I meriti di Luca Toni

Quale eredità lascia al suo addio l'attaccante del Verona? Dal Vicenza al tetto del Mondo, passando per Monaco e Firenze. Come ce ne ricorderemo?

luca toni

È stata una penultima giornata di campionato strana. Una giornata d’addii. Quello alla carriera del capitano Bellini dopo diciotto anni all’Atalanta, accompagnato da un gol su rigore, il sesto della sua carriera, il primo allo stadio di Bergamo. Poi c’è stato quello amaro di Pasqual alla Fiorentina, a cui ha rischiato di aggiungersi quello di Francesco Totti alla Roma. Ma le lacrime di Pasqual davanti ai microfoni dei giornalisti non somigliano affatto a quelle di Luca Toni dopo la sua ultima partita col Verona. Il suo è il canto, più che del cigno, di un violino stonato, a cui però capita di azzeccare le note e di riprodurre una melodia sublime, come un rigore a cucchiaio da retrocesso contro la Juventus già campione. Un gesto da numero dieci. «Il rigore calciato col cucchiaio?» ha detto a fine partita, «Non so, perché io non sono molto normale, per fare delle cose belle bisogna rischiare».

Di cose belle Toni ne ha fatte parecchie. Le sue lacrime sono quelle di un giocatore felice, che al calcio ha dato tutto ciò che poteva, tutto quello di cui era capace, con forse un unico rimpianto: aver raccolto meno di quanto avrebbe potuto. È stato un vero attaccante. Uno che arrivava dritto in porta senza tacco, senza dribbling, magari in modo poco elegante, anche se di perle, dai tempi del Vicenza, ne ha regalate. Ha speso tutta la carriera segnando, ha lavorato solo per quello, a cominciare dalla provincia, tanta, in cui ha giocato. Il ricordo di Luca Toni a cui sono – per motivi di cuore – più affezionato risale a un Roma-Inter del 2010. Era già un giocatore stratosferico, aveva vinto il campionato tedesco col Bayern, Scarpa d’Oro, Mondiale, ma era arrivato a Roma a Gennaio dopo essere stato messo fuori squadra dai tedeschi. Nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe stato uno degli acquisti più azzeccati della gestione Rosella Sensi.

VERONA, ITALY - MAY 08: boots of Luca Toni of Hellas Verona the Serie A match between Hellas Verona FC and Juventus FC at Stadio Marc'Antonio Bentegodi on May 8, 2016 in Verona, Italy. (Photo by Dino Panato/Getty Images)
Le scarpe di Luca Toni al termine di Hellas Verona – Juventus, gara d’addio dell’attaccante (Dino Panato/Getty Images)

La scena è questa: stadio Olimpico di Roma, minuto settantuno. Perrotta serve Riise sulla tre quarti. Riise crossa morbido a cercare qualcuno in mezzo all’area di rigore. La respinge Lucio di testa, servendo involontariamente Taddei, che prova un tiraccio al volo. La palla finisce a Luca Toni. La stoppa, mezza girata e tiro secco che finisce alla sinistra di Júlio César. È gol: Roma 2, Inter 1. Toni salta i cartelloni pubblicitari a bordo campo ed esulta sotto la curva. Eppure guardatelo: in quel gol a malapena riesce a stoppare, poi si gira e cade per terra mentre tira. Ma il boato dell’Olimpico nel momento in cui il pallone buca Júlio César ti fa pensare che quello sia il più bel gol di sempre.

La rete con cui la Roma batte l’Inter all’Olimpico

Era la Roma della stagione 2009/10. L’allenatore era Claudio Ranieri, a cui  per poco non riusciva un’impresa forse tanto impossibile quanto lo scudetto appena vinto col Leicester City: vincere il campionato italiano con una Roma che aveva in rosa Faty e Brighi contro la migliore Inter di sempre, quella del triplete, e di Mourinho, quella dei Milito, degli Eto’o, dei Maicon e degli Sneijder. Con quella vittoria la Roma si portò a meno uno dall’Inter. Il gol di Toni aveva fatto da scintilla: aveva acceso le speranze più nascoste di una città che della vittoria aveva conosciuto a malapena il sapore. Era la quinta rete in quindici presenze dopo l’arrivo nel mercato invernale in prestito dal Bayern Monaco. In Germania aveva segnato 24 gol in Bundesliga e 10 nella vecchia Coppa Uefa. Nella sua squadra precedente, la Fiorentina, di gol ne aveva fatti 31 in 38 presenze, per cui si era aggiudicato (primo fra gli italiani) la Scarpa d’Oro nel 2006.

Nella galassia di attaccanti passati da queste parti, Luca è un pianeta che somiglia solo a se stesso: non ha avuto la tecnica di Ibra o di Cavani, ma forse nemmeno quella di Gilardino o di Pellissier, per fare due esempi più umani. Non è un moderno centravanti di manovra, è uno che finalizza, è un po’ Christian Vieri e un po’ Inzaghi ma più alto, più grosso e quindi più lento, aspetta che la palla gli arrivi e se arriva sporca lui allarga le braccia, ci mette il corpo, sgomita, prende calci e spinte dai poveri difensori che tentano di sbilanciarlo, non è bellissimo a vedersi, eppure. Eppure, alla fine, l’esito è sempre lo stesso: la butta dentro, a volte in modo sgraziato, raffazzonato, a volte con gesti tecnici da esteti del calcio. Corre sotto le curve delle tante squadre in cui ha giocato e esulta facendo girare la mano intorno all’orecchio destro, gesto che ripete per 324 volte fra club e nazionale.

Hellas Verona's forward from Italy Luca Toni leaves after having played his last match, the Italian Serie A football match Hellas Verona vs Juventus, at Bentegodi Stadium in Verona on May 8, 2016. Verona won the match 2-1. / AFP / GIUSEPPE CACACE (Photo credit should read GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

Non è stato un ragazzino prodigio: è noto per essere esploso tardi, a quasi trent’anni. Nato a Pavullo nel Frignano, Modena, nel 1977, è cresciuto nelle giovanili del Modena, dove ha giocato nella vecchia C-1, per poi passare all’Empoli e, a vent’anni, al Fiorenzuola. Poi Lodigiani e Treviso, in Serie B. A ventitré anni esordisce in Serie A col Vicenza, dove fa nove gol: è il centravanti emergente del campionato di A, assieme a Bonazzoli del Verona e Rossini dell’Atalanta. Le grandi squadre si accorgono di lui, Roma e Juve lo seguono con attenzione e osservatori di Manchester United, Tottenham e West Ham iniziano a farsi vedere alle partite del Vicenza, dove Toni regala perle come questo gol in rovesciata. Passa al Brescia, dove fa quindici gol in una stagione, e viene acquistato dal Palermo, a ventisei anni, per mano di Pantaleo Corvino: fa trenta gol in Serie B e 20 in A.

Alla Fiorentina ci arriva nel 2005, a 28 di anni. Lo allena Prandelli. Toni fa quei 31 gol in 38 partite con cui, oltre a vincere la Scarpa d’Oro, supera anche i precedenti record di reti messe a segno in una sola stagione con la Fiorentina, appartenuti a due miti assoluti come di Hamrin e Batistuta. È tempo di Bayern Monaco, dove vince campionato e Coppa di Germania, diventando capocannoniere della Bundesliga nella stagione 2007/08 con 24 gol. «Il Bayern rappresenta il punto più alto della mia carriera» ha commentato Toni in una recente intervista alla Gazzetta dello Sport, «malgrado delle incomprensioni con Van Gaal. Per poco non venivamo alle mani». È qui che nasce, oltre all’antipatia per il tecnico olandese, la grande amicizia con Frank Ribéry, da cui il celebre video di sfide all’Allianz Arena, unica occasione, immagino, in cui si possa vedere l’attaccante emiliano tirare le punizioni meglio del francese o segnare dagli spalti.

Quanto si divertivano Toni e Ribery insieme?

Passa sei mesi in prestito alla Roma nel 2010 dove, come già detto, quasi vince un campionato. Poi firma col Genoa, vive una brutta stagione che si ripete nel suo anno alla Juventus prima di essere messo da parte da Antonio Conte. La seconda esperienza all’estero è all’Al-Nasr di Dubai, cui segue un ritorno alla Fiorentina, a trentacinque anni, da svincolato. Il primo gol lo fa dopo 87 secondi. In totale saranno otto. Per il penultimo anno della sua carriera, va al Verona e diventa capocannoniere del campionato insieme a Mauro Icardi con 21 gol in 36 partite. Con la Nazionale sono in totale 47 partite e 16 gol. In quell’Italia Ucraina, quarti di finale del Mondiale 2006, segna due volte. Il secondo gol è mestiere: discesa di Zambrotta che entra in area, passaggio rasoterra al centro e Toni, a porta spalancata, la butta dentro di piatto.

Il primo gol invece arriva da un pallone morbido ricevuto da Totti che forse cerca Cannavaro, che la sfiora soltanto, e Toni, piazzatosi davanti al povero centrale ucraino che il pallone non lo vede neanche partire, si piega su se stesso come Gulliver sui Lillipuziani, si accartoccia quasi, e colpisce la sfera con la parte superiore della testa. Palla in rete e 3 a 0 per l’Italia, che chiude il match.

HAMBURG, GERMANY - JUNE 30: Luca Toni (R) of Italy scores his team's third goal past Goalkeeper Oleksandr Shovkovskyi (L) of the Ukraine during the FIFA World Cup Germany 2006 Quarter-final match between Italy and Ukraine at the Stadium Hamburg on June 30, 2006 in Hamburg, Germany. (Photo by Michael Steele/Getty Images)
Luca Toni batte di testa Shovkovskyi durante i quarti di finale di Germania 2006 (Michael Steele/Getty Images)

Accade però che una zona d’ombra s’insinui fra gli spiragli di luce di una carriera spettacolare. È il 2012, e Toni vive con la moglie Marta Cecchetto la tragedia di una non nascita. Il cuore del figlio Mattia non batte più. «Quello che doveva essere il giorno più bello della nostra vita si è trasformato nel peggiore. Chiediamo a tutti comprensione e silenzio nel grande dolore che deve essere solo mio e di Marta». «Un terremoto», lo definisce, quando per la prima volta parla pubblicamente dell’argomento. Un terremoto superato però grazie alla forza della moglie e all’istinto di Luca, che è abituato da sempre ad alzarsi da terra e a ricominciare a prendere calci sui polpacci, spinte, a sgomitare, a lottare, e che porta a un’altra doppietta, la nascita dei figli Bianca e Leonardo: «se non fossimo così uguali nel detestare il piangersi addosso, se ci fossimo buttati giù, forse non sarebbero mai arrivati. Questo sì che possiamo insegnarlo».

Il 2012 è anche l’anno dell’apparente declino sportivo, che sembra arrivato al culmine dopo le esperienze di Genoa e Torino. Toni segna appena tre volte nella prima, e soltanto due nella seconda, giocando quattordici volte. Non è da lui. Molla tutto e si trasferisce all’Al-Nasr, a Dubai, cosa che, di solito, significa andare a raccogliere tutto quel che si può prima di appendere gli scarpini al famigerato chiodo. Ma la Fiorentina, la squadra in cui Toni è esploso a livello internazionale, gli offre un’altra possibilità. E qui c’è la rinascita, il violino scordato che torna a suonare, il bomber che ricomincia a segnare, e che lascia presagire un finale di carriera, se non altro, dignitoso. Ma non è così: il finale con la maglia del Verona, più che la ciliegina sulla torta, è una torta intera. Nell’Hellas neo-promosso Toni ritrova se stesso e ricomincia a fare quello che ha sempre fatto: segnare una caterva di gol.  Nel 2015, a 38 anni appena compiuti, è il giocatore più anziano della storia della Serie A ad aver vinto il titolo di capocannoniere. Altro record, e titolo strappato a Dario Hübner.

Hellas Verona's forward from Italy Luca Toni acknowledges the fans after having played his last match, the Italian Serie A football match Hellas Verona vs Juventus, at Bentegodi Stadium in Verona on May 8, 2016. Verona won the match 2-1. / AFP / GIUSEPPE CACACE (Photo credit should read GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)
Luca Toni saluta i tifosi dopo la sua ultima gara in A con la maglia del Verona (Giuseppe Cacace/Afp/Getty Images)

Questa è la storia di Luca Toni, e adesso fa un certo effetto parlarne al passato. Un calciatore con cui – insieme a gente come Totti, Del Piero, Pirlo – siamo cresciuti noi figli degli ultimi anni ottanta e dei primi novanta. Perciò ben vengano le lacrime, perché dire addio allo sport che ami non dev’essere mai facile, non importa se sei Maradona, Bellini o Luca Toni. Ma io che ho esultato a quel Mondiale del 2006 o che tifo una delle tante squadre in cui ha giocato, mi sento partecipe di quel dispiacere che accompagna l’addio, sono spettatore delle lacrime di Luca e, potendo, gli farei un lieve inchino, come si fa a un attore di teatro che lascia le scene, o gli stringerei la mano. Perché quella che ha scritto Luca Toni è una storia di talento e tenacia, la storia di un calciatore che, salendo sull’imponente montagna di palloni che ha buttato in rete, sale di diritto sull’altare dei più forti attaccanti italiani.