La Russia tra due mondi

Sui gradini più alti d'Europa nel 2000, il calcio russo oggi ha fallito. Il 2018 potrebbe essere la svolta, o l'ultima chiamata.

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Si fece un gran parlare, in sede di sorteggio degli ottavi di Champions League, su quale fosse il miglior avversario per Juventus e Roma. Quasi univoca la preferenza per i russi dello Zenit, segno che, evidentemente, il calcio russo non ha fatto quel salto di qualità che meno di un decennio fa sembrava scontato. Nel 2005 il Cska Mosca solleva al cielo di Lisbona la Coppa Uefa battendo in rimonta lo Sporting 3-1 e dopo aver eliminato il Parma in semifinale. Tre anni dopo è il turno dello Zenit San Pietroburgo che al City of Manchester Stadium sconfigge 2-0 i Rangers di Glasgow dopo un’incredibile 4-0 contro il Bayern in semifinale, per poi battere, nella successiva Supercoppa Europea, lo United di Tévez, Rooney e Scholes. In entrambe le squadre militano giocatori che sembrano promettere carriere luminose. Olic e Vágner Love nel Cska, Aršavin e Pogrebnjak nello Zenit. Tutto il movimento calcistico russo sembra in ascesa. Agli Europei del 2008 la Russia di Guus Hiddink si arrende solo alla Spagna in semifinale dopo che nel primo tempo era parsa la finalista più probabile. Pavljučenko, una delle sue stelle, si guadagna quell’estate il trasferimento al Tottenhamn per 17 milioni di euro, e l’anno dopo tocca ad Aršavin fare le valigie per il nord di Londra, sponda Arsenal. In quelle settimane Sky acquista per l’Italia i diritti del campionato russo puntando forte su quello che, a detta di molti, sarebbe presto diventato il quinto torneo nazionale del continente. Giocatori promettenti e soldi freschi di spregiudicati mecenati pronti all’acquisto di campioni affermati.

21 aprile 2009, Arshavin segna 4 gol al Liverpool

Da allora, però, i club russi hanno interpretato unicamente il ruolo di comparsa sulla scena del calcio europeo nonostante i notevoli investimenti per il decisivo salto di qualità – su tutti lo Zenit e gli acquisti faraonici di Hulk e Witsel nell’estate 2012 per 95 milioni di euro. Per tacere della Nazionale che, da quella manifestazione in poi, conosce solo brutte figure. E anche i sette milioni all’anno corrisposti a Capello dal 2012 al 2015 non hanno dato esiti memorabili.

Le tanto discusse regole del fair play finanziario (Ffp) hanno notevolmente penalizzato le ambizioni russe. Nel maggio del 2014, insieme ai casi eclatanti di Paris Saint Germain e Manchester City, sono finiti sul banco degli imputati dell’Uefa anche Zenit San Pietroburgo, Rubin Kazan e Anži Machackala. La causa: sponsorizzazioni “amiche” gonfiate da soggetti o gruppi direttamente riconducibili alla proprietà al fine di incrementare il fatturato e, di conseguenza, le capacità di spesa in sede di mercato e per gli stipendi dei tesserati. Il tutto si è risolto con una forte ammenda e un limite per i futuri investimenti. Più grave il caso della Dinamo Mosca che, l’ultima estate, ha subito una squalifica di quattro anni da tutte le competizioni europee. Una corte belga si è pronunciata sull’attuazione del Ffp ma altre sentenze sono attese a breve. Come verranno recepite dall’Uefa? Viene da chiedersi se Gazprom, in quanto uno degli sponsor principali dell’Uefa e proprietaria dello Zenit, non farà pressioni affinché si trovi un compromesso. La questione vista da Mosca è molto semplice: senza la possibilità di investimenti meno regolamentati è impossibile ridurre a breve il gap con leghe più affermate ed economicamente più ricche di quella russa e acquistare campioni che avvicinino il pubblico e rendano le squadre competitive anche in ambito europeo.

Il Petrovsky Stadium di San Pietroburgo nell’inverno del 2011 (Rostislav Koshelev/Epsilon/Getty Images)

Ci sono alcuni dati a dimostrarlo in maniera evidente. Prendiamo il caso dello Zenit. Il presidente è Aleksandr Dyukov, manager di Gazprom Neft controllata da Gazprom. Quest’ultima è, de facto, proprietaria del club dal 2005. Notevoli investimenti sportivi e non solo: fra pochi mesi vedrà la luce il nuovo stadio da un miliardo di dollari al quale Gazprom legherà il proprio nome e che sarà uno dei gioielli del prossimo Mondiale, permettendo al club di abbandonare il vecchio Petrovsky sorto nel 1925 e dalla capienza limitata a 21 mila posti. Una sistemazione, quella attuale, che non rispecchia il valore e le ambizioni della società, e che rende gli introiti da stadio pressoché trascurabili. Se a questo aggiungiamo uno sviluppo del marketing da squadra di provincia della Serie A e diritti tv quasi inesistenti, i conti sono presto fatti: il fatturato della miglior squadra russa si basa quasi esclusivamente sui premi di partecipazione alle competizioni europee. Per quanto riguarda la tv, basti pensare che la trasmissione dell’intero campionato è stato acquistato dal canale via cavo NTV per 30 milioni di euro (quello che spetta al solo Bologna), circa 5 dei quali vanno allo Zenit, che a sua volta potrebbe pagarci solamente lo stipendio di Hulk. Per fare un confronto: il campionato turco è pagato 400 milioni e quello norvegese 65.

I motivi? La lega russa non fa nulla per valorizzare il suo prodotto. Se da un lato la pausa invernale è necessaria e i russi abbonati via cavo sono pochissimi, dall’altro gli orari delle partite sono sincronizzati sul fuso orario della Russia europea e spesso in orari assurdi con buona pace dei tifosi delle squadre al di là degli Urali; gli stadi sono spesso vecchi e piccoli (il Khimki del Cska Mosca non arriva a 20 mila posti) e la Lega è un’accolita di potentati autoreferenziali in lotta tra loro e privi di una strategia di sviluppo condivisa. Sintetizzando, Gazprom fattura 160 miliardi di euro l’anno ma le regole del Ffp ne limitano pesantemente la possibilità di spesa nel club.

Lacina Traore nella neve (ma di Hannover, non del Daghestan) (Patrick Stollarz/Afp/Getty Images)
Lacina Traore nella neve (ma di Hannover, non del Daghestan) (Patrick Stollarz/Afp/Getty Images)

Un altro caso esemplificativo è quello dei daghestani dell’Anži comprato nel 2011 dal chiacchieratissimo Sulejman Kerimov, a un passo dall’acquisto della Roma sette anni prima. Azionista Gazprom, nel business delle miniere di oro e argento e presidente di Uralkali (estrazione e commercio di potassio) nonché della compagnia petrolifera Nafta Mosca. La sua ricchezza parte dal matrimonio con Firuza, figlia dell’allora segretario del Pcus del Daghestan, e prosegue tra spregiudicatezza, amicizie influenti e prestiti di banche parastatali. Tanto basta dopo il 1992 per raggiungere i 7 miliardi di dollari di patrimonio personale. Secondo la Bbc stanzia subito un budget annuale di 170 milioni di dollari che viene incanalato in alcuni eclatanti acquisti: Samuel Eto’o per 32 milioni di euro (e ingaggio da 20 netti) e Willian per 40. Ma l’estate del 2013 è quella della svolta: per l’Anži e per tutto il movimento calcistico russo. È sufficiente un tweet del presidente Konstantin Remčukov per comunicare che le strategie societarie sono destinate a cambiare fin da subito: budget ridotto di 50-70 milioni di dollari l’anno (in realtà la riduzione sarà di circa il doppio, secondo la Bbc) per perseguire strategie di sviluppo più a medio termine e rispettare i paletti del Ffp.

Anche il razzismo diffuso è un problema per il campionato russo. Qui Roberto Carlos lascia il campo dopo il lancio di una banana

Basta questo a giustificare il ridimensionamento? Pare di no. L’Anži è fuori dalla Champions League, essendo giunto terzo in campionato, l’avvio di stagione è deludente (due pareggi e due sconfitte nelle prime quattro), Hiddink se ne va e il suo successore Meulensteen, assistente di Ferguson a Manchester, è causa della lite tra Eto’o e Igor’ Denisov, che rescinde dopo sole tre partite. Fin qui l’aspetto sportivo, ma c’è altro. Gazprom perde il 10% sugli utili netti e la Uralkali chiude luglio con mezzo miliardo di dollari di perdite. Troppo anche per il conto in banca di Kerimov. Da qui in poi è smobilitazione. Partono tutti e l’Anži retrocederà. Ma, come detto, il ridimensionamento è generale. Come riporta Marco Bellinazzo nel suo blog dedicato a Calcio&Business, le difficoltà sono evidenti per tutti. La Russian Prem’er League vede, durante quell’estate, un bilancio della campagna trasferimenti in passivo per soli 20 milioni di euro, a fronte dei 500 complessivi nel triennio 2010/12. Alekseij Miller, Ceo di Gazprom – a ulteriore conferma su chi muove i fili del calcio in Russia – rende pubblico il progetto di unificare le leghe russa e ucraina e di dare vita a un campionato più attraente per sponsor e tv, che possa avvicinarsi nell’immediato al fatturato della Ligue 1 con margini di crescita, però, molto maggiori.

Una svastica nello stadio di Volgograd. In vista dei Mondiali russi, la struttura è stata abbattuta nel 2014 per costruire un nuovo impianto (Harry Engels/Getty Images)
Una svastica nello stadio di Volgograd. In vista dei Mondiali russi, la struttura è stata abbattuta nel 2014 per costruire un nuovo impianto (Harry Engels/Getty Images)

Naturalmente, il colpo di stato a Kiev, la Crimea e la guerra nel Donbass hanno sepolto il progetto prima ancora che potesse vedere la luce. Oggi squadre russe e ucraine non possono neppure essere sorteggiate negli stessi gironi delle competizioni internazionali. Un ultimo dato non trascurabile, anche se non decisivo, è il rallentamento della crescita economica russa negli ultimi anni. L’aumento del Pil è in forte calo dal 2013 e il rublo ha conosciuto una significativa svalutazione nei confronti di euro e dollaro negli ultimi due anni ed, essendo i contratti di molti calciatori stranieri che militano nelle squadre russe in dollari o euro, questi costano molto di più alle società.

Quale futuro, allora, per il calcio russo? Dal punto di vista delle infrastrutture probabilmente il Mondiale 2018 migliorerà le cose, lasciando ai club stadi più moderni, fruibili e quindi redditizi. Inoltre, le regole del Ffp dovranno essere fissate una volta per tutte e solo allora si capirà quanti margini avranno i ricchi capitali russi per finanziare il movimento e permettergli di crescere in tempi rapidi. Infine la lega dovrà trovare un progetto di sviluppo rendendo il prodotto più appetibile per sponsor e tv e per i grandi giocatori, un appeal non più basato su ricchi contratti ma su un contesto sportivo credibile, godibile e competitivo a livello europeo. Il Mondiale e le sue ricadute sul movimento saranno l’ultima chiamata: se non dovesse funzionare, i nuovi ricchi guarderanno a ovest per la loro voglia di calcio.

 

L’articolo è comparso originariamente sul numero 8 di Undici.
Nell’immagine in evidenza, lo stadio di Volgograd nel 2011 (Harry Engels/Getty Images)