prima volta nello spogliatoio blaugrana, non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia: «Sapevo tutto quello che aveva fatto in Inghilterra». In Catalogna Henry si ciba del tiki-taka a suo modo: sfrutta la sua velocità non più per le progressioni palla al piede, ma per infilarsi negli spazi. Ne è esempio questo gol all’Atletico Madrid: raccoglie palla a centrocampo, cede palla a Xavi e poi scappa al largo dalle maglie biancorosse. Xavi pesca Bojan che restituisce palla ad Henry, libero di calciare: il suo tiro, di prima intenzione, è imprendibile. Dopo un anno e mezzo a Barcellona, il francese dirà: «La Catalogna non è la Spagna. È qualcos’altro, te ne accorgi».
9— New York Red Bulls-Columbus Crew 3-1 (Mls, 15/9/2012)
Nel 2010, Henry decide di chiudere la sua avventura in Europa e trasferirsi negli Stati Uniti, a New York. Qui, ultima squadra nella quale ha militato, gioca 135 partite condite da 52 gol. Uno dei suoi gol più belli Oltreoceano è questo, direttamente da calcio d’angolo: quando sistema il pallone, ha già intenzione di cercare la rete dalla lunetta. Si intravede la cura con cui posiziona la sfera, come se dovesse battere un calcio di rigore. Poi la stoccata a giro, secca e precisa: la palla sbatte sul secondo palo e poi entra in rete.
10— New York Red Bulls-Montreal Impact 2-1 (Mls, 8/5/2013)
Ci sono giocatori che un gol in rovesciata lo inseguono per tutta la vita, senza riuscirci. Agli eletti come Henry, librarsi in aria è un privilegio senza tempo. A quasi 36 anni, il francese segna al Montreal una pregevolissima rete acrobatica. Con una particolarità: non cerca il gesto spettacolare, la sua è una rovesciata che colpisce per l’essenzialità. La coordinazione è minima, eppure perfetta, tanto che ne scaturisce una parabola imparabile. Il gol numero 400 in carriera lo ha festeggiato così, appoggiato al palo. L’immagine di un lunga carriera, estatica, arrivata a compimento.