Metodo V

La storia di Victor Valdés, uno dei portieri più vincenti di sempre. Dalle difficoltà iniziali alla voglia di uscire di scena senza clamore, come Roberto Baggio.

Victor Valdés ha quello sguardo che funziona sempre, quello che ti fa diventare angelo nella recita di Natale. È lo stesso dai tempi della Masia, il luogo in cui ogni bambino di Barcellona sogna di arrivare. Forse non lui, che non ci si vede, da grande, a fare il portiere. Gli hanno detto che è bravo, ma lui telefona a casa tutte le sere e chiede ai genitori di andarlo a prendere. Inizia da qui questa storia, una trama che non ha lieto fine, ma solo per chi è abituato a giudicare il calcio senza entrare nella vita delle persone. Ho amato questo portiere. Quella di Victor Valdés, 34 anni, è la storia di un «niño con zapatas nuevas», come lui stesso ama ripetere. Stando ai numeri, è il portiere più vincente della storia, l’unico capace di alzare per tre volte la Coppa dei Campioni, vincere sei volte la Liga, tre Coppe del Re, e ancora un Mondiale e un Europeo (seppur da secondo). Raramente, però, l’abbiamo visto davvero libero di esprimere la propria gioia, tranne che in un’occasione: «L’unica volta in cui sono stato davvero felice è stata a Parigi, nel 2006. Il Barcellona non vinceva una Coppa dei Campioni dal 1992, un’eternità. Ogni volta che riguardo quel video mi emoziono. Mi ricordo che, al nostro ritorno, la città era tutta in strada e mentre reggevo la coppa ho provato la felicità».

La finale di Champions del 2006 vinta dal Barça contro l’Arsenal

Il Metodo V

Oggi Victor Valdés gioca in Belgio, nello Standard Liegi, non un campionato di primo piano. E se proprio vuoi giocare a quelle latitudini, forse può essere una buona idea scegliere il blasone dell’Anderlecht, oppure difendere i pali del Malines, la squadra dove una volta si esibiva Preud’homme, un portiere eccezionale, capace, da solo, di complicare la vita alla macchina perfetta di Sacchi in un quarto di finale di Coppa dei Campioni. Se il valore del cartellino di Victor era di 20 milioni, fino a due estati fa, oggi vale meno di quattro e pochi club europei spenderebbero quei soldi. Al di là del grave infortunio subito, e ci torneremo, questo Victor è un uomo troppo distante dal calcio e dalle sue logiche. Appassionato di cinema e libri (ne ha scritto uno molto bello che si chiama Metodo V), è una persona che detesta il successo, tanto da voltargli le spalle, mostrargli il numero 1. Che non è simbolo metaforico di un bel niente, se non la certificazione del ruolo, mai amato, che ricopre in campo. Lo era già ai tempi delle giovanili del Barça, quando prima di un torneo ufficiale chiese di tornare a casa, perché il calcio lo affascinava meno dello studio. Il padre racconta di averlo visto piangere di nascosto sul divano di casa, nell’estate del 1994 a 12 anni, mentre vedeva i suoi giovani compagni esibirsi in televisione in un torneo estivo a Tenerife. È in quel momento che José decide di riportarlo alla Masìa. Victor continua a nutrire dubbi su quel ruolo: «Vedevo i miei compagni abbracciarsi per un gol. Io ero sempre solo e se subivo una rete, tutti mi guardavano male. Soffrivo tremendamente questa cosa». Ci vorrà uno psicologo, a diciotto anni, per fargli accettare che la porta non è un nemico, ma un alleato. Il ragazzo ha un talento naturale e, nonostante le resistenze ad accettare il ruolo di estremo difensore, una predisposizione al sacrificio. Si allena con costanza, è cattivo al punto giusto, vuole migliorare sempre, sebbene continui a non amare quel mestiere. «Gioco a calcio perché mi hanno convinto» scrive nel suo libro «e io l’ho accettato con la massima disciplina possibile».

BARCELONA, SPAIN - OCTOBER 25: Victor Valdes of FC Barcelona blocks the ball during a training session at the Camp Nou Stadium on October 25, 2013 in Barcelona, Spain. (Photo by David Ramos/Getty Images)Victor Valdés in un momento di allenamento ai tempi di Barellona (David Ramos/Getty Images)

Màs que un guardameta

È Van Gaal a vedere nel ragazzo un talento che nessuno vede davvero. Non a caso l’olandese è colui che fa esordire Puyol e Xavi e magari in futuro rivaluteremo anche la sua ultima esperienza a Manchester. Ma non si arriva per caso a difendere la porta del club più prestigioso del mondo. Tecnicamente è stato Radomir Antic, nella stagione 2002/03, a far esordire Victor, ma fu poi Frank Rijkaard a lanciarlo da titolare nella stagione successiva accantonando Rustu. Poi con Guardiola arriverà ai livelli che tutti sappiamo, mentre da Tito Vilanova imparerà a rinforzare il carattere per affrontare la vita. Ma non è stato tutto semplice. In una delle prime esibizioni in blaugrana provoca due calci di rigore con due uscite avventate. Si demoralizza, non si fa vedere al campo di allenamento per qualche giorno e Van Gaal non glielo perdona. Non puoi scegliere un allenatore peggiore per mettere a nudo le tue debolezze. Per il senso del gruppo che Van Gaal ha, anche a scapito dell’individuo (e in questo si differenzierà molto da Guardiola e Tito Vilanova che saranno gli allenatori preferiti di Valdés), quella del numero uno catalano è una questione da risolvere in fretta. Gli dice: «Se lo fai un’altra volta trovati un altro mestiere». Victor ha meno di vent’anni e tutto il tempo per rifarsi, di certo ignora che l’allenatore olandese, quello che lo lancia nel calcio che conta, si ricorderà di questo episodio un decennio più tardi, a un’altra latitudine.

La storia di VV è l’equivalente calcistica di quella di un altro grande infelice dello sport, André Agassi, ma questa volta non c’è nessun genitore che lo costringe, perché papà Valdés comprende, non influisce nelle scelte del figlio, lo appoggia e lo perdona ogni volta che cambia idea. Per raccontare la fine, invece, basta soffermarsi su una bellissima intervista rilasciata al giornalista colombiano Marlon Becera: Valdés parla del suo infortunio, quello che sancirà il suo addio al calcio di un certo livello, come di un destino da accettare. Ha già annunciato che a fine stagione lascerà il Barcellona, pur non dichiarando cosa c’è davvero dietro questa decisione. Ma non si tratta di banali “nuovi stimoli” o “voglia di misurarsi altrove”, perché queste sono espressioni che non lo riguardano. È molto più probabile, se non certo, che sia stanco di essere riconosciuto ovunque, di scattare foto, di sentire sulle spalle il peso di una città che ama (è reciproco) e che al tempo stesso gli chiede tantissimo. Di certo non immagina che in quella partita contro il Celta, l’ultima da barcelonista, possa succedere l’evento che cambierà in maniera così radicale la sua vita. L’arbitro, che per ironia della sorte è lo stesso che qualche settimana prima ha fischiato un penalty all’Almerìa per un fallo avvenuto fuori area, decreta un rigore contro il Barcellona. Fuori area. Valdés si ricorda dell’episodio di Almerìa. È capitano quel giorno, e va dall’arbitro a mettergli pressione. Gli chiede insistentemente di consultare il guardalinee che gli conferma: «Sì, è fuori».

 
La video intervista di Victor Valdés con Marlon Becera

La vita fuori dal calcio

«Non cambierei mai il risultato di una partita. Li accetto tutti, ma la storia di quella partita sì, la cambierei. Se non fossi stato il capitano, in quella occasione, sarei rimasto in porta a tentare di parare il rigore. Invece, nel momento in cui l’arbitro ha cambiato idea, concedendo la punizione dal limite, la mia vita ha preso un’altra direzione». Su una punizione innocua, morbida, un pallone di quelli comodi, visti passare dalle parti dell’area di porta mille volte in una carriera, Valdés, non pressato, controlla in due tempi. Atterra male con la gamba d’appoggio, cade, ma si rialza subito convinto che con un movimento così semplice non possa essere successo nulla. Urla, ma resta in piedi. Fa altri due passi saltellando con una gamba sola, poi d’istinto butta il pallone via e si accascia al suolo con la testa tra le mani. Capisce subito che qualcosa è cambiato. «Il mio cervello pensava al pallone», dirà nella sua biografia. «Quante volte noi giocatori pensiamo al pallone e non ci rendiamo conto di quello che può succedere in campo, di come le cose possono cambiare».

Ma è qui che inizia una nuova vita per Valdés. Victor ama ricordare che quell’infortunio gli ha dato l’opportunità di tornare a vedere cos’è la vita fuori dal calcio. Durante gli anni dei trionfi si era dimenticato il valore del denaro, di un caffè fuori casa senza essere riconosciuto. La “vita fuori dal calcio”, quella che forse avrebbe voluto vivere uno reticente alla fama e alle luci della ribalta. «L’infortunio mi ha dato l’opportunità di apprezzare la quotidianità. Sono stato sei mesi in Germania, ogni giorno prendevo un bus per andare a fare fisioterapia, nessuno mi fermava durante il tragitto, nessuno mi riconosceva per strada. Ho ripreso a dare valore ai soldi, al biglietto del bus, alla spesa al supermercato. Quando sei calciatore non dai il minimo peso a queste cose. Oggi so di venire da Asburgo, non da Barcellona».

PALMA DE MALLORCA, SPAIN - OCTOBER 11: Victor Valdes of Spain leaves the pitch after the warm up prior to the FIFA 2014 World Cup Qualifier match between Spain and Belarus at Iberostars Stadium on October 11, 2013 in Palma de Mallorca, Spain. (Photo by David Ramos/Getty Images)
Víctor Valdés durante il riscaldamento con la maglia della Nazionale spagnola (David Ramos/Getty Images)

I successi (e le responsabilità) di Barcellona

Non sembra di sentire parlare il portiere che a Barcellona ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Parte della stampa catalana l’ha considerato per anni l’unico punto debole di una macchina perfetta, ma i tifosi erano troppo affezionati a lui, al portiere che viene dalla Cantera, che negli anni imparerà anche a essere decisivo. Il 6 maggio del 2009, in una semifinale contro il Chelsea, che passerà alla storia soprattutto per la buena suerte di Guardiola (ma tutte le grandi storie sportive hanno bisogno di un vento a favore) e per le decisioni controverse di Overbro, è lui a tenere in vita il Barcellona, con parate da fuoriclasse nel primo tempo. Sarà Iniesta a regalare al Barca, al 93’, la finale di Roma. L’anno dopo, in un’altra semifinale, contro l’Inter di Mourinho, assisterà praticamente da spettatore alla partita di ritorno dopo aver subito la furia di Milito e Sneijder a San Siro. Quella sera, al Camp Nou, va in scena la massima rappresentazione della frustrazione di un portiere che vorrebbe dare il suo contributo alla remuntada, ma non può fare altro che passeggiare nervosamente nell’area di rigore, mani ai fianchi, guardare quello che succede dall’altra parte. Novanta minuti al Camp Nou sono “muy largos”, anche se sei il portiere della squadra che attacca, soprattutto se devi rimontare. Nessuno che lo chiama in causa, se non per qualche banale rinvio, l’Inter è chiusa nella propria area a difendersi e soffre davvero solo negli ultimi cinque minuti. Quando l’arbitro fischia la fine, è proprio lui che va a rincorrere Mourinho, reo di aver festeggiato nel sacro terreno del Camp Nou. Ci vorrà mezza squadra per fermarlo, per la prima volta Victor non accetta una sconfitta, non si dà pace. Gli anni del Barcellona sono per lui un crescendo di successi. Guardiola, che conosce benissimo il suo potenziale ma anche il carattere, si assume una grande responsabilità. Se vi siete mai chiesti perché la squadra più forte del mondo, forse una delle più forti di tutti i tempi, abbia puntato su Pinto come secondo portiere, sappiate che Victor Valdés è la risposta.


Mourinho corre a festeggiare il passaggio del turno al Camp Nou, Valdes lo rincorre per fermarlo

La capretta e il purosangue

Quando durante un Clàsico, in mondovisione, Capello dice a Stefano Borghi, voce di Sky, «Pinto non è un portiere dai, serve per fare compagnia, come la capretta col purosangue», oltre a una constatazione tecnica ci sta dicendo molto di più. Pinto ricoprirà il ruolo di secondo portiere del Barcellona dal 2008 al 2014, anno in cui Victor Valdés decide di andare via. A parte un rigore parato contro il Maiorca (quando indica all’avversario dove tirare) di lui ci si ricorda più per il look che per il rendimento. Sarà lo stesso Pinto a dire. «Ho all’attivo più minuti da cantante che in campo con il Barcellona» e in molti hanno spiegato la sua presenza in rosa per l’amicizia fraterna con Messi.

Ma in realtà la scelta di Guardiola prima, e di Vilanova poi, è stata quella di non prevedere una riserva per Valdés, di liberarlo da qualunque forma di competizione, e di coprirgli le spalle con un portiere ai limiti dell’affidabilità. Il purosangue Victor va gestito senza pressioni e per il gioco di Guardiola uno così abile con i piedi e così bravo nelle uscite è fondamentale, va tutelato e messo nelle condizioni di giocare senza pensieri, anche perché bastano già quelli che ha. Victor odia la competizione, non la considera una componente necessaria in uno sport dove a suo parere bastano talento e disciplina a rendere possibile ogni impresa, ha bisogno di grande equilibrio per esprimersi al meglio, ed è proprio grazie a questa tranquillità che a novembre del 2011 riesce a battere il record di imbattibilità della Liga. Nemmeno i trionfi internazionali gli cambiano la vita. Per lui quello del portiere è un mestiere da fare nel miglior modo possibile e basta. Ed è forse per questo che a un certo punto, nonostante abbia davanti almeno altri 4 o 5 anni da giocare nel dream team in cui è cresciuto, decide di andare via. E non torna sui suoi passi dopo essersi rotto un ginocchio.

FORTALEZA, BRAZIL - JUNE 23: Victor Valdes of Spain takes a goal kick during the FIFA Confederations Cup Brazil 2013 Group B match between Nigeria and Spain at Castelao on June 23, 2013 in Fortaleza, Brazil. (Photo by Clive Mason/Getty Images)

Il romantico, l’introverso e il guascone

In Nazionale la storia è completamente diversa, si rovescia. Valdés è l’eterno secondo di Casillas, purosangue non solo in campo. Iker è il leader dello spogliatoio, la bandiera, il simbolo della Castiglia, il ragazzo con la faccia pulita. Spesso, nelle grandi manifestazioni, capita di avere un’occasione per giocare: l’espulsione del primo portiere, un piccolo infortunio, una partita da giocare in un girone già vinto. Non è così per lui, che vince un Mondiale e un Europeo senza mai mettere piede in campo, nonostante qualche lieve flessione di Iker; né Aragonés né Del Bosque hanno mai rinunciato al capitano. Dei tre portieri della spedizione spagnola lui è l’introverso, la riserva silenziosa, il guardaspalle. Il ruolo di guascone lo recita Pepe Reina: è lui a prendere il microfono in mano durante la festa di Madrid. Chiama uno per uno i compagni e scherza con Fabregas, gli fa indossare la maglia del Barcellona e lo invita a tornare a casa, visto che anche lui viene dalla Cantera, come Valdés il portiere introverso. Che applaude, sorride e annuisce, ma forse non vede l’ora che quelle luci si spengano.

FORTALEZA, BRAZIL - JUNE 26: Goalkeeper Victor Valdes (R) of Spain catches a ball besides his teammate Iker Casillas during a training session, ahead of their FIFA Confederations Cup Brazil 2013 semi-final game against Italy, at Castelao on June 26, 2013 in Fortaleza, Brazil. (Photo by Jasper Juinen/Getty Images)
Victor Valdes e Iker Casillas durante una sessione d’ allenamento (Jasper Juinen/Getty Images)

Ancora tu

Non farà una tragedia di un pre-accordo non rispettato dal Monaco, la squadra del principato che vuole contrastare Parigi. Vista l’entità dell’infortunio le visite mediche non possono che dare esisti negativi. Qualche mese dopo arriverà lo United. Victor dovrebbe fare la chioccia a De Gea, ma Van Gaal, uno che sui metodi di comunicazione non ha mai fatto lo schizzinoso, e che si ricorda ancora l’episodio di dieci anni prima, ci metterà poco a dire, in conferenza stampa, che «Valdés non segue la mia filosofia. E quando non segui la mia filosofia, hai solo una strada sul tuo cammino: quella che ti porta lontano da qui». Il portiere catalano, reo di essersi rifiutato di scendere in campo con le giovanili, risponde con un tweet: una foto nello spogliatoio con i canterani del Manchester e la parola «Respect». È la fine prima di iniziare. D’altronde immaginate che fatica può essere seguire una filosofia per un uomo che ne ha già una sua. Sentire parlare Valdés, oggi, è una lezione di umiltà e filosofia sportiva, non riconoscereste l’atleta che al Camp Nou voleva rincorrere Mourinho mentre festeggiava l’impresa del secolo ridicolizzando gli idranti partiti per costringere i nerazzurri a tornare negli spogliatoi. Piuttosto l’uomo che risponde a tutti i messaggi dei piccoli portieri di 10 anni, perché «Loro sono come me, facciamo lo stesso mestiere, che importa che io l’abbia fatto per la squadra più forte di tutti i tempi?». Nelle interviste si avvicina più a uno scrittore che a un calciatore, parla come se il calcio non fosse più un mondo che gli compete, eleva a suo idolo Roberto Baggio mentre progetta già il suo addio: «Voglio uscire di scena come lui, in maniera discreta. Baggio è un esempio di come bisognerebbe lasciare il calcio». Di sicuro la testa di Valdés e i pensieri sono già oltre. Come Cantona, afferma di non avere foto di trionfi in casa. «Il passato è un bel ricordo, indimenticabile, ma non bisogna vivere ancorati alle fotografie. Voglio pensare al futuro».