Orgoglio e tradimento

Jorge Jesus, dopo grandi vittorie in 6 anni al Benifica, allena lo Sporting Lisbona. Ora dovrà tornare al Da Luz, da ospite poco gradito. Una storia molto particolare.

jorge jesus

Si potrebbe scrivere di Jorge Jesus senza metterci del proprio. La sua carriera e le sue quotes sono roba talmente a effetto da essere autoevidenti. Una per tutte: «Io sono il miglior allenatore del mondo, e nessuno sa di calcio più di me».

Nel 1989, Jorge Jesus è un calciatore dell’Almancilense, terza divisione portoghese. C’è una partita contro l’Amora. Dopo il fischio finale, il presidente della squadra avversaria gli si avvicina e gli offre la panchina della sua squadra. Secondo Jorge Jesus, «aveva capito che il vero allenatore dell’Almancilense era in campo». La carriera svolta nell’estate 2009. Dopo una gavetta lunga vent’anni esatti, arriva la chiamata del grande club. Il Benfica ha appena licenziato Quique Sánchez Flores e decide di affidare a Jorge Jesus l’ennesimo tentativo di rinascita. Tutti quelli precedenti sono stati frustrati dal dominio assoluto del Porto, che vince ininterrottamente il titolo dal 2005/2006. L’ultimo campionato perso dai Dragões è finito proprio nella bacheca del Benfica. L’allenatore degli encarnados, in quella stagione, era Giovanni Trapattoni.

Al suo arrivo al da Luz, Jorge Jesus è un cinquantacinquenne dall’aspetto giovanile. Porta i capelli lunghi, lo fa da sempre e non cambia neanche al primo appuntamento ufficiale da allenatore benfiquista. Dice cose sospese tra l’ambizioso e l’arrogante, e si presenta così al suo nuovo pubblico: «Sono il 63esimo allenatore del Benfica e voglio lasciare il segno nella storia di questa società. Sono qui per vincere titoli». La strada che decide di percorrere per mantenere fin da subito questa promessa è quella che ha scelto per tutta la carriera. I portoghesi, gente che ha sempre respirato, guardato e fatto giocare un calcio raffinato, lo chiamano “futebol bonito“. Jorge Jesus, da questo punto di vista, è uno di loro. Lusitano purosangue. Il suo primo Benfica gioca quello che da alcuni viene definito come il calcio più attrattivo d’Europa. Con la maglia rossa scendono in campo, tutti insieme e contemporaneamente, Ramires, Di Maria, Aimar, Óscar Cardozo e Javier Saviola. Gli esterni difensivi sono Fábio Coentrão e Maxi Pereira. Il centromediano è Javi Garcia, al centro della difesa gioca David Luiz. Le Aquile giocano così.

Benfica-Everton 5-0. Se a qualcuno non bastasse, clicchi qui e si veda tutti i 78 gol in campionato del primo Benfica di Jesus.

In un’intervista rilasciata al termine di quella stagione, che ha visto trionfare il suo Benfica in Primeira Liga e in Coppa di Lega, Jesus ha mostrato una volta di più come la sicurezza nei propri mezzi e nella propria squadra sia una prerogativa del suo approccio come allenatore: «Quando sono arrivato qui, avevo detto di poter vincere il titolo. Dopo aver conosciuto la squadra, ho capito che sarebbe stato più facile di quanto pensassi».

All’indomani del titolo nazionale, Jesus rinnova il contratto col Benfica fino al 2013. Poi, nei dintorni del da Luz, inizia l’estate classica dei club portoghesi, da sempre vittime di annuali diaspore di talenti. La vetrina degli encarnados viene letteralmente saccheggiata: Di Maria finisce al Real Madrid, David Luiz e Ramires firmano per il Chelsea. I nuovi arrivi sono Nicolás Gaitán, Toto Salvio, l’attaccante Rodrigo e il portiere Jan Oblak. Nel febbraio del 2011, Jorge Jesus batte il record storico di vittorie consecutive del Benfica. L’ultimo successo, quello necessario per superare il precedente primato di Jimmy Hagan e Sven-Göran Eriksson, arriva in Europa League, in casa dello Stoccarda. Il club di Lisbona, prima della serata del Mercedes-Benz Arena, non aveva mai vinto in Germania.

Stoccarda-Benfica 0-2, il primo gol di Toto Salvio.

Nonostante il rimpasto totale a ogni sessione di mercato, Jorge Jesus e il Benfica crescono anno dopo anno. Insieme. L’allenatore diventa la risposta aborigena al mourinhismo, sul rettangolo verde e fuori. L’uomo di campo è preparato, pragmatico ed elastico nella scelta del modulo e idealista quando si tratta di determinare i principi di gioco. Sempre gli stessi: velocità, ampiezza e sviluppo vertical. Lo Jorge Jesus mediatico è simile alla sua squadra: scenico, istrionico, iconico. Ogni suo singolo momento fa immagine e notizia, disegna i contorni di un personaggio volutamente teatrale. Forse antipatico. Sicuramente vincente. Come il Benfica, che come d’incanto riprende a studiare da grande, soprattutto in Europa.

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Nel 2011, O Glorioso sarà una delle tre squadre portoghesi nelle semifinali di Europa League. La finale sarà Porto-Braga. Il 2012 è l’anno della cavalcata-Champions, che si arresta solo ai quarti contro il Chelsea. Al termine del doppio confronto con i londinesi, la sensazione generale è che i Blues abbiano passato il turno solo grazie alla loro maggiore esperienza. E a una dose extra di buona sorte. Jorge Jesus, dopo la sfida dell’andata (persa 0-1 al Da Luz), aveva definito «fortunata» la squadra di Di Matteo. Dopo la sconfitta di Stamford Bridge, al ritorno, dà il meglio di sé. Sospeso, come al solito, tra arroganza e ambizione: «Siamo stati migliori dei nostri avversari. La mia angoscia è che sono state eliminate squadre molto migliori del Chelsea, ma sono felice comunque dei miei ragazzi. Abbiamo raggiunto un livello calcistico all’altezza delle più grandi squadre del continente». Jorge Jesus aveva ragione. Il Benfica sarà protagonista assoluto in Europa. Ma senza lieto fine.

Vitoria Guimaraes-Benfica 2-1. Finale di Taça Portugal 2013.

Oeiras, 26 maggio 2013. Il Vitória Guimarães ha appena battuto il Benfica e conquistato la prima coppa nazionale della sua storia. Gli encarnados, invece, completano quel giorno il loro Triplete al contrario. Hanno perso la finale di Europa League col Chelsea di Benitez e il campionato alla penultima giornata, a causa di una sconfitta al Do Dragão di Oporto. Il gol decisivo, siglato dal brasiliano Kelvin, è arrivato al novantunesimo minuto. Quello di Ivanovic, che ha messo nelle mani di John Terry la vecchia Coppa Uefa , è stato segnato al novantaduesimo. L’immagine di Jorge Jesus in ginocchio, a terra, dopo la rete di Kelvin, è un cult della crudeltà applicata al calcio. Il 4 giugno del 2013 il Benfica rinnova il contratto di Jorge Jesus fino al 2015.

Jorge Jesus, 30 ottobre 2014: «[in questo elenco] Ci sono allenatori che hanno fatto meno di me». Il riferimento è alla shortlist del Pallone d’Oro per allenatori. Lui non c’è. Nonostante, nel frattempo, abbia scacciato un po’ dei fantasmi del 2013 e abbia conquistato il Triplete. Sfiorando il Quadriplete. Il Benfica vince Campionato, Coppa di Portogallo e Coppa di Lega. Nessuno mai prima delle aquile, nessuno mai prima di lui. Anche stavolta, però, gli è andata male in Europa. Anzi, se possibile, gli è andata addirittura peggio. L’Europa Leagua sfuma ancora in finale, e la sconfitta arriva ai rigori, dopo lo 0-0 al 120esimo col Siviglia. Sbagliano Oscar Cardozo e Rodrigo, i due attaccanti. Ma, soprattutto, para Beto. Jorge Jesus riesce a non essere banale, anche stavolta: «Non ha vinto la squadra migliore. Ma nel calcio non si può tornare indietro».

L’immagine di Jorge Jesus in ginocchio
dopo la rete di Kelvin è un cult della crudeltà applicata al calcio

Si è smentito da solo, coi fatti, giusto un anno dopo. Un anno che va comunque raccontato perché è un altro anno di vittorie. Il Benfica vince il suo trentaquattresimo titolo, il secondo consecutivo. Non succedeva dal biennio 1983-1984. Come nobile corollario, arriva anche la sesta Coppa di Lega, la quinta personale per Jorge Jesus. Ma è anche l’anno delle prime incomprensioni con la società, col presidente Luis Filipe Vieira, con la politica trasferimenti di un club che, anche stavolta, ha ceduto al miglior offerente i suoi pezzi migliori (vanno via, in due sessioni di mercato appena, Oblak, Enzo Pérez, Markovic, Bernardo Silva, Garay, Cardozo). A gennaio, Vieira annuncia che il rinnovo con Jorge Jesus sarà discusso «a fine stagione». Non ci sarà il tempo.

Si è smentito coi fatti, si diceva. Jorge Jesus è tornato indietro, in una delle sue “case” da giocatore. L’ha fatto con il solito colpo a effetto. Talmente a effetto che oggi è costretto a vivere sotto scorta. Del resto, uno che ha allenato per sei anni il Benfica e poi diventa l’allenatore dello Sporting Lisbona, non poteva aspettarsi una reazione tanto diversa. Sapeva a cosa andava incontro, soprattutto considerato che è cresciuto nel Bairro de Girassol, ad Amadora. Che è comune a sé, ma comunque giace a uno sputo da Lisbona.

Alla sua presentazione allo stadio Alvalade, in un tripudio di bianco e verde, il nuovo allenatore dei Lones non stona. Ha sessantuno anni, porta ancora i capelli lunghi e sotto il vestito scuro indossa camicia bianca e cravatta verde. E dice cose sospese tra l’arroganza e l’ambizione: «Da oggi, ci sono tre candidate per il titolo portoghese. Dobbiamo svegliare il leone che dorme». Perfetto, è Jorge Jesus.

Un’intervista vagamente retrò: Jorge Jesus ai tempi dell’Amora. I capelli sono meno lunghi di oggi.

Jorge Jesus è così da sempre, fin dai primi passi sulla panchina dell’Amora. Probabilmente era così anche quando, prima di diventare calciatore e allenatore, lavorava in una azienda che fabbrica cavi elettrici. Di sicuro lo è stato lungo  tutta la corsa verso l’alto, squadra per squadra, fino al Benfica. Felgueiras, Estrela Amadora, Vitória Setúbal, Belenenses, Braga. Parole a effetto, squadre a effetto. E scelte a effetto. Come quella di cambiare quattro squadre di prima divisione in quattro anni, dal 2002 al 2006. Oppure, come quella di fare un passo indietro, lasciare il da Luz e accettare, insieme a un contratto da sei milioni di euro l’anno, la sfida di rendere (finalmente) competitiva una squadra che non vince il titolo nazionale dal 2002. E che, in questo inizio di stagione, ha già vissuto mille vite tutte diverse: il successo in Supercoppa proprio contro il Benfica, in agosto, sul campo neutro di Faro; l’eliminazione dai preliminari di Champions, la sconfitta con la Lokomotiv Mosca in Europa League e un inizio di campionato convincente.

La prima “vendetta”: 1-0 al Benfica in Supercoppa

Quindi non è vero che nel calcio «non si torna indietro». Jorge Jesus è già tornato indietro e lo farà ancora, un’altra volta, col suo Sporting. Andrà (tornerà) al Da Luz, ad affrontare chi lo considera un traditore acclarato. A sfidare un pubblico che l’ha minacciato di morte e un club che l’ha citato in giudizio per aver accettato un contratto mentre un altro era ancora in essere. Lo farà da primo in classifica, con cinque punti di vantaggio e una partita giocata in più. Lo farà con uno Sporting che ha già fatto proprio il suo calcio. I principi sono sempre gli stessi: velocità, ampiezza, sviluppo vertical. Quasi sempre due punte in campo: si alternano l’algerino Slimani e i due colombiani Gutierréz e Fredy Montero. Prima di affrontare i biancoverdi col suo Boavista, Petit, un monumento del calcio lusitano, si è lasciato andare così: «Sporting é como o Benfica de Jorge Jesus». Non c’è bisogno della traduzione.

Anche fuori dal campo Jorge Jesus è ancora Jorge Jesus. Il presidente dello Sporting Bruno de Carvalho ha dichiarato come lui e il suo allenatore siano «due anime gemelle». L’edizione portoghese del magazine GQ lo ha eletto tra i suoi personaggi dell’anno e gli ha consegnato il premio poche ore dopo la vittoria in Taça Portugal contro il Vilafranquense. È stata l’occasione per parlare del derby che si avvicina, dell’accoglienza che lo aspetta e si aspetta al Da Luz. È stato banale, per una volta: «Spero e credo che sarò accolto normalmente, come ogni allenatore avversario che gioca contro il Benfica». Poi si è ricordato di essere Jorge Jesus: «Le donne portoghesi sono molto belle, non è come dicono i brasiliani. Le nostre donne non hanno i baffi».

Cercando in rete, si trovano due libri su Jorge Jesus. Uno è di Miriam Assor, e ha questo titolo: Jorge Jesus – O Treinador que Mantém a Chama Imensa. La Chama portoghese si traduce letteralmente in “fiamma”. L’altro libro, invece, è stato scritto da Luis Garcia, con la prefazione di Paulo Futre. Si intitola Não Sou Eça de QueirozJosé Maria Eça de Queirós è stato un giornalista, diplomatico, scrittore. Uno che usava le parole per lavoro. Wikipedia lo definisce «il massimo esponente del realismo portoghese».

Jorge Jesus fa riferimento a questo personaggio al termine della stagione 2013/2014, quando dichiara di «non essere [Não Sou] Eça de Queirós» e di voler essere giudicato solo come allenatore. Solo per il suo lavoro sul campo. Una richiesta impossibile da esaudire per uno come lui, volutamente teatrale e forse antipatico. Una richiesta sospesa tra l’ambizione e l’arroganza. Perfetto, è Jorge Jesus.

 

Nell’immagine di testata e in evidenza, Jorge Jesus durante l’amichevole del 2013 Elche-Benfica (Manuel Queimadelos Alonso/Getty Images); nel testo, Jesus in panchina durante la finale di EL 2014, contro il Siviglia (Ian Walton/Getty Images)