Ho visto Sandro Nesta

Il 19 marzo l'ex difensore di Lazio e Milan compie 40 anni: della sua carriera rimane l'immagine di una sagoma eterea, che duella, s'impone, emoziona.

Sandro Nesta

Le sentenze definitive sui grandi giocatori, specie quelle che azzardano confronti e paragoni, non mi sono mai piaciute. Come per i gusti in letteratura, filosofia, arte, o anche enogastronomia, ho sempre cercato di rifuggire da comodi ma fuorvianti giudizi perentori. Su Alessandro Nesta, però, ammetto candidamente la contraddizione: per quanto mi riguarda, è il miglior difensore centrale che io abbia mai visto calcare un campo da calcio. Comprendo ogni possibile obiezione: e Beckenbauer? E Scirea? E Baresi? E Maldini? Comprendo e accetto: sono giocatori per me di un’altra epoca, Maldini escluso, e quindi non mi sento di conoscerli a fondo e di esprimermi. Sul fatto che ritenga Nesta migliore di Maldini come centrale, rimango della mia idea nonostante veda in Maldini un giocatore in assoluto più forte, visto che in carriera ha ricoperto due ruoli, terzino sinistro e difensore centrale, essendo il migliore o tra i primi tre per molti anni. Beata quella squadra che poteva avere Maldini e Nesta come coppia centrale.

Ci sono momenti, nella vita, che sono come cesure. Tagli fatti sulla tela della tua esistenza, squarciano un’epoca che ormai volge al crepuscolo dei suoi confini spazio-temporali. Il 13 maggio 2012 ho vissuto uno di quegli attimi, dilatato per 90 minuti e oltre: Milano, San Siro, ultima di campionato, Milan-Novara. La seconda stagione di Massimiliano Allegri sulla panchina del Milan si chiude in un grigio pomeriggio primaverile, con una partita senza alcun significato per la classifica: la Juve è campione d’Italia, il Milan è sicuro del secondo posto più amaro degli ultimi dieci anni, il Novara, salito in due anni dalla Prima Divisione alla Serie A, è già retrocesso. Ma non è il passato prossimo, fatto di delusioni patite soprattutto sul campo, ad ammantare di una strana patina malinconica quella domenica di maggio che, altrimenti, non sarebbe pesata così. È la prospettiva a breve, medio e lungo termine a instillare nell’anima milanista presente allo stadio una sorta di dispnea collettiva, un affanno di fiato ed emozioni che toglie ossigeno alla visione di ciò che si mostra davanti e trasporta la mente in una dimensione altra, in uno spazio e in un tempo indefiniti e assillati da una domanda: che succederà adesso?

In tackle su Steven Gerrard, nella finale di Champions vinta ad Atene nel 2007. Olivier Morin/AFP/Getty Images
In tackle su Steven Gerrard, nella finale di Champions vinta ad Atene nel 2007. Olivier Morin/AFP/Getty Images

L’aria che tira è quella della smobilitazione. Gli addii certi sono quelli di mostri sacri come Nesta, Gattuso e Inzaghi, gente con dieci anni e più passati in squadra; quelli ufficiosi sono di mostri come Seedorf, di grandi giocatori arrivati troppo tardi nella loro parabola come Zambrotta e Van Bommel. Con una squadra che vivrà il più grande passaggio generazionale e ontologico dell’era Berlusconi, a posteriori una diminutio che rappresenta ancora oggi un punto di non ritorno. La partita col Novara, finita 2-1 in rimonta per il Milan con gol decisivo di Pippo Inzaghi, passa per me totalmente in secondo piano. Gattuso è l’unico titolare dei tre generali che lasceranno l’armata: Nesta e Inzaghi all’inizio siedono in panchina. Dal primo anello arancio vedo quando iniziano a scaldarsi, e sento scuotersi il torpore sonnecchiante di un presente in cui avverto una specie di nostalgia di un passato anomalo, che deve ancora compiersi nel futuro prossimo. E guardo soprattutto lui, Nesta. Nel vederlo fare riscaldamento sulla fascia opposta mi passano in mente dieci anni di lui, dieci anni di Milan, dieci anni di me. E come spesso accade quando si arriva all’omega, e lì che l’alfa acquista senso.

A Napoli nel 2010. Giuseppe Bellini/Getty Images
A Napoli nel 2010. Giuseppe Bellini/Getty Images

E allora mentre mi scorrono davanti le maglie rossonere e blu di quel Milan-Novara, la mente corre a quella domenica 1 settembre del 2002. Quella sera, a San Siro, si gioca un derby amichevole il cui incasso sarà devoluto in beneficienza, donato alle famiglie delle vittime dell’incidente aereo di Linate dell’8 ottobre del 2001, in cui persero la vita 118 persone. Da liceale spensierato e rientrato dalle infinite vacanze estive qualche giorno prima, in cui la mancanza di calcio giocato è parzialmente e tristemente compensata dalla triade Gazza, Televideo e Studio Sport, che nonostante vada in onda alle 13.00 è un po’ il mio notiziario del mattino, mi reco allo stadio – in compagnia degli amici da stadio – carico come se fosse un derby di campionato. O di Champions: sul finale di quella stagione si sarebbe giocato proprio in semifinale, uno dei momenti più tesi della mia intera vita da tifoso.

In un derby contro Ibrahimovic, nel dicembre 2007. New Press/Getty Images
In un derby contro Ibrahimovic, nel dicembre 2007. New Press/Getty Images

Il motivo di questa mia esaltazione è un evento annunciato il giorno precedente, il 31 agosto, chiusura del mercato: Alessandro Nesta è ufficialmente un giocatore del Milan. Ho avuto pochi idoli calcistici, in gioventù, che non giocassero nel Milan (oggi la cosa è parecchio diversa, inutile rimarcarlo). Sostanzialmente tre, eccezion fatta per un’infatuazione di mezza estate per il J.J. Okocha della Nigeria a Francia ’98: uno è stato Del Piero, un altro il Ronaldo di Barcellona e del primo anno interista, l’ultimo il Nesta della Lazio. Da difensore centrale dilettante di squadre dilettanti della provincia milanese, in quel ragazzo elegante come un foulard di seta ma preciso come un bisturi vedevo un modello e una prova vivente dell’esistenza del centrale che eccelle senza dover aggredire l’attaccante con mezzi leciti o più spesso illeciti, seguendo il famoso dettame di Nereo Rocco. Anche quando segnò un gol decisivo, proprio al Milan, nella finale di ritorno di Coppa Italia sempre nel 1998, non riuscivo a volergli male perché io, ragazzino dei giovanissimi di una squadra di provincia, sognavo di giocare proprio come lui.

Ai tempi della Lazio, nel 2001, in uno scontro di gioco con Damiano Tommasi. Grazia Neri/ALLSPORT
Ai tempi della Lazio, nel 2001, in uno scontro di gioco con Damiano Tommasi. Grazia Neri/ALLSPORT

E così uno dei miei idoli e modelli calcistici arriva al Milan. La Lazio di Cragnotti, che con la sua Cirio vive una stagione finanziariamente poco felice, usando un eufemismo, deve vendere in fretta e furia i pezzi pregiati dell’argenteria di casa per cercare di salvare il salvabile. E i nomi che tutta Europa aveva segnato sul taccuino sono soprattutto due: Hernan Crespo e Alessandro Nesta, che finiranno proprio sulle due sponde del Naviglio. Curiosamente, quella domenica 1 settembre 2002, si troveranno tutti e due catapultati dall’armadietto svuotato di Formello al prato di San Siro, per salutare le due nuove curve: Crespo la Nord, Nesta la Sud. Un Nesta spaesato, lunghi capelli neri al vento, con una maglia viola a maniche lunghe, esce dal tunnel e si guarda intorno applaudendo incerto. Più volte, in futuro, ha poi ribadito lo stordimento e la confusione di quei giorni: lui, laziale fin nel midollo, dalla Lazio e da Roma non se ne sarebbe mai voluto andare. Ma gli eventi e le porte scorrevoli del destino hanno deciso diversamente, e così eccolo al Milan, dove per dieci stagioni è stata una delle colonne portanti di quel sacro tempio che è stato il Milan di Ancelotti, uno degli strumenti principali di quell’orchestra un po’ disarmonica ma dannatamente divertente che è stata il Milan di Leonardo, e un ingranaggio fondamentale di quel team un po’ operaio e un po’ dadaista che è stato il Milan di Allegri.

Ancora Lazio: Champions League 2001, contro il Galatasaray. Gabriel Bouys/AFP/Getty Images
Ancora Lazio: Champions League 2001, contro il Galatasaray. Gabriel Bouys/AFP/Getty Images

Delle dieci stagioni passate con la maglia del Milan, numerosi sono i momenti e le immagini di Nesta che mi vengono in mente: la sua prima grande partita disputata in maglia rossonera, in cui capisci che il salto di qualità te lo fanno fare anche i grandi difensori, fu un Deportivo La Coruña-Milan finito 0-4: ricordo un suo salvataggio acrobatico in sforbiciata sulla linea di porta (min 0.47 del video) che fu importante tanto quanto un gol. Ancora più importante, il suo rigore segnato contro la Juve nella finale di Champions del 2003: era il quarto e in quella lotteria in cui sono stati più gli errori dei centri, dava la possibilità al Milan di avere il match-point. Nesta tirò con coraggio e la piazzò a mezza altezza alla sinistra di un Buffon che intuì la traiettoria, sfiorò la palla ma non riuscì a deviarla fuori dallo specchio. Penso poi alla sua faccia triste dopo Istanbul, e alla rivincita di due anni dopo ad Atene: in una stagione in cui praticamente rientrò a marzo per un problema alla spalla – con tante voci che non troppo velatamente ironizzavano sul suo periodo di riabilitazione a Miami – Nesta tornò con la voglia di un ragazzino e la sicurezza del veterano. Ad Atene mi viene in mente l’apprensione che rapì tutti ì presenti quando nel secondo tempo sembrava che dovesse uscire per problemi di stomaco, e la gioia nel rivedere poi le immagini in cui nel dopopartita Maldini ed Ancelotti lo sbeffeggiano festanti per questa sua “debolezza”.

Stagione 2009/2010: la doppietta decisiva di Nesta in Chievo-Milan 1-2

Negli anni seguenti, segnati ancora da tanti, troppi infortuni, ricordo una incredibile doppietta in un Chievo-Milan. Lui, che in carriera ha segnato molto poco (la media al Milan è di un gol all’anno: dieci in dieci stagioni, e non ha mai fatto gol in Nazionale in 78 presenze), ne ha fatti due in una sola partita, per giunta negli ultimi dieci minuti. In quella stagione ci fu anche una sua rete alla Juve nel gennaio 2010. Ho nella mente poi mille battaglie, di un Milan che soffriva e che si ancorava alla grinta di chi, come Nesta, era sempre uno degli ultimi ad accettare l’onta della sconfitta. A tal proposito la partita che ricordo forse con più affetto di Nesta è quella giocata al Camp Nou, contro il Barcellona, nella prima giornata dei gironi della Champions League 2011/2012. Un Milan rimaneggiato e illuso dal gol lampo di Pato dopo 25 secondi viene assediato dal Barcellona del tiki-taka guardioliano. Il baluardo difensivo, insieme a Thiago Silva, ma vero comandante della nave che ondeggia sbattuta dalle onde della tempesta blaugrana, è proprio Nesta. Una sua chiusura in scivolata su Messi, per coefficiente di difficoltà, prontezza di riflessi ed eleganza, è un gesto che trascende il mero piano calcistico e si eleva su quello estetico.

Nesta vs Messi, 2011: i 30’’ da 1’43’’ a 2’13’’, oltre a immortalare la bellezza commovente della scivolata, nella parte finale mostrano un Messi a metà tra l’incredulo e il disperato che sbatte le mani sull’erba per aver, a suo modo, perso il duello

Ma oltre al difensore formidabile, che non usava mai le maniere forti e violente per fermare gli attaccanti ma faceva di tempismo, intelligenza e costanza le sue armi, ho sempre apprezzato l’uomo Nesta: mai sopra le righe, sempre discreto e rispettoso, mai un gesto eclatante. Questo non significa che sia stato un “molle”. Dava e pretendeva rispetto per sé e i suoi compagni: ricordo una sua reazione furente quando Van Bommel, poi suo compagno di squadra, lo calpestò volontariamente nel ritorno dei quarti di Champions del 2007 Bayern-Milan, ed una altrettanto vigorosa contro Thiago Motta, che nel derby di Supercoppa italiana 2011 aveva tacchettato Thiago Silva (nel video, da 6’25’’ si può ammirare un raro esemplare di Nesta furioso).

Per chi non lo conoscesse, leggendo questo ritratto – parziale nel duplice senso di incompleto e, certamente, di parte, al limite dell’agiografico – si farebbe un’idea di un campione perfetto e indistruttibile. Naturalmente Nesta era ed è umano, troppo umano nella sua sfortuna con gli infortuni, specialmente quelli patiti con la Nazionale durante i mondiali. Nesta non ha mai giocato una partita a eliminazione diretta ai Mondiali con la maglia dell’Italia. A impedirglielo un ginocchio saltato per un contrasto nei primi minuti di Italia-Austria, terza partita del girone di Francia ’98; una frattura al piede per una tacchettata avversaria in Italia-Croazia a Giappone-Corea 2002; lo stiramento del pettineo in Italia-Repubblica Ceca di Germania 2006, infortunio che ha spianato la strada a Marco Materazzi e, chissà, magari all’Italia stessa.

Alessandro Nesta, Thierry Henry

Anche sul piano calcistico, come tutti, ha poi avuto le sue giornate nere. La peggiore, di sicuro, quella del 10 marzo 2002: capitano della Lazio, derby contro la Roma di Totti, con cui si sfida da quando, pulcini, lui giocava nella Lazio e l’altro nella Lodigiani, Nesta vive 45 minuti da incubo allo stato puro. Il volto del terrore è quello dell’aeroplanino Montella, che in 45 minuti ne mette tre, anticipando in ogni modo un Nesta distratto, inspiegabilmente assente e spaesato. A tal punto da essere sostituito, a fine primo tempo, dall’allora allenatore laziale Zaccheroni che al suo posto mise Guerino Gottardi. La partita finirà 5-1, con un gol molto bello di Stankovic da fuori e uno pazzesco di Totti con un pallonetto dal limite a uccellare Peruzzi. Negli anni successivi, in alcune interviste, Nesta ha raccontato come in quella stessa settimana del derby fosse stato convocato dalla società che gli aveva comunicato l’intenzione di cederlo per fare fronte alle difficoltà finanziarie. Cosa che naturalmente trovò la sua istantanea opposizione e che in qualche modo lo destabilizzò. Ma anche nella debolezza ho un motivo per ammirare e fare mia la sua sofferenza, andando alla radice della parola sim-patìa: Nesta ha definito la finale di Euro 2000 Italia-Francia e Milan-Liverpool di Istanbul 2005 come le due maggiori delusioni della sua carriera. E, quindi, oltre alle gioie, so che abbiamo in qualche modo condiviso, da prospettive diverse ma con un orizzonte comune, due eventi sportivamente tragici (io continuo a mettere Istanbul al primo posto, dubito e mi auguro difficilmente superabile).

Finale di Champions 2003, a Manchester. Paul Barker/AFP/Getty Images
Finale di Champions 2003, a Manchester. Paul Barker/AFP/Getty Images

Nesta compie 40 anni, e io ne ho nove meno di lui. Come spesso mi accade, confronto quello che ho fatto io alla mia età attuale con quanto, a quella stessa età, avevano fatto o stavano facendo alcuni personaggi. Sia figure che stimo ma anche personalità che detesto. Pensando a Nesta, che certamente ricade nel primo gruppo, alla mia età si accingeva a tornare da Miami dopo la riabilitazione per l’infortunio al tendine della spalla, e a contribuire a riportare il Milan sul tetto d’Europa “vendicando” Istanbul ad Atene. Sembra passata una vita, ed in effetti così è: io adesso cerco di fare il giornalista e all’epoca ero uno studentello universitario laureando in filosofia. Nesta allora era all’apice della sua carriera da giocatore, mentre adesso ha iniziato una nuova vita da allenatore ai Miami FC, nella seconda divisione del campionato americano. Le nostre strade si sono per ora idealmente divise, ma il suo quarantesimo compleanno mi ha fatto paradossalmente il regalo di tornare con la mente a tanti momenti felici, e anche a qualcuno meno bello. E tutto è cominciato dal ricordo di un Milan-Novara del 2012. Dove, per la cronaca, Nesta fu messo da Allegri a centrocampo per la sua ultima uscita con la maglia del Milan. Ruolo che fece tra l’altro per molti anni nelle giovanili della Lazio, in cui entrò a 8 anni, prima di essere spostato in difesa nella primavera di Mimmo Caso che vinse il titolo nazionale nel 1995. Per poi essere lanciato titolare da Zeman, maestro d’attacco, sul finire della stagione successiva. Composizione circolare della carriera di colui che, per quanto mi riguarda, è stato il più forte difensore centrale che ho visto giocare.

 

Nell’immagine in testata, un’acrobazia di Alessandro Nesta in Milan-Genoa del 27 gennaio 2008. Alberto Pizzoli/AFP/Getty Images. Nell’immagine in evidenza, Alessandro Nesta durante i Mondiali 2006. Patrick Hertzog/AFP/Getty Images