Gerard Piqué ha una solida posizione sociale, una bella fidanzata, due figli di nome Milan e Sasha, un posto da titolare nella squadra di calcio più forte del mondo, qualche trofeo interessante sul caminetto. E poi ha una spiccata capacità di farsi odiare. Forse giocosa, magari desiderata, sicuramente trasversale. Va al Bernabéu e lo fischiano, ad Alicante e lo fischiano, a Logroño stessa storia, a Getafe, Oviedo, León.
Ci sarebbe materiale a sufficienza per una serie tv, che potrebbe intitolarsi Piques: in spagnolo pique significa rivalità, risentimento. Per non appesantire la storia, basterebbe occuparsi di quanto accaduto nelle ultime settimane, per la precisione da quando, mentre il Real Madrid a Cadice mandava in campo un giocatore squalificato, Piqué ha twittato una serie di emoji divertite fino alle lacrime. Il seguito è prevedibile: una sequela di insulti da parte dei madridisti e una sequela di esaltazioni da parte della gente blaugrana. Con l’autocelebrazione, pochi giorni dopo, dello stesso Piqué, ancora tramite il social: «100k RT whitout saying a word. Is that a new record on Twitter?». Nonostante poi si fosse affrettato a spiegare: «È un semplice malinteso. Stavo guardando in tv Leo Harlem (comico spagnolo, ndr). Sono fatto così, mi conoscete. Sono solo emoticon, non bisogna dare troppa importanza». Quella che, per dire, gli ha dato Sergio Ramos, che lo ha chiamato per chiedergli spiegazioni.
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— Gerard Piqué (@3gerardpique) December 2, 2015
Main plot: Piqué è l’uomo più odiato di Spagna. Odiato, da non confondersi con il più generico antipatico. L’odio sportivo è una forma di antipatia, l’odio personale è odio, punto e basta. È calibrato su Gerard, non sul numero 3 del Barcellona. Se in Italia si prendono di mira i vari Chiellini, Nainggolan, Melo, lo si fa per il loro comportamento in campo, che a volte può essere esagerato, esasperato. Antipatico, appunto. Piqué non ha mai ecceduto in falli, scorrettezze, provocazioni. Se si esclude l’espulsione contro l’Athletic Bilbao, nella gara di Supercoppa spagnola. Un insulto molto pesante rivolto al guardalinee dopo una mancata chiamata: «Me cago en tu puta madre».
Piques si avvale di un cast celebrato: per ogni puntata, un calciatore in più. Questo è l’altro dato sostanziale quando si prende in esame il caso Piqué: la disistima gli arriva anche, e se vogliamo soprattutto, da colleghi. Il ragazzotto che si manda a quel paese con un calciatore su Twitter è roba trash, utile per allagare le colonnine destre di Internet. Se invece le offese, le frecciatine, gli arrivano da calciatori, la questione è diversa: è far collassare un sistema di equilibri, in ottica Nazionale, che in Spagna è molto delicato. La prima puntata si chiuderebbe con l’arrivo sulla scena di Cristiano Ronaldo. Giusto il tempo di una comparsata, però, ché il cachet del portoghese è piuttosto gravoso: «Piqué non merita commenti. Non gli faccio pubblicità gratuita…».
Ma è dalla puntata successiva che la trama si ravviva e diventa scoppiettante. Perché entra in scena Álvaro Arbeloa, con il quale già in passato c’erano state tensioni. È lui che eleva il livello della diatriba, e la storia non può che giovarsene. «Vedrei bene Piqué nel club de la comedia (una specie di cabaret, ndr) parlando del Madrid. Gli ultimi dieci anni del Barcellona non possono eguagliare la storia del Real Madrid». La risposta di Piqué è qualcosa a cui avrà lavorato alacremente una decina di sceneggiatori: «Arbeloa ha detto di essere mio amico? No, non è un mio amico. Es un cono … (pausa) … cido». Conocido significa conoscente, ma quella pausa a metà isola la parola coño, che in spagnolo è un insulto abbastanza pesante.
La produzione si è poi fatta un giretto nei Paesi Baschi e ha scritturato Esteban Granero, centrocampista della Real Sociedad cresciuto nel Madrid: «Piqué, per favore, dimentica i complessi e rispetta chi ti è superiore», con la foto della Champions vinta dal Madrid e i palmi delle mani aperti, a indicare il “dieci” delle Coppe vinte dalle merengues. Quanto basta per far risvegliare l’istinto di Piqué, che dopo la vittoria del Mondiale per club – previa pubblicazione di se stesso con il trofeo tra le mani – twitta una serie di emoji che raffigurano coppe – 25, un premere compulsivo sulla tastiera come se si trattasse di punti esclamativi quando la ragazza della tua vita accetta di uscire con te – e il laconico hashtag #paramissuperiores. Per non deludere gli appassionati avanti con gli anni, c’è anche il cameo di Santillana, leggendario attaccante del Madrid tra gli anni Settanta e Ottanta: «Piqué? Si stia zitto».
Flashback: c’è un preciso momento in cui Piqué si attira l’odio della nazione. Ed è quando, celebrando la vittoria della Champions League al Camp Nou, prende il microfono e chiude dicendo: «Grazie Kevin Roldán, con te è iniziato tutto». Roldán è il cantante, conosciuto soprattutto in Spagna e America Latina, che cantò al compleanno di Cristiano Ronaldo, lo scorso 7 febbraio, cimentandosi in un duetto con il calciatore portoghese. Quella festa si tenne dopo la pesante sconfitta del Real per 4-0 contro l’Atlético Madrid: inutile dire come la prese la stampa madrilena e il tifo più acceso dei blancos.
«Gracias a Kevin Roldán».
Nel contesto di quella celebrazione, la battuta di Piqué è anche comprensibile (a un certo punto, riferendosi alla finale di Champions di Berlino, ha anche aizzato il popolo blaugrana urlando «Vi siete mangiati i tifosi della Juve!»). Però Piqué è nazionale spagnolo. Quando Samuel Eto’o, dopo la conquista della Liga nel 2005, in una cornice simile intonò «Madrid, cabrón, saluda al campeón», le critiche sbollirono dopo qualche giorno. Quanto si accennava prima: in una Nazionale che si regge sulla fragile dicotomia Real Madrid/Barcellona, l’integrità del gruppo non è così scontata come può esserlo in altri spogliatoi. Mesi dopo, Sergio Ramos si è rivolto così al collega, a mezzo stampa: «Da capitano della Selección chiedo rispetto per il Real Madrid e i suoi giocatori. Le mancanze di rispetto sono nemiche di un ambiente sereno. Piqué ha avuto buoni esempi in Xavi, Puyol e Casillas per evitare queste sciocchezze». Non contento, ad agosto, in occasione della vittoria della Supercoppa Europea, si è ripetuto: «Dai ragazzi, festeggiamo. Che si fottano quelli del Madrid. Che ci stiano a guardare, mentre facciamo il giro di campo».
A ciò si aggiunga che Piqué non ha mai fatto mistero della propria catalanità: anche se non si è schierato apertamente a favore dell’indipendenza, condivide molto dell’ideologia separatista, per esempio sostenendo la necessità del referendum. Per i motivi appena descritti tutti gli stadi spagnoli hanno cominciato a fischiare Piqué, soprattutto quando gioca in Nazionale. «A volte ci fischiano, altre ci applaudono: la gente può esprimersi liberamente. Non mi riguarda, io devo restare concentrato nel fare del mio meglio in campo». In realtà, nel momento in cui Piqué ha captato l’avversione nei suoi confronti, è sembrato che abbia voluto cavalcarla. Quasi per divertirsi.
«Sui social, dopo la partita, ha scritto: Munir, la prossima me la lasci, va bene?»
Ancora per divertirsi, e per sbeffeggiare una volta di più i rivali, sul 4-0 del Barça al Bernabéu, ha voluto ad ogni costo segnare un gol. Negli ultimi minuti si è spinto in avanti almeno in un paio di occasioni, finché non gli è arrivata una palla buona, quella del possibile 5-0, servita da Neymar. Peccato che al centro dell’area di rigore lo abbia anticipato Munir (i due blaugrana erano completamente soli), che ha sbagliato la conclusione. La reazione di Piqué è una meraviglia: irata, plateale, teatrale.