Grandi speranze

Qual è il rapporto tra Nazionale maggiore e Under 21? Dopo anni di successi il travaso di azzurrini si è ridotto, influenzando anche i risultati della Nazionale A.

«There is a mysterious cycle in human events. To some generations much is given.
Of other generations much is expected»
(Franklin Delano Roosevelt, A Rendezvous with Destiny, discorso davanti al Congresso Democratico Nazionale del 27 giugno 1936)

Per il calcio italiano Brasile 2014 è stato un rito di passaggio, uno di quelli dolorosi al quale si poteva arrivare più preparati, ma la cui sostanza appare, con il senno di poi, comunque inevitabile. L’esperienza è stata diversa dalla disavventura sudafricana del 2010, in cui c’era ancora un’atmosfera da gaffe perdonabile, una sorta di luna storta della nostra narrazione sportiva. La fine dell’era Prandelli ha aperto una ferita ben più profonda: ha sancito il fallimento nel passaggio del testimone tra la generazione dei campioni del 2006 e la successiva, con lo sfogo di Buffon al termine di Italia-Uruguay a sgombrare il campo da qualsiasi equivoco.

Tra gli ottimi propositi con cui il calcio italiano può inaugurare il suo 2016 c’è perciò quello di storicizzare le ultime due batoste mondiali, dare un senso a entrambe le delusioni e ripartire da una certezza: le nuove leve, l’inaspettata fioritura di talenti che la classe degli anni ‘90 ha visto sbocciare in Serie A e B nelle ultime due stagioni. Una primavera del pallone azzurro che è ancora tutta da scrivere, ma che pianta le sue radici nella relazione che c’è tra la Nazionale maggiore e la sua Under-21.

Diego Godin segna il gol che elimina l’Italia dal Mondiale brasiliano

 

Recordman e riserve

Nel caso dell’Italia potremmo definire questo rapporto indicativo, ma non vincolante. Tra i recordman storici degli azzurrini, infatti, spiccano sì leggende del calcio internazionale come Andrea Pirlo (46 presenze e 16 reti) e campioni del mondo come Alberto Gilardino (19 reti in 30 presenze) ma per il resto, la maggior parte delle colonne della maglia azzurra ha transitato per minor tempo dalle parti di Coverciano “junior”, spesso perché il talento li ha portati a esordire molto presto in Nazionale maggiore. Prendiamo i due attuali highlander del calcio italiano, gente che ha superato i vent’anni di attività: Gianluigi Buffon, detentore del record assoluto di presenze tra i maggiori, ma con sole 11 presenze in Under-21 (15 se si conta l’Under-23) e Francesco Totti, con 8 apparizioni in U-21 (12 contando l’U-23). Entrambi campioncini d’Europa nel ‘96 ma entrambi da riserva. Il numero 1 all’epoca era Angelo Pagotto, Domenico Morfeo era il fantasista titolare e Massimo Brambilla indossava la maglia numero 10. Al contrario, se ci affidiamo ai numeri e alle convocazioni, dall’altra parte troviamo l’esempio di giocatori come Marco Motta, che vanta 42 presenze in U-21, ma che è stato convocato una sola volta tra i senior, o Eugenio Corini, con 36 presenze in U-21, ma zero in nazionale maggiore. Altro caso, maggiormente legato all’attualità, è quello del portiere Francesco Bardi, 37 presenze nella nazionale giovanile ma poco spazio nei club in cui ha giocato qui in Italia, tanto da trasferirsi all’estero. Si tratta di talenti esplosi più che dignitosamente tra i professionisti, ma che non sono diventati protagonisti in azzurro.

 

 
L’Under 21 di Cesare Maldini campione d’Europa ’96

Il caso di Andrea Pirlo, poi, è di per sé a parte: il suo arco temporale con la maglia dell’Under-21 copre quasi sei anni, complice il suo ritorno da fuori quota per le Olimpiadi di Atene, due anni dopo la sua prima convocazione in Nazionale maggiore. Anche la sua duttilità ha contribuito a questi numeri: nei primi anni della sua carriera Pirlo veniva infatti impiegato da mezzapunta e in questa veste si è imposto sulla scena nazionale, trovando così poco spazio sia nell’Inter che tra le priorità dei commissari tecnici azzurri. D’altronde alla fine degli anni ‘90 le mezzepunte abbondavano e avevano nomi importanti. Il secondo Pirlo, invece, quello inventato da Mazzone a Brescia e consacrato da Ancelotti al Milan, è diventato l’insostituibile regista davanti alla difesa che avrebbe fatto comodo alla nazionale di Gentile nel 2004.  E le statistiche salirono ulteriormente. Dunque la storia insegna che dagli anni dell’Under fino alla consacrazione tutto può cambiare, e non sono necessariamente i record e i numeri a fare la differenza.

Alberto Gilardino ai tempi della Nazionale Under 21

 

Le leve e i cicli

Il dato davvero indicativo nella storia delle Nazionali giovanili va cercato nelle leve e nei cicli. Detto così suona come un saggio di meccanica, invece si tratta di fare la conta di quanti campionissimi italiani hanno fatto parte della rosa di una Nazionale Under-21 nell’arco di circa 4-6 anni. Un esercizio che, oltre a dare la misura prospettica di quello che sarà il giro azzurro del decennio, inevitabilmente dà anche un’idea del talento che in quel periodo avrà arricchito la stessa Serie A, che da un equilibrato avvicendamento generazionale trae il suo nutrimento principale. Concentrandoci sulle leve e sui cicli, scopriamo allora che nei quattro anni precedenti alla vittoria del Mundial ‘82 tra gli azzurrini non hanno sfilato solamente futuri campioni del Mondo quali Cabrini, Collovati, Altobelli, Franco Baresi e Paolo Rossi, ma anche futuri campioni d’Italia o d’Europa con i loro club quali Giovanni Galli, Agostino Di Bartolomei, Salvatore Bagni, Pietro Fanna, Bruno Giordano, Mauro Tassotti e Carlo Ancelotti. Nessuno di loro ha vinto un titolo con la maglia dell’U-21, ma da questo punto di vista è bastato aspettare. Dal 1992 al 2004 infatti, su sette edizioni di Europei U-21, l’Italia ne vince ben cinque. La squadra del primo titolo può vantare tra le sue file leggende azzurre quali Dino Baggio, Demetrio Albertini e Angelo Peruzzi, ma anche futuri campioni d’Italia come Giuseppe Favalli e Francesco Antonioli, e bomber prolifici come Roberto Muzzi e Alessandro Melli. Una squadra forse meno fantasiosa di altre, ma che portava al successo un progetto tecnico virtuoso, che nell’edizione precedente aveva visto tra gli azzurrini anche Costacurta, Lentini, Fuser, Di Canio, Casiraghi, Marco Simone. L’alternanza, nella lunga era di Cesare Maldini come ct, è organica ed efficace, i giovani crescono e lo fanno bene.

Inghilterra – Italia Under 21: amichevole organizzata per l’inaugurazione del nuovo Wembley

 

Tant’è vero che dal 1994 in poi è praticamente una sfilata di futuri campioni del Mondo, scudettati e top player a vario titolo delle migliori squadre italiane, in quella che potrà essere considerata come l’era d’oro del calcio nostrano. Quella, per intenderci, che passerà attraverso la sfortunata corsa all’Europeo del 2000, avrà il suo apice nelle semifinali di Champions League del 2003 (con ben tre squadre italiane su quattro contendenti) e raggiungerà l’apoteosi con la vittoria del Mondiale tedesco nel 2006. I nomi sono quelli noti: Fabio Cannavaro, Francesco Toldo, Filippo Inzaghi, Christian Vieri, Damiano Tommasi, Marco Delvecchio, Christian Panucci, Gigi Buffon, Francesco Totti, Alessandro Nesta, Cristiano Zanetti, Christian Abbiati, Stefano Fiore – che non ha mai partecipato a un Europeo U-21 ma che ha collezionato 11 presenze tra il ‘95 e il ‘97 – e poi ancora, con Tardelli come commissario tecnico, Morgan De Sanctis, Simone Perrotta, Francesco Coco, Andrea Pirlo, Gennaro Gattuso.

Tra i nomi che partecipano a quelle spedizioni ma non vanno oltre l’affermazione locale ce ne sono tanti comunque degni di nota per la Serie A di quel periodo: Benny Carbone, Nicola Ventola, Domenico Morfeo, Fabio Galante, Nicola Amoruso, Ighli Vannucchi, Roberto Baronio. Sono anni di piedi buoni e concretezza, e anche i calciatori che la storia non ha consacrato come fuoriclasse avranno una maturità importante su altrettanto importanti palcoscenici di provincia. Così a occhio è la generazione di calciatori nata negli anni ‘70 a candidarsi come quella che ha mantenuto il maggior numero di promesse. I suoi sono tutti giocatori che all’inizio della loro carriera si sono sentiti chiamare almeno una volta “talento”, “predestinato”, e che raramente hanno disatteso le aspettative.

 

Le relazioni complicate con il successo

La generazione dei primi anni ‘80 parte anch’essa vincente, sospinta da quel respiro internazionale di cui il calcio italiano gode in quegli anni. In quel contesto i nomi che si distinguono sono quelli di Daniele De Rossi, Marco Amelia, Andrea Barzagli, Cristian Zaccardo e Alberto Gilardino, che insieme ai “fratelli maggiori” conquisteranno la Coppa del mondo, due anni dopo aver trionfato con l’Under-21 nell’Europeo tedesco. Di quella spedizione del 2004, l’ultima vincente fino a oggi, fanno parte anche altri futuri azzurri come Alessandro Gamberini, Daniele Bonera, Angelo Palombo e talenti dalla fortuna circoscritta ma significativa, come Gaetano D’Agostino. Ma di quel giro, in quegli anni, fanno parte anche giocatori come Giorgio Chiellini e Alberto Aquilani. Eppure il rapporto conflittuale di questa generazione con il successo in azzurro sta tutto nelle statistiche del più talentuoso dei suoi figli: Antonio Cassano, che in U-21 colleziona solo 9 presenze senza mai prendere parte a un Europeo di categoria. L’unico traguardo raggiunto dalle generazione degli anni ‘80, infatti, è il secondo posto a Euro 2012 alle spalle dell’inarrestabile Spagna tomatodo. Sarebbe ingiusto dire che si è trattato di una generazione di vorrei ma non posso: molti di questi atleti si sono tolti numerose e importanti soddisfazioni con indosso la maglia dei loro club, tuttavia una serie di contingenze li ha portati a lasciare un segno meno deciso del solco tracciato dai Del Piero e dai Totti, e ancor prima dai Baggio e dai Maldini.

L’Italia Under 21 campione d’Europa 2000 in Slovacchia

 

Le ultime due esperienze mondiali poi, unite alla riduzione del numero di squadre italiane ammesse in Champions League, hanno lasciato il calcio italiano solo con i suoi anni di magra, e non soltanto in termini di titoli. Complice anche la distanza sempre più netta tra quei pochi club in grado di sostenere gli enormi costi di uno sport sempre più per ricchi, e tutte le altre società dalla mentalità ancora “patriarcale”, fatta di presidenti e stadi comunali, e non di consigli d’amministrazione e brand management. Nei periodi recenti sono stati tanti i buoni giocatori, in alcuni casi anche ottimi, ma pochi i fuoriclasse. Molti gli atleti che si sono affermati solo col tempo nei maggiori club o che in generale hanno faticato a esprimersi con continuità ai massimi livelli, a volte per motivi caratteriali e a volte per problemi fisici, come Mario Balotelli, Sebastian Giovinco e lo sfortunato Giuseppe Rossi.

 

Prendersi il testimone

Eppure in due date recenti sboccia la speranza che qualcosa sia cambiato. Non tanto nel risultato che queste hanno portato a casa, quanto nelle qualità degli azzurrini che da lì a pochi mesi sono andati a imporsi nei propri club come titolari, nella personalità che hanno esibito, nelle promesse che si intravedono nel loro modo di stare in campo, nei progressi che questi riescono tutt’oggi a compiere, migliorando come giocatori partita dopo partita, e stagione dopo stagione. Le due date in questione sono il 18 giugno 2013, quando a Gerusalemme l’Italia Under-21 perde per 4 reti a 2 la finale europea contro la Spagna dei Morata, dei Thiago Alcantara e degli Isco, e il 24 giugno 2015 a Olomuc, quando i fratelli minori di quegli sconfitti escono al primo turno di Euro 2015 per la differenza reti. Hanno segnato un solo gol in meno rispetto alla Svezia che si aggiudicherà il titolo. Si tratta di due nazionali sconfitte, è vero, ma come spesso accade è nella desolazione della sconfitta che i campioni intravedono basi solide per i successi futuri, e tra quei giocatori sono tanti quelli che hanno alte probabilità di mantenere le loro “promesse”. A dire il vero, così tanti non se ne vedevano da quasi vent’anni.

Molti di loro si sono affermati in soli due anni come punte di diamante del loro club, c’è chi fatica a trovare spazio e scalpita per farsi trovare pronto, e chi ancora si impone a suon di gol o prestazioni mature, quasi come fosse impaziente, dal suo palcoscenico di provincia, o di periferia. Delle occasioni imminenti per incidere il loro nome sulla maglia azzurra parleremo più avanti, così come dei pericoli a cui vanno incontro in un calcio che fa schizzare in alto i valori di mercato e pretende in cambio un tributo atletico prima che tecnico. Intanto però il testimone sta là in mano agli sconfitti del Brasile. Vediamo quanti di loro, e in quanto tempo, riusciranno a prenderselo.

 

Nell’immagine in evidenza, l’Under 21 italiana durante gli ultimi Europei di categoria in Repubblica Ceca. Christian Hofer/Getty Images