L’inizio difficoltoso, il -11 in classifica, le 24 vittorie in 25 partite. Il quinto scudetto di fila della Juventus ha avuto una genesi complicata, e poi incredibile: da novembre i bianconeri non hanno più perso, annichilendo ogni speranza di vittoria delle concorrenti con tre turni d’anticipo. Massimo Zampini, Maurizio Romeo, Davide Terruzzi, Sandro Scarpa e Francesco Andrianopoli del sito Juventibus raccontano il trionfo di Buffon e soci.
Il mercato
Massimo Zampini (MZ): Il 29 agosto ero convinto che avessimo fatto il mercato quasi perfetto: giusto privarsi di un giocatore all’epilogo, di uno che non vedeva l’ora di tornare a casa e del terzo, ben pagato e alla chiusura di un ciclo; bene l’acquisto di Dybala (ma – e ci arriveremo più avanti – non pensavo affatto fosse a questi livelli), importante il carattere di Mandzukic, perfetti Zaza come ricambio davanti e Rugani dietro, ottimo Khedira a costo zero (col dilemma infortuni, certamente), interessantissimi gli acquisti sugli esterni, che alla fine si sono rivelati spesso decisivi. Il 31 agosto, però, temevo avessimo sbagliato la mossa chiave. Soprattutto, mi preoccupava il modo: inseguire un giocatore per settimane e poi, all’ultimo minuto, ritrovarsi con un altro, che non era esattamente nei piani di staff e tecnico e pareva non entusiasmare nessuno. Posso dire che avevo ragione il 29 agosto e, probabilmente, non avevo tutti i torti il 31.
Maurizio Romeo (MR): Nemmeno il tempo di assimilare la bruciante sconfitta di Berlino che arrivano gli addii eccellenti: oltre a tre colonne come Pirlo, Vidal e Tevez lasciano la Juventus e se ne vanno anche riserve importanti in campo quanto nello spogliatoio come Marco Storari, Nando Llorente e Simone Pepe. Un rinnovamento deciso, che porta a investimenti importanti che in estate possono anche sembrare scommesse come Neto, Rugani, Alex Sandro, Khedira, Lemina, Hernanes, Dybala, Zaza e Mandzukic. Alla chiusura del mercato sono ottimista, soprattutto gli ultimi anni mi hanno insegnato che i conti non si fanno sulla carta a settembre ma sul campo in primavera, anche se devo ammettere che gli acquisti dell’ultima ora mi lasciano qualche dubbio (mi aspetto Draxler, arriva Hernanes). Come sempre la ragione vince sul cuore: ognuno dei nuovi acquisti lascia un suo segno sulla stagione, lenendo così i rimpianti per chi è andato a giocare in altri lidi. Anche quest’anno quasi tutti gli investimenti sono stati azzeccati e hanno portato risultati, sta diventando una buona abitudine.
Davide Terruzzi (DT): Saggio è fare ciò che è più logico. Dopo il quarto scudetto, la vittoria in Coppa Italia e la finale di Champions, la Juventus ha ritenuto fosse la soluzione migliore quella di rivoluzionare la rosa, costruendo sui successi senza aspettare la fine naturale di un ciclo. Non sapremo mai davvero se tale decisione sia stata condizionata dalla scelta di vita di alcuni dei giocatori, ma la dirigenza bianconera è stata brava a scegliere i sostituti perfetti dei partenti migliorando nel suo complesso la rosa, consegnando ad Allegri una Juventus profonda, completa e altamente competitiva. I nuovi arrivati si sono poi dimostrati degli ottimi professionisti, ragazzi capaci di calarsi in una nuova realtà entrando con umiltà in uno spogliatoio vincente. Ci sono state scelte che meritano però di essere criticate: la cessione di Coman va in controtendenza con la politica di acquistare alcuni dei migliori prospetti europei in circolazione (spinti a scegliere Torino come destinazione avendo come esempio Pogba); il tormentone trequartista non si è sciolto fino all’ultimo giorno di mercato senza riuscire ad acquistare un titolare. Per la prossima stagione sarebbe meglio arrivare a fine luglio con un mercato nettamente definito e prossimo alla chiusura se non chiuso. Questo scudetto inizia un nuovo ciclo: la Juventus ha vinto con e senza Conte; con e senza Pirlo, Tevez e Vidal. Sono i giocatori a fare la differenza, gli allenatori sono fondamentali nella gestione del gruppo, ma la pietra angolare dei successi resta sempre la società.
Sandro Scarpa (SS): Il mercato più rivoluzionario e futuristico dalla prima estate di Conte. Persi tre monumenti, la Juve è stata rinvigorita da iniezioni massicce di qualità –Dybala, Sandro, Cuadrado-, esperienza –Mandzukic, Khedira- e freschezza – Rugani, Zaza, Lemina -. Scelte vincenti e lungimiranti, ma poco adatte al 4-3-1-2 vagheggiato da Allegri, ripartito quindi dal 3-5-2 con incursioni nel 4-3-3/4-4-2. Ottima anche la scelta di dare la 10 a Pogba, issatosi al rango di tuttocampista più forte del pianeta. A posteriori, anche l’unico errore – Hernanes – porterà al lusso di vedere un ex nerazzurro alzare la coppa dello Scudetto.
Francesco Andrianopoli (FA): È facile, oggi, guardare indietro al mercato e definirlo con termini entusiastici, ma al 31 agosto il tifoso medio era letteralmente inferocito: Khedira bidone, Mandzukic bidone e pagato troppo caro, Cuadrado bidone e spaccaspogliatoio, Dybala, troppo caro/troppo giovane/troppo distante da Tevez, Pirlo non sostituito, Sandro oggetto misterioso, e così via. Otto mesi dopo la realtà dei fatti è incontestabile: al di là del sogno Draxler trasformatosi nel brutto risveglio Hernanes, tutte le altre operazioni sono state largamente positive, e determinanti non solo nel dare alla Juve risultati sportivi immediati, ma al tempo stesso nel garantire il necessario ricambio generazionale: non dimentichiamo che a giugno 2016 la rosa della Juve era particolarmente logora e avanti con gli anni (contro il Monaco la squadra schierata da Allegri aveva l’età media più alta di sempre nella storia delle partite di Champions).
L’inizio
MZ: Premessa: lo sapevamo già, vincere è complicatissimo; rivincere ancora di più; farlo per la terza o quarta volta un’impresa capitata rarissimamente; trionfare la quinta, dopo avere rivoluzionato la squadra e avere perso alcuni giocatori fondamentali (anche nello spogliatoio: si pensi tra gli altri a Pepe e Storari) è un vero miracolo. Tutto ok. Però quell’inizio grottesco, nel quale si segna poco e si prende gol a ogni tiro in porta, in cui Blanchard ci infila al novantesimo e poi ci informa che era in curva a tifare Juve a Berlino, supera largamente tutto questo. Rimango fiducioso, mi arrabbio con chi se la prende con tecnico e società (anche ci toccasse una stagione fallimentare, fiducia verso chi ci ha riportato al posto in cui stavamo, con record mai raggiunti prima), considero quanto vedo una transizione naturale, inevitabile, dopo questi 4 anni e una rivoluzione di tale portata. Il primo risveglio, parrà strano, lo vedo a Sassuolo, dove andiamo sotto (al primo tiro, ci mancherebbe), rimaniamo in dieci e dominiamo il secondo tempo. Per la prima volta, nel secondo tempo della partita che ci conferma ufficialmente in crisi, vedo un’idea di squadra vincente.
MR: L’inizio è decisamente traumatico. Immaginavo che sarebbe stato difficile ricominciare con un nuovo gruppo, ma i risultati con Udinese, Chievo e Frosinone in casa e le sconfitte con Roma e Napoli (in estate le maggiori indiziate come antagoniste per lo scudetto) mi fanno capire che sarà dura. Mi “illudo” che per vincere la prima in campionato serva la mia presenza allo stadio e a Marassi ci sono: si vince anche se non si convince. Mi attacco ai numeri e penso che se abbiamo vinto gli ultimi campionati con 17-18 punti sulla seconda un distacco di 12 dalla vetta non mi deve fare paura. In quel momento però sembra guidarmi più l’incoscienza che la ragione…
Prima di campionato, Juventus-Udinese 0-1. Mai, nella loro storia, i bianconeri avevano perso in casa al debutto in A.
DT: Allegri aveva annusato l’aria già nelle prime amichevoli mandando un messaggio ai naviganti. L’inizio di stagione però è stato molto al di sotto delle aspettative. Se è vero che qualche difficoltà fosse da mettere in conto avendo cambiato diversi giocatori, la Juventus ha faticato più del previsto a trovare nuovamente la propria identità, quella che si era già intravista nella sfida della Supercoppa con la Lazio. La prima Juve è stata una squadra molto determinata, intelligente, attenta negli scontri di Champions; più frenetica, isterica, svagata e distratta in campionato contro le medio-piccole. La preparazione accelerata in vista dell’impegno in Cina ha causato infortuni privando Allegri di pedine fondamentali: non è un caso che la situazione sia migliorata col rientro di giocatori come Marchisio e Khedira. Il gioco di Allegri non prevede schemi e movimenti pre-ordinati, ma si basa molto sulle interconnessioni che si creano in campo: fondamentale quindi la conoscenza tra i vari calciatori, comprensione che necessita tempo. I senatori hanno poi avuto il compito di spiegare ai nuovi, specialmente ai giovani, la Juventus, una squadra che deve dare in ogni partita tutto per raggiungere la vittoria.
SS: Un mix letale di infortuni, vacanza mentale dei vecchi, rodaggio dei giovani e lenta decantazione di un nuovo assetto ricercato da Allegri. La Juve però non era da buttare, nelle prime 10 gare ben 5 gol subìti al primo tiro e 4 da fuori area. Ritrovata la spina dorsale con Marchisio e Khedira ed il tandem funzionale, Mandzukic e Dybala, l’Everest da scalare poteva essere scollinato, grazie all’orgoglio dei senatori in difesa che l’hanno presa come nuova irresistibile sfida sportiva.
FA: Il riepilogo dei primi due mesi del campionato è strettamente legato a quello sul calciomercato: a ottobre l’opinione pubblica bianconera, già “drogata” dai giudizi negativi sul mercato, era inferocita e largamente “ghigliottinara”, ritenendo la stagione irrimediabilmente compromessa e chiedendo la testa di allenatore e dirigenti: se da un lato è impossibile pretendere ragionevolezza dalla mente di un tifoso, per definizione irrazionale, d’altra parte anche il supporter più sanguigno e umorale dovrebbe comunque provare a contare fino a dieci e ad analizzare le situazioni a mente fretta. Noi di Juventibus abbiamo cercato di fornire gli elementi e il materiale per ragionare, spiegando che la situazione era molto grave e c’erano problemi evidenti, ma anche che nessuno di questi era irrisolvibile e che comunque non c’erano gli estremi per una reazione alla Robespierre. Il tempo ci ha dato ragione, e magari alla prossima occasione di mari tempestosi qualcuno proverà a nuotare controcorrente insieme a noi.
Il momento chiave
MZ: Lascio a tutti voi il gol di Cuadrado (primo vero segnale positivo dopo oltre due mesi di campionato) e mi prendo il finale di Carpi. Stiamo facendo una rimonta fenomenale e arriviamo alla sosta di Natale con l’ultima dell’anno, in Emilia. Andiamo sotto, rimontiamo, dominiamo fino al 3-1, un autogol sfortunato all’ultimo minuto e poi la follia nel recupero, con Lollo libero di pareggiare e per fortuna timoroso davanti a quel mostro di Buffon. Allegri scaglia la giacca a terra, anche in me (e in tanti juventini) rimane grande rabbia per come è stato gestito quel finale, che rischia di rendere ancora più complesso una rimonta già pressoché impossibile, più che soddisfazione per gli ennesimi tre punti. Questo episodio, quella paura, ci permette di arrivare alla sosta ben svegli, incavolati con noi stessi, e non fieri della grande serie di vittorie. Meglio così.
MR: Allora lo scelgo io, il gol di Cuadrado nel recupero del derby. Dopo le dure parole di Buffon e Allegri e il confronto negli spogliatoi seguiti alla sconfitta con il Sassuolo di 3 giorni prima, solo una vittoria avrebbe potuto risollevare il morale. Quel gol segnato a pochi secondi dalla fine dà di nuovo ai bianconeri la sensazione che si possono recuperare situazioni difficili. Una settimana dopo ad Empoli si prende di nuovo gol al primo tiro ma senza perdersi d’animo si ribalta il risultato. L’inizio di una cavalcata senza precedenti.
Come l’anno prima, la Juventus piega il Torino all’ultimo minuto. È il 31 ottobre: i bianconeri non perderanno più in campionato
DT: Troppo facile e scontato dire il post Sassuolo. La verità è che probabilmente non c’è un solo momento della svolta, ma si possono individuare diverse situazioni che hanno contribuito a cambiare il senso della stagione. Alcuni flash: Buffon che chiede ai tifosi di non fischiare la squadra chiedendo loro l’aiuto e il sostegno dopo il pari in casa col Chievo; il debutto di Khedira in campionato col Bologna condito da un gol; il rientro dell’equilibratore Marchisio; il percorso in Champions che dona fiducia; il pari di San Siro con un’Inter che spreca l’occasione di ammazzare la rivale più pericolosa. Sassuolo viene quindi al termine di un primo periodo in cui la Juventus aveva trovato un maggiore equilibrio, ma le parole di Buffon ed Evra hanno probabilmente chiamato i compagni a vivere al meglio mentalmente le partite e il ritiro voluto, e non subìto, ha compattato ulteriormente i giocatori. La Juventus solida, indistruttibile nasce lì ed è bagnata dalla fortuna nel derby col Torino vinto all’ultimo secondo.
SS: Facile identificare nel folle sinistro di Zaza col Napoli l’immagine cristallina dello scudetto, o nell’ennesimo derby vinto al 93° la sliding door delle risalita. Eppure il vero momento chiave stavolta non è stato “sul campo”, ma negli spogliatoi: il post Sassuolo-Juve. Negli parole di Buffon, Evra ed Allegri c’era già in nuce la serena volontà di potenza, la lucida pazzia del crederci ancora.
FA: D’accordo con Maurizio: il momento chiave è stato senz’altro il gol di Cuadrado contro il 2-1, che ha regalato alla Juve il 2-1 nel primo derby contro il Torino; non tanto perché è stata la prima vittoria della serie record, quanto perché quella non era ancora la squadra schiacciasassi vista successivamente: era ancora la Juve di Sassuolo, la Juve insicura, imprecisa e raffazzonata, e infatti la vittoria non è stata la logica conseguenza della superiorità bianconera, ma il risultato di una giocata estemporanea, conclusa con l’aiuto della fortuna, sotto forma, per una volta non metaforica, di un… colpo di deretano: che ha permesso alla Juve di far svoltare una intera stagione.
L’uomo Scudetto
MZ: Va via Tevez, il capocannoniere, l’uomo che insegue l’avversario fino alla nostra area e poi va a segnare nell’azione successiva. Al suo posto arriva Dybala, il ragazzino del Palermo, che promette bene ma… hai visto che fine ha fatto Iturbe? E se, pur molto diverso dal connazionale, avesse bisogno di spazi anche lui e non fosse da grande squadra? E se, semplicemente, avesse bisogno di un anno o diversi mesi per ambientarsi, come capitato a onesti gregari come Platini e Zidane? Dybala segna in Supercoppa, in campionato è piuttosto brillante sin dal principio ma Allegri preferisce centellinarlo, e il ragazzino man mano prende per mano la squadra. O si fa prendere per mano, che va bene lo stesso. Perché lui fa gol, assist e, udite udite, corre a tutto campo, va a prendersi il pallone trenta metri indietro, insegue l’avversario, segna reti decisive (e fantastiche) contro Milan, Sassuolo, Roma. Fantastico Buffon, leggendaria la difesa, Pogba fuoriclasse, ricambi eccellenti come Morata (si può chiamarlo ricambio?) e Zaza, va bene. Ma l’uomo dell’anno non può che essere lui, il ragazzino che non ci ha fatto mai più pensare a Tevez.
MR: Mai come quest’anno è uno scudetto di squadra, davvero espressione di un grande gruppo unito. Un gruppo che però ha al suo interno uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, un uomo stimato, rispettato e amato dai compagni, uno che «non è umano» (cit. Alvaro Morata): Gianluigi Buffon. A mio avviso Gigi è stato fondamentale per la conquista dello scudetto, fuori e dentro il campo. A ottobre non cerca alibi, anche se potrebbe, dopo la sconfitta di Reggio Emilia ma richiama i compagni, soprattutto i nuovi, ad essere parte di una squadra a onorare la maglia che indossano. Le sue parole tuonano e scuotono lo spogliatoio. Un Campione vero non solo bravo con le parole ma anche primo esempio in campo. In forma stratosferica durante la stagione regala parate decisive quanto un gol arrivando a fornire addirittura… un assist nell’azione del gol di Mandzukic con il Milan, che arriva a seguito di un suo rilancio. Dicono che la generazione ’80 non andrà in pensione fino a 75 anni, anche se è del 1978 un Gigi così però potrebbe giocare fino a quell’età.
Buffon non invecchia mai
DT: Lo spogliatoio non è un essere umano anche se è dotato di un cuore che può battere più o meno forte. La compattezza della Juventus deriva dal nocciolo duro italiano, da quei giocatori che ormai sono diventati parte viva di una filastrocca: Buffon Barzagli Bonucci Chiellini. I primi tre, più Pogba e Dybala, sono gli uomini dello scudetto, ma dovendone scegliere solamente uno faccio con convinzione il nome di Andrea Barzagli, autentico pilastro, muro, colonna della difesa e del gruppo. In questa Juve granitica c’è molto di questo toscano che i tifosi bianconeri vorrebbero poter clonare.
SS: Pogba è onnipotenza calcistica, Mandzukic l’eroe spartano dai gol pesanti, Dybala l’Eletto che sforna gemme, per tacere dei sussulti di Cuadrado, Morata e Khedira. Ma se la Juve ha riscritto la Storia le ragioni vanno ricercate non davanti, ma dietro. Napoli e Roma hanno gli stessi gol, ma la Juve ne ha subite 3 (1 su azione) nel ritorno, inviolata per 10 gare col record di Buffon. Gigi fenomenale ma semplice spettatore per ore di gioco. Il miracolo quindi è nell’impenetrabilità che va dai recuperi di Mandzukic e Dybala, all’umiltà in fase di non possesso di Pogba, Marchisio e Khedira, fino al trio difensivo. Scelgo quindi Barzagli: sempiterno, inossidabile, insuperabile, capace di annichilire Higuain, Icardi, Bacca o Aguero, e perfino di limitare Lewandovski, quasi per 180 minuti. Quasi.
FA: Può sembrare paradossale per un giocatore che vale 100 milioni di euro ed è stato nella top 11 del Pallone d’Oro, ma ritengo Paul Pogba il giocatore più sottovalutato dai tifosi dell’intera rosa. Sì, sottovalutato: spesso si pretende da lui l’impossibile, si brontola quando indugia in qualche leziosismo di troppo, senza rendersi conto che anche quando gioca male è comunque una risorsa imprescindibile per la Juve. Lo è innanzitutto dal punto di vista difensivo, un muro invalicabile che scherma la difesa come forse nessun altro al mondo, che non omette mai un ripiegamento difensivo, una marcatura, un recupero. In più, oltre a tutto questo, nella metà campo offensiva garantisce il bagaglio di regia, imprevedibilità, assist, gol, che salta maggiormente all’occhio; un apporto su due lati del campo che personalmente ritengo ineguagliato, già oggi, nella storia della Juve. Certo, puó crescere ancora, può diventare il migliore del mondo e non “solo” uno dei top11; ma quest’anno è stato determinante e decisivo in ogni singola partita della Juve, più di chiunque altro, e ciononostante in molti continuano a darlo per scontato, e a criticarlo dopo partite in cui a qualsiasi altro giocatore non chiamato Paul Pogba si tributerebbero complimenti e peana.
Il ruolo di Allegri
MZ: Chiedere a uno dei fondatori dell’hashtag #allegrimania (con Federico Sarica, venendo poi raggiunti da altri amici subentrati opportunisticamente quando il Mister stava dominando il mondo) un parere su Allegri, dopo questa stagione, è superfluo. Dopo i dubbi iniziali – non è facile subentrare a Conte dopo 3 scudetti di fila e piacere subito a noi juventini – mi ha conquistato abbastanza presto: la parola che mi fa venire in mente è “serenità”. Siamo primi, e dice che non è finita. Siamo dodicesimi, e fa capire che lui sorriderà a Natale, mentre noi lo guardiamo come un pazzo. Siamo 0-0 all’ottantesimo, e invita a stare calmi, perché il gol, se giochiamo da Juve, arriverà. Ci sono mille infortunati, e per lui non c’è problema, perché abbiamo una rosa all’altezza, anzi «avrei fatto giocare Morata comunque». Il modulo non è un problema: si difende a 4, a 3, o anche a 3 e a 4 nella stessa partita. Serenità, sempre e comunque. Tranne se vede Lollo solo davanti a Buffon, si intende.
MR: Nelle fasi iniziali del campionato sembra sperimentare un po’ troppo, costretto anche da infortuni eccellenti e da ricambi non troppo collaudati, ma è bravo a invertire la rotta e ad affidarsi alla vecchia guardia nel momento più difficile. Lo hanno dipinto come un aziendalista e come un bravo gestore. Non è così. Massimiliano Allegri è anche un grande allenatore: arrivato nello scetticismo generale in due anni ha vinto altrettanti scudetti, una Supercoppa Italiana (tradito dalla mira dei suoi), una Coppa Italia (con una finale ancora da giocare) e in Champions ha prima sfiorato l’impresa contro il Barcellona nell’inattesa finale di Berlino dello scorso anno, poi ha quasi steso il Bayern quest’anno. Certo ogni tanto fa qualche errore nel leggere la partita, ma capitava pure a Lippi… A lui e al suo team (Landucci e Dolcetti in primis) vanno i miei più sentiti complimenti. Chapeau.
DT: Fa un certo effetto leggere le dichiarazioni di inizio stagione di Allegri. La calma, diventata un mantra allegriano, trasmessa al proprio gruppo nel momento più buio si è rivelata fondamentale: il tecnico bianconero ha commesso errori, ma non ha perso mai la fiducia nel proprio gruppo. Ha saputo trasmettere e mantenere pazienza, tranquillità e lucidità gestendo al meglio l’inserimento dei giovani. La Juventus ha lavorato partita dopo partita indicandosi dei traguardi intermedi da raggiungere: Allegri ha paragonato il campionato a una cronometro centrando al meglio la questione consigliando alla squadra di avere bene in mente il traguardo finale senza prestare eccessiva importanza ai parziali. Non si è inventato niente, è ritornato alle certezze del 352 (non propriamente il suo modulo preferito), confermandosi uomo furbo e intelligente, due doti che possono fare la differenza. La forza sua e della società si deve trovare nella maturità e nella professionalità: quando in molti chiedevano la testa di Allegri e parlavano di stagione di transizione, Agnelli e Marotta sono rimasti sordi alle richieste provenienti anche da ambienti vicini ricordando allo stesso tempo quali fossero gli obiettivi annuali (ovvero vincere o lottare per la vittoria). Questo è il grande merito di Allegri e della società: sbagliano poco, sanno quello che fanno, non si fanno condizionare dalle critiche e dagli umori della piazza.
SS: Rivelazione già al 1° anno, poi un gigante nel suo celeberrimo secondo anno. L’uomo azienda che si trasforma da gestore di campioni a coltivatore di una nuova mentalità vincente, da yes man a demiurgo di un nuovo stile: consapevole, paziente, duttile. La sua Juve gestisce da grande, sa soffrire come una piccola ed è sfrontata con le superbig, come all’Allianz. Allegri va oltre l’immaginabile, perfeziona una macchina perfetta, sottraendo ferocia e maniacalità e aggiungendo consapevolezza, calma, uno stile comunicativo impeccabile ed il marchio di fabbrica: l’apparente cazzeggio creativo.
FA: Allegri non è perfetto, fa i suoi sbagli, come tutti noi, e nella prima parte di questa stagione ne ha commessi molti; a differenza di altri, soprattutto nel calcio, ha però la grandissima capacità di non fossilizzarsi sui propri errori e sulle proprie convinzioni, e in questa stagione lo ha dimostrato alla grande; la ciliegina sulla torta è stata la doppia sfida contro il Bayern e Guardiola, perché se è vero che “andarci vicino conta solo a bocce”, e che per la Juve non esiste il concetto di “buona sconfitta”, non si può non riconoscere la genialità dell’allenatore toscano nel giocare alla pari contro uno squadrone nonostante una squadra falcidiata dagli infortuni. I meriti di Allegri non possono che essere anche meriti della dirigenza che lo ha scelto, e che lo ha messo nelle condizioni di trionfare ancora una volta, contro l’opinione di molti tifosi; e se è vero che nel calcio la riconoscenza non esiste, e non si può pretendere impunità solo e soltanto per le vittorie passate, è altrettanto vero che ormai la premiata ditta Marotta-Paratici vanta tante e tali mosse azzeccate da poter instillare nel tifoso medio, quando sente di non condividere qualche decisione, che ne capiscano infinitamente più di lui, e che quindi sia meglio attendere gli sviluppi.
Ci avete sempre creduto?
MZ: Assolutamente no. Come scritto all’inizio, consideravo quasi impossibile rivincere per la quinta volta di fila, dopo una rivoluzione del genere. Figuriamoci successivamente a quelle dieci giornate, con la Juve a dieci-dodici punti da diverse squadre. Speravo nella risalita in Champions, mentre per vincere sarebbe servita una serie fuori dalla logica, mai verificatisi, senza senso. Oggi, mentre commento uno scudetto vinto con un mese d’anticipo, non riesco ancora a crederci.
MR: Se dicessi un sì convinto non sarei onesto. Ci ho creduto quasi sempre vacillando in un unico momento, ossia la sconfitta con il Sassuolo, il punto più basso della stagione: in quel momento ho pensato davvero che si rischiasse anche di non entrare in Champions League. Sono però bastate le parole di Buffon e Allegri nelle interviste al termine di quella partita per farmi capire che quest’annata non avrebbe potuto continuare su quei binari, anche se non mi sarei mai aspettato una stagione così esaltante che però non è ancora finita. È già tempo di pensare ai prossimi obiettivi: vincere la Coppa Italia e centrare un doppio double consecutivo mai riuscito a nessuno in Italia, per puntare poi il prossimo anno al 6° consecutivo e, finalmente, andare a prenderci quella maledetta Coppa dalle grandi orecchie. I sogni sono fatti per essere realizzati, in fondo queste ultime due stagioni sono perfettamente sintetizzabili da un vecchio slogan dello sponsor tecnico: Impossible is nothing.
DT: La fede vive di sogni e speranze, ma anche di disillusioni. Ho mantenuto viva la fiammella dopo la partita con l’Inter, gara nella quale i nerazzurri potevano uccidere gli avversari ma non l’hanno fatto; ho vacillato tremendamente dopo Sassuolo guardando la classifica. Ricordo bene i discorsi di quel periodo: consapevole della superiorità potenziale della Juventus non riuscivo a capire quando e come sarebbe riuscita a trasformarla in atto scaricando tutta la propria potenza. Non mi sarei mai potuto immaginare una serie così epocale di risultati utili consecutivi: il Napoli ha spinto, ci ha provato, ma è calato alla distanza e la primavera si è rivelata fatale. Le altre si sono sciolte prima, mentre la Juventus metteva la freccia e superava tutte. Prima di Natale, razionalità e tifo hanno fatto pace e la speranza è tornata a essere più somigliante a un ragionamento logico.
SS: I numeri sul campo erano dalla nostra, il calendario, i talenti, la compattezza, la qualità del collettivo, la rosa profonda. Per capire che l’Inter fosse un fuoco di paglia bastava vederla messa in campo, che il Napoli potesse pagare dopo aver spremuto i titolari e con gli scontri diretti in trasferta bastava guardare minutaggi e calendario. Per intuire che la Juve potesse spuntarla bastava guardare negli occhi Buffon e compagni dopo le sconfitte e ancor di più dopo le prime vittorie. Per crederci bastava tenere a mente la storia di questa squadra ed il suo motto perché, in alcuni casi, le patch sulla maglia valgono davvero.
FA: Sarebbe facile dire “io ci ho sempre creduto” oggi, ma fortunatamente ci sono le prove: i tweet, gli articoli, le trasmissioni radio, in cui anche nei momenti più bui sostenevo che la Juve per poter vincere lo scudetto dovesse tenere un ruolino di marcia disumano, un’eventualità a cui davo il 15% di possibilità; neppure io osavo sperare in un ruolino di marcia più che disumano, come quello a cui abbiamo assistito.