Quando nel 1996 Espn decide di produrre un documentario dedicato a lui, Jari Litmanen ha appena 25 anni. Parla in olandese, è sorridente, e a sette minuti dall’inizio del montaggio si ritrova a descrivere cosa si prova dopo aver segnato.
Il pretesto è rappresentato da uno splendido gol in rovesciata con la maglia dell’Ajax, realizzato durante una partita che si gioca su un campo privo di panchine per allenatori e riserve, seduti comodi su sedie di plastica bianche. Si vede Edgar Davids che gli salta sulle spalle, felice come un bambino.
Litmanen parla così di quel momento: «Edgar è sempre contentissimo quando facciamo gol, ha delle reazioni simili alle mie. Quando segni, corri come un pollo senza testa per i primi dieci secondi, fai cose che non faresti mai normalmente». Subito dopo, Jari sceglie e racconta la sua esultanza più “pazza”, una corsa a torso nudo dopo un pallonetto d’esterno, appena fuori dall’area di rigore. Per descrivere la vita, l’abilità e la carriera di Litmanen, e forse pure il calcio al tempo di Litmanen, basterebbero le immagini di questo minuto scarso.
La palombella e l’esultanza di Litmanen: è la finale di Coppa di Finlandia, e il suo MyPa vincerà 2-0.
Mika Kaurismaki porta un cognome pesante. Lo stesso del fratello Aki, il più grande cineasta mai espresso della Finlandia. Anche Mika è regista e produttore, e nel 2012 decide di coinvolgere nella sua vita e in un suo progetto un altro dei “più grandi” nella storia della nazione scandinava. Il docufilm Kuningas Litmanen, conosciuto internazionalmente come The King, Jari Litmanen, viene girato in Finlandia e poi tra Amsterdam, Barcellona e Liverpool, le tre città dell’avventura calcistica di Litmanen. Mika Kaurismaki ne è produttore e sceneggiatore, e per raccontare la seconda avventura di Litty ad Amsterdam sceglie di affidarsi, tra le altre, alla testimonianza di Zlatan Ibrahimovic: «Era facile giocare con lui, un calciatore di qualità. Le combinazioni tra di noi erano fantastiche». Era l’Ajax di Ronald Koeman, ultima grande edizione dei lancieri prima della decadenza: c’erano Chivu, Sneijder, Van der Meyde, Van der Vaart, De Jong, lo stesso Ibrahimovic. Ma la stella era lui: Jari Litmanen, il re.
Milan-Ajax 3-2, quarti di Champions 2002/2003. Litmanen inizia in panchina, poi entra e segna.
Lahti è una splendida cittadina della Finlandia del sud, che secondo Wikipedia è soprannominata Finland’s Chicago. Jari Litmanen nasce, cresce e fa il suo esordio calcistico qui, dove la temperatura media annua è di poco superiore ai quattro gradi e dal 2010 c’è una statua in suo onore. Suo padre e sua madre sono stati entrambi calciatori, lui da piccolo si divide tra il pallone e la mazza e il disco dell’hockey. Alla fine prevale il dna, e Jari comincia a fare sul serio in una squadra che oggi non esiste più, il Reipas Lahti, dal 2006 assorbita nel Fc Lahti. Gioca la sua prima partita di Mestaruussarja, la massima divisione finlandese, a sedici anni; a ventuno ha già indossato le maglia dell’HJK, come dire la Juventus di Helsinki e di Finlandia, e del MyPa di Anjalankoski, con cui vince la Coppa di Finlandia. Firma per l’Ajax subito dopo quel trionfo, ma non prima di aver “studiato”, visitandole pure di persona, tutte le possibili destinazioni, tra cui Leeds, Barcellona, Malmoe. Per Jari, la squadra di Amsterdam è «una scelta consapevole».
L’inizio della sua avventura in Olanda raccontato dal suo allenatore dell’epoca, Louis Van Gaal: «Nel primo match che ha giocato con noi, è stato schierato a centrocampo, com’era abituato nel suo Paese. Non ha fatto una buona partita. Il giorno dopo abbiamo eseguito un’esercitazione sulle posizioni in campo, e ho notato la sua visione di gioco. Ho pensato di metterlo dietro le punte per la partitella successiva, e ha segnato quattro volte». Quattordici presenze e un gol nella prima stagione sono l’apprendistato dietro la figura enorme di Dennis Bergkamp, che insieme a Wim Jonk lascia Amsterdam e finisce in Italia, all’Inter. All’alba dell’annata 1993/94, l’Ajax non ha un numero dieci titolare, e l’unico possibile erede della maglia e del ruolo di Bergkamp è Jari Litmanen, il ragazzino finlandese. Van Gaal, durante l’apprendistato, ha preferito aumentare, più che diminuire, il carico di responsabilità su di lui: «Dennis potrebbe andar via. Devi farti trovare pronto». Al termine della stagione, il dieci dell’Ajax campione d’Olanda, il ragazzino finlandese Jari Litmanen, è il capocannoniere della Eredivise con 26 gol.
Un gol della stagione da capocannoniere, in Ajax-Utrecht 3-0. Litmanen segna il 2-0, le altre due reti sono di Seedorf e Davids, che segna su assist di Litmanen. Non male, quell’Ajax.
Vienna, 24 maggio 1995. È la finale di Champions League tra il Milan detentore del trofeo e l’Ajax di Van Gaal. Tom Adams, nel 2010 su Espn, ha definito questa partita con un titolo che fa capire bene la differenza tra le due formazioni, in termini di età media, politica, concetti: “Ajax’s adolescents master men of Milan“. In Kuningas Litmanen c’è un piccolo estratto della conferenza stampa prepartita dell’allenatore dei lancieri, che se ne frega della pretattica e annuncia la formazione. Lo fa come uno speaker, numero per numero: «Seven, Finidi George. Eight, Edgar Davids. Nine, Ronald De Boer. Eleven, Marc Overmars». Forse volutamente forse no, dimentica il numero dieci. Il suo assistente gli dice qualcosa, lui aggrotta le sopracciglia. «Ten, you know it». Pausa scenica. «Litmanen». Paradossale il fatto che quella sera il ragazzo di Lahti disputi una delle peggiori partite della sua carriera, addirittura da cinque in pagella per il Corsera di allora, ma risulti comunque decisivo lasciando il posto a Kluivert, autore del gol che vale il successo finale. Jari è il primo calciatore finlandese a vincere la Coppa dei Campioni, è il leader riconosciuto della squadra Campione d’Europa e ha solo 24 anni.
La finale del 1996 si gioca all’Olimpico di Roma, e all’Ajax tocca affrontare ancora una squadra italiana, la Juventus di Marcello Lippi. La partita di Litmanen va diversamente, per gli stessi inviati che l’anno prima definirono «deludente» la sua prestazione, il fantasista finlandese è «tirato a lucido, rigenerato, forse per merito del mese di vacanze in Lapponia in gennaio». Segna il gol del pareggio – il nono nella competizione, di cui sarà capocannoniere –, segna il rigore nella lotteria che vale la Coppa, ma stavolta non basta. Vincono i bianconeri, esaltati dalle prodezze del portiere Peruzzi. Nessuno lo sa o può ancora saperlo, ma nel momento in cui Vialli alza la Coppa dei Campioni, finisce pure il secondo grande ciclo vincente dell’Ajax.
In realtà è già finito dal 15 dicembre 1995, il giorno della sentenza Bosman (di cui si è parlato pure nel numero 7 di Undici): Davids, Bogarde e Reiziger sono già del Milan, Finidi, Kanu, Overmars e Kluivert andranno via nel giro di due anni, e tutti questi trasferimenti avvengono a costo zero o a prezzi ridicoli. Litmanen sarà vicinissimo al trasferimento alla Roma, anche al Milan, ma poi deciderà di rimanere in Olanda. Al momento del suo addio all’Ajax, nel 1999, avrà messo insieme 226 partite, 129 gol e tutte le competizioni a cui ha partecipato a livello di club, dalla Champions alla Coppa d’Olanda passando per la Coppa Intercontinentale.
Alcune cose belle di Litmanen con la maglia dell’Ajax. C’è un po’ di tutto, assist e gol.
Messi, Ronaldinho, Riquelme, Rivaldo. È la lista che va a ritroso, da oggi fino al 2001, dei numero dieci del Barcellona, e prosegue con Jari Litmanen. Il Camp Nou e gli azulgrana rappresentano la destinazione perfetta per il finlandese, che ritrova altri quattro reduci di Vienna ’95 e il suo mentore Van Gaal, divenuto nel frattempo una specie di santone pure in Catalogna. Ci sono i gemelli De Boer, Kluivert e Bogarde, ci sono gli altri olandesi Hesp, Zenden e Cocu e i fantasisti Rivaldo e Figo. Il Guardian definisce “Barcajax” questa edizione della squadra, ma utilizza le parole di Ronald De Boer per spiegare la prima grande discrepanza tra culé e Godenzonen: «Rivaldo and Figo are very extreme footballers», nel senso che non passano mai la palla e non sono parte di un contesto come le ali del “vero” Ajax. Poi c’è Jari, che nell’articolo viene definito «injury-prone», e pure questa è una bella differenza.
Insomma, la destinazione perfetta in realtà si rivela un mezzo passo nel vuoto, e la colpa è un po’ della concorrenza e un po’ del tempo che passa e cambia le cose. Van Gaal, in un’intervista rilasciata qualche anno dopo, ne darà una parte anche allo stesso Litmanen: «Ci sono alcuni giocatori di grande talento che non hanno avuto il carattere o la personalità per assecondare i miei metodi. Il Litmanen del Barcellona, per esempio, è stato diverso rispetto al Litmanen dell’Ajax. Bisogna adattarsi ad una nuova cultura quando ci si sposta in un club diverso, e non tutti i giocatori sono in grado di farlo». L’esperienza di Litty al Camp Nou si concluderà l’anno dopo: il nuovo allenatore Serra Ferrer prima gli toglie la numero dieci, poi non gli fa giocare nemmeno un minuto nell’avvio di stagione. Cambia squadra a gennaio, finisce al Liverpool, ma a Barcellona non l’hanno dimenticato. Basta leggere retweet e commenti di questa foto qui, scattata prima dell’ultima finale di Champions.
#Xavi speaks with ex-Barça teammate Jari Litmanen from Finland. #FCBLive #DR3AM #FCBarcelona #JuveFCB #UCLfinal pic.twitter.com/JAoGBQmgwR
— FC Barcelona (@FCBarcelona) June 6, 2015
L’accoglienza di Gérard Houllier, manager dei Reds dal 1998 fino al 2004: «Abbiamo acquistato un calciatore di classe mondiale. È uno dei trasferimenti più eccitanti che abbiamo mai concluso». Anfield è un destino di Litmanen, lo si capisce già nel documentario di Espn già citato. Uno dei momenti dell’intervista viene fatto in una sala regia, con una doppia inquadratura: i monitor dietro Litmanen – che porta capelli anni Ottanta un po’ retrò già nel 1996, una polo a righine orizzontali bianche e nere e la maglietta della salute –, all’improvviso, mostrano delle immagini di Maradona. La voce di un giornalista non inquadrato gli chiede «What do you like about Maradona?». La risposta è secca: «After Dalglish, he was my favourite». Dopo aver magnificato Diego, Jari passa a un discorso a metà tra l’apologia dello scozzese e l’analogia con se stesso: «Penso di essere più simile a lui che a Maradona: ci accomunano i movimenti, il saper usare entrambi i piedi, il modo di calciare». Litmanen è un fantasista necessario, nel senso che al bello e all’eleganza abbina la praticità. Proprio come Dalglish, che dal sito ufficiale del Liverpool è definito «King», esattamente come Litmanen, e pure «un uomo squadra che trae uguale piacere dall’assist per il compagno o per la conclusione personale».
Litmanen gioca nel Liverpool un anno e mezzo. Houllier, dopo le parole al miele del giorno del suo arrivo, gli concede appena 43 presenze, condite comunque da 9 gol. Tempo dopo, Jari ammetterà la sua incredulità per il trattamento riservatogli dal tecnico francese: «È strano mettere a confronto quanto fosse felice per il mio acquisto e la scelta di utilizzarmi così poco. Non riesco a spiegarmi questa differenza». Le poche partite e la scarsa incidenza sulla storia del Liverpool non gli impediscono di far innamorare molti tifosi dei Reds e numerosi appassionati di calcio d’Oltremanica. Su tutte, due testimonianze. La prima è di Alyson Rudd, giornalista sportiva e scrittrice del Times, che in un pezzo dal titolo inequivocabile sul The Green Soccer Journal (“A Love Letter to Jari“), pubblicato nel febbraio scorso, definisce la vista dal vivo di Litmanen come «qualcosa di etereo, qualcosa di magico, qualcosa di quasi spaventoso nella sua perfezione. Litmanen non ha commesso un solo errore. Ogni sua scelta è stata la scelta giusta. Ogni suo tocco era abile, ogni suo servizio preciso, ed era orchestrato col prossimo passaggio già in testa». La seconda è di un tifoso dell’Everton poi diventato calciatore di grido a Goodison Park: «Ho guardato molti video di Litmanen, un calciatore sempre calmo e non frettoloso, nel suo modo di giocare. Amavo molto il suo essere paziente, sapeva aspettare il momento giusto per concretizzare l’opportunità». Il tifoso dell’Everton si chiama Wayne Rooney.
Quando sceglie per la seconda volta l’Ajax, Litmanen ha trentuno anni. Torna in Olanda da re, assecondando una sua precisa volontà, ma il fisico non gli permette più di essere realmente protagonista. Due stagioni intere e appena 31 presenze totali sembrano dire chiaramente che Jari ha fatto il suo tempo. L’addio definitivo si consuma con qualche settimana d’anticipo rispetto alla chiusura della stagione 2003/2004, in modo da permettere al calciatore di «trovare al più presto una nuova squadra». Un modo addolcito per congedare il grande calciatore e sancire l’inizio della nuova carriera, quella dell’icona vivente. In un primo momento, Litmanen decide di abbracciare questo nuovo ruolo, questa nuova condizione, così torna a casa, nel Fc Lahti, e dice frasi come «ho giocato qui l’ultima volta dodici anni fa», oppure «se posso aiutare [il calcio finlandese] in qualche modo, sono felice». Sarà vero, e del resto Litmanen ha giocato 137 partite, segnato 32 gol e messo insieme 45 vittorie in tutto con la sua Nazionale. Ma Litty dice anche cose di questo tipo: «Io sono felice se posso giocare a pallone». Quindi, come dire: è vero, Litmanen tiene molto alla Finlandia, alla sua Nazionale e allo sviluppo dello sport nel suo Paese, nonostante vi si esprima un calcio non proprio eccellente. È solo che a uno così non puoi dire di fare il pezzo da museo e basta. A uno così il grande calcio deve mancare per forza. Ecco allora i nuovi passaggi romantici nel football che conta o che conta un po’ di più, in Germania (Hansa Rostock) in Svezia (Malmö), e di nuovo in Inghilterra (Fulham). Sono comparsate (24 presenze in quattro stagioni, dal 2004 al 2008), ma hanno comunque lasciato il segno. Per capirlo, basta leggere questo pezzo di 11Freunde, in cui l’autore – tifoso dell’Hansa Rostock – racconta di come «il mondo sia migliorato» dopo l’arrivo del finlandese e nonostante la retrocessione della sua squadra del cuore; oppure di nuovo la “lettera” di Alyson Rudd, che abita nei pressi dello splendido Craven Cottage e si ritrova a «gridare verso lo stadio» per il ritorno di Jari in Inghilterra. Litmanen non giocherà neppure una partita con i Cottagers, ma il suo calcio o anche solo l’idea del suo calcio vanno oltre, anche oltre il risultato.
La carriera di Jari Litmanen si chiude nell’ottobre del 2011, dopo altri tre anni di pallone. Finisce nel modo più bello, con l’unica vittoria che mancava al suo palmarés: la Veikkausliiga, che è il nuovo nome della Mestaruussarja. La conquista con l’HJK, che gli offre la numero dieci dopo altri due campionati giocati con la maglia del Lahti, a cui è ritornato per la terza volta nel 2008. In verità, Litty gioca a singhiozzo, part-time, un po’ in panchina e un po’ in campo, pure nelle partite decisive. In quella che vale il titolo entra all’85esimo, giusto per partecipare a una prima premiazione, una cerimonia un po’ improvvisata in cui due uomini in giacca consegnano a tutti i giocatori, schierati a centrocampo, una rosa rossa incartata.
Nell’ultima di campionato, invece, gioca titolare. Viene sostituito al 78esimo, non prima di aver servito tre assist per altrettanti gol dei compagni. In alcuni momenti del video su Youtube della partita, l’inquadratura è stretta solo su di lui: i difensori della squadra avversaria sembrano quasi aver paura a pressarlo, lo guardano a distanza, lo lasciano giocare. Danno la sensazione di rispettarlo e ammirarlo troppo. Quando esce, mentre esce, si lascia scivolare sul campo, pancia a terra, come se stesse esultando per un gol. Al momento della seconda premiazione, quella finale, stavolta più organizzata, il capitano e portiere dell’HJK Ville Wallén lascia a Litmanen l’onore di alzare il trofeo. «Il miglior giocatore finlandese di tutti i tempi doveva sollevare per primo la coppa della prima vittoria a casa sua», dirà a un giornale finlandese. È stato il modo perfetto, le parole migliori, per celebrare Kuningas, il re.