Gli Europei, finalmente

Le squadre favorite, i giocatori più attesi, le possibili sorprese e gli scenari a metà tra sogno e realtà: discussione a sei sui temi caldi dell'Europeo.

Domani cominciano gli Europei di Francia: abbiamo cercato di anticipare, in una discussione con sei firme, quello di cui si parlerà per i prossimi trenta appassionanti giorni. Squadre, protagonisti, storie e risvolti curiosi, sviscerati da Simone Donati, Simone Vacatello, Alfonso Fasano, Leonardo Piccione, Alessandro Fabi e Fulvio Paglialunga.

1) Italia a parte, quale sarà la squadra che seguirete con maggiore interesse e perché.

Simone Donati: La Croazia, senza dubbio. Nonostante qualche fatica di troppo nel girone di qualificazione e la controversa nomina di Ante Cacic come Commissario Tecnico, la selezione balcanica è sulla carta la squadra più estetica ai nastri di partenza di Euro 2016. Nonostante non arrivi ai quattro milioni e mezzo di abitanti, la Croazia può contare su Rakitic e Modric, due dei cinque-sei centrocampisti in attività che potrebbero giocare titolari in qualsiasi squadra del mondo (e infatti lo sono nel Barcellona e nel Real Madrid). Come se non fosse già abbastanza, Cacic può scegliere di completare il terzetto di centrocampo con uno tra Kovacic, Brozovic e Badelj. Sono inoltre molto curioso di vedere insieme Mandzukic e Kalinic, tutti e due in doppia cifra nell’ultima Serie A, che a mio parere hanno le caratteristiche giuste per poter far bene in coppia. Ciliegina sulla torta, a rimarcare lo status di squadra più classy presente in Francia, i croati indosseranno la maglia più bella del torneo, con la caratteristica scacchiera nuovamente ondulata in ricordo della nazionale che, sempre in Francia, nel 1998 ottenne il miglior risultato in un grande torneo nella pur breve storia del calcio balcanico post-dissoluzione della Jugoslavia.

Domagoj Vida, Darijo Srna, Mario Mandzukic, Ivan Rakitic, Luka Modric (STR/AFP/Getty Images)
Domagoj Vida, Darijo Srna, Mario Mandzukic, Ivan Rakitic, Luka Modric (STR/AFP/Getty Images)

Simone VacatelloL’Irlanda, tra me è lei già da anni è una di quelle storie dal basso profilo, che nascono da un’infatuazione basata anche su motivi estetici superficiali – come il fatto che abbia la maglia verde, che è il mio colore preferito – e poi si trasforma in qualcosa di più serio. Già da anni tifavo con la speranza che andasse avanti il più possibile, poi dopo il fallo di mano di Henry nel 2009 il mio senso di repulsione per le ingiustizie ha trasformato la simpatia in una questione di riequilibrio karmico. Il fatto che quest’anno sia capitata nel girone della morte con Italia, Svezia e Belgio è un chiaro segnale da parte del cosmo, che vuole vedermi soffrire. Tra l’altro quest’anno ci sono – ancora – Robbie Keane, 35 anni, John O’Shea, 35 e Shay Given, 40, tre pezzi importanti della mia primissima post-adolescenza calcistica e soprattutto delle mie Master League precedenti agli anni ‘10. Manca solo la buonanima di Damien Duff.

Alfonso Fasano: Non ricordavo quando ho visto per la prima volta Gabor Kiraly. Poi ho cercato su Youtube, e Youtube mi è venuto in soccorso: Inter-Hertha Berlino, partita di Coppa Uefa del 2000. Ricordo di aver chiesto a mio padre perché quel portiere indossasse i pantaloni lunghi. Lui mi rispose che alcuni fanno così. Non credo di averne visti altri, nel frattempo. Sono arrivato alla giusta conclusione che mio padre mente. Avrete capito che seguirò l’Ungheria. Al di là delle suggestioni preadolescenziali, voglio capire meglio cosa sia questa squadra, espressione di un movimento calcistico in grado di qualificarsi a cinque Mondiali su sette tra il 1962 e il 1986 (ho lasciato fuori volutamente le due finali raggiunte dall’Ungheria di Sarosi e dall’Aranycsapat di Puskas) e poi completamente sparito nel nulla. È tornata all’Europeo, una manifestazione a cui ha partecipato due volte: 1964 (quarto posto) e 1972 (terzo posto). L’ha fatto buttando via la qualificazione diretta e poi battendo la Norvegia agli spareggi. La seguirò perché questa storia da sfigati del pallone, prima fortissimi e poi scarsissimi, mi affascina troppo. E poi pure perché tra i convocati di Bernd Storck non ci sono stelle. L’ultimo buon giocatore espresso, il capitano Dzsudzsák, poteva diventare qualcuno ma è caduto nel tranello del calcio russo e dell’Anzhi. Oggi gioca in Turchia, nel Bursaspor. Nel gironcino più bello del torneo, gli ungheresi affronteranno Portogallo, Austria e Islanda. Possono addirittura qualificarsi, sarebbe un vero miracolo. Una roba di quel genere che mi piace tanto, proprio come i pantaloni lunghi di Kiraly.

La vittoria dell’Ungheria in Norvegia nello spareggio di qualificazione, con un Kiraly notevole

Leonardo Piccione: L’Islanda, fuor di dubbio. Ci ho vissuto due mesi, vorrei tornarci subito. Difficile trovare un altro posto con lo stesso fascino, su questo pianeta. Secondo alcuni, il fatto che la razza umana sia sopravvissuta per oltre mille anni lassù è una specie di miracolo. Gli islandesi ne sono consapevoli e non si precludono nessun tipo di obiettivo, nella vita e nello sport: sono estremamente ambiziosi. Sono riusciti a rialzarsi dopo il crack finanziario del 2008; hanno reagito all’enorme eruzione vulcanica del 2010; si sono qualificati agli Europei del 2016. Ora puntano a superare il proprio girone, da secondi o terzi, e non è detto che non ci riescano. Più che miracolo (la crescita del calcio islandese è tutt’altro che casuale), le gesta degli Strákarnir okkar (“i nostri ragazzi”) sono già leggenda. Molte leggende islandesi cominciano con l’allontanamento da casa dei protagonisti, che vivono un’esperienza rivelatrice altrove e poi tornano sull’isola per raccontarla; a seconda dell’esito del viaggio, può succedere che le acque dei fiumi d’Islanda si trasformino in sangue oppure in vino. Se le cose in Francia dovessero andar bene, avrete voglia di venire a inebriarvi con me presso le fonti dell’Öxará, garantito.

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Eidur Gudjohnsen al centro, Birkir Saevarsson (a sinistra) e Alfred Finnbogason (a destra) si allenano ad Annecy-le-Vieux (Odd Andersen/AFP/Getty Images)

Alessandro Fabi: Motivi che nulla hanno a che vedere con la razionalità e il nazionalismo mi porteranno a seguire con passione il Belgio di Marc Wilmots. Ammetto di essere succube del grande fascino di un organico giovane ma rodato, fresco ma esperto. Seguo da tempo gli ormai ex-giovani di un centrocampo che non cambia da quasi un decennio, né sono indifferente al magnetismo di una triade di portieri del calibro di Courtois, Mignolet e Gillet. E se la difesa è di fatto un’incognita, è suggestiva l’idea che un redivivo Vermaelen risorga e si erga a guida del reparto. Quanto al loro vastissimo parco di attaccanti e trequartisti, il mio amore può dirsi incondizionato (su tutti, Lukaku e Mertens).

Fulvio Paglialunga: Ne posso dire due? L’Irlanda del Nord e l’Irlanda. Non c’è nessuna ragione calcistica, ma una mia passione personale. In realtà l’ideale sarebbe fare con le due nazionali quello che il rugby è riuscito e la storia, ancora, no: metterle insieme, tenere le 32 contee come un’unica nazione, che è poi il diritto all’indipendenza che in Irlanda e Irlanda del Nord si cerca di affermare da tempo. Non credo, in realtà, che possano andare molto avanti, ma per l’Irlanda, che pure è nel girone di Italia, Belgio e Svezia, spero in qualche sorpresa che suoni un po’ come un risarcimento dell’osceno fallo di mano di Henry che negò il Mondiale del 2010. Qualcosa che, senza le furbate francesi, possa dare un posto nella storia o qualcosa da raccontare ai nipotini con i capelli rossi. Dell’Irlanda del Nord è bellissimo che non abbia nulla da chiedere, che sia arrivata fin qui e ritenga già un miracolo che Kyle Lafferty sia arrivato dove nemmeno George Best era stato capace. Poi, con una squadra con molti giocatori delle serie inferiori inglesi ma dotata di anima (sì, in Irlanda del Nord si è dotati di anima forse anche per patrimonio genetico), chissà. Io, intanto, le seguo.

Vendetta

 

2) Qual è la favorita alla vittoria, e perché?

SD: Mi piace pensare agli Europei come il dessert dei Mondiali precedenti invece che come l’antipasto di quelli successivi. Euro 2004 fu la conferma di uno stato di crisi del calcio europeo il cui campanello d’allarme era stato il Mondiale nippocoreano; ad Euro 2008 la Spagna mostrò al mondo tutto il meglio e il peggio che aveva da offrire il suo calcio torturando per 120 minuti l’Italia campione del Mondo in carica e poi giustiziarla ai rigori; Euro 2012 è stata la prosecuzione naturale di quanto visto in Sudafrica due anni prima con l’Italia ad interpretare l’Uruguay. Per questo motivo penso che il copione di Euro 2016 preveda come protagonisti principali la Francia e la Germania, due squadre che in Brasile hanno dato vita a una delle partite più intriganti e, a mio parere, più decisive del torneo. A due anni di distanza l’impressione è che in questa competizione la Germania non possa perdere e che la Francia non possa non vincere. La prima infatti è riuscita a rinnovarsi ancora, abbassando di nuovo l’età media della rosa, complici gli addii di Lahm e Klose, e finendo per mettere insieme una batteria di trequartisti che, anche senza Reus, non ha rivali in Europa. La seconda, già dotata di una rosa altamente competitiva, potrà beneficiare del prevedibile fattore campo, ma anche, e soprattutto, dell’imprevedibile stagione di alcuni suoi giocatori. Serviva un esterno offensivo per sostituire Valbuena ormai in fase calante, e hanno brillato Coman, Martial e l’incontenibile Payet; serviva un centrocampista di quantità per proteggere le spalle a Matuidi e Pogba, ed è comparso dal nulla N’Golo Kanté, il giocatore più iconico dell’iconica annata del Leicester. Nonostante esclusioni e infortuni, che terranno fuori dalla competizione Varane, Sakho, Diarra (l’assenza più dolorosa di tutte per Deschamps, che aveva costruito il suo centrocampo sul rinato centrocampista ex-Real Madrid) e Benzema, la Francia, sospinta da un’eccezionale stato di forma, sembra avere anche più della Germania le carte in regola per ottenere la vittoria finale.

SVCredo che sia una questione tra Francia e Germania, con la Francia leggermente in vantaggio per il fatto di essere in casa e soprattutto per il fatto di essere la Nazionale che ha effettuato il miglior tipo di ricambio generazionale possibile nei ruoli cardine del centrocampo e delle ali. Entrambe hanno avuto defezioni importanti, ma altrettanto importanti innesti. Tuttavia non me la sento di sbilanciarmi, non indovino mai niente perché il mio cuore palpita troppo nella speranza che si verifichino imprevisti e sorprese.

Giroud è in forma

AFas: Mi piace pensare che possa essere la Francia. Perché è più giovane, fresca e bella da immaginare della solita Spagna e della solida Germania. Non ho ancora avuto modo di vederla giocare di recente (a parte la punizione di Payet contro il Camerun, che non è niente male), ma la qualità attuale e potenziale del roster di Deschamps è incredibile. Una squadra che può schierare, insieme, Pogba, Martial, Griezmann e Coman (e pure Payet) mette semplicemente paura. Forse il resto della struttura, N’Golo Kanté a parte, è leggermente inferiore ai reparti corrispettivi delle altre due favorite. Ma le possibilità sono illimitate, per l’immediato e soprattutto in prospettiva. C’è poi il fattore ambientale, che da queste parti ha una certa importanza: le vittorie “prime”, vale a dire i trionfi numero uno a un Campionato Europeo e a uno Mondiale, sono arrivati giocando tra Parigi e dintorni. In quelle due manifestazioni, i protagonisti assoluti furono Platini e Zidane, entrambi calciatori della Juventus. Come Pogba, che cerca la consacrazione internazionale defintiva, e magari anche un Pallone d’Oro più inatteso rispetto a quello vinto dai due predecessori. Ancora corsi e ricorsi: diciotto anni fa, in un’altra estate francese, un signore biondino alzava la Coppa del Mondo in faccia a sua maestà Ronaldo. Era Didier Deschamps, che quindi sa come si fa. Pure lui era juventino, esattamente come il calciatore più anziano tra i convocati del ct transalpino, Patrice Evra. Che non è il capitano, ma solo ufficialmente perché la fascia la indossa Lloris. Occorre altro?

TRAINING

LP: Prima dell’infortunio di Varane, avrei risposto “certamente la Francia”. Venuto meno l’ultimo, vero perno difensivo rimasto dopo l’esclusione di Sakho, devo ammettere che la nuova coppia di centrali Rami-Koscielny non mi rassicura granché, e le occasioni concesse dai blues agli avversari delle ultime amichevoli mi tranquillizzano ancora meno. Però in porta c’è sempre Lloris, e Lloris è il mio portiere preferito. Dal centrocampo in avanti, poi, non c’è bisogno che vi specifichi chi possa schierare Deschamps. Infine, la Francia ha vinto le ultime due competizioni internazionali che ha ospitato (Europeo ’84, Mondiale ’98): non sarà un numero statisticamente significativo, ma me lo faccio bastare per rispondere con un “probabilmente ancora la Francia” alla domanda su chi sia la mia favorita.

AFab: I tedeschi, per ragioni più che ovvie. Spostando la questione dal piano tattico a quello psicologico-motivazionale, il fatto che “Germania” resti – sempre e comunque – sinonimo di “Bayern” può rappresentare un’ulteriore arma in più: non escluderei che il revanscismo degli sconfitti in Champions, specie a fronte del gioco espresso dalle due finaliste, possa rifornire di bonus-cattiveria gli scottati dall’eliminazione.

FP: Mi pare che la Germania possa vivere dell’onda lunga del Mondiale, dei talenti che sono anche cresciuti e che già bastavano due anni fa. E mi pare che la Francia sia in qualche modo condannata a essere protagonista fino all’ultimo. Dire che sono le favorite è abbastanza facile, anche se l’Europeo mi è sempre sembrato un torneo strano: se c’è uno spazio per le sorprese, è questo.

 

3) Chi può essere la sorpresa, e perché?

SD: Soltanto tre squadre sono uscite dai gironi di qualificazione imbattute. La prima è l’Inghilterra, che grazie anche ad uno score perfetto di dieci vittorie in dieci partite, è da molti accreditata tra le favorite. La seconda è l’Italia, nonostante sia stata condannata dall’opinione pubblica a vestire i panni di Nazionale peggiore di sempre. La terza, con somma sorpresa di molti, è l’Austria. Con nove vittorie, consecutive, e un pareggio l’Austria è stata la seconda miglior squadra delle qualificazioni dopo l’Inghilterra, ma, nonostante questo e il decimo posto nel ranking FIFA attualmente ricoperto, appare alla vigilia di Euro 2016 come una delle squadre mediaticamente più in ombra. Assenti dai Mondiali dal 1998, e con una sola partecipazione agli Europei all’attivo, per giunta nella competizione del 2008 giocata in casa, i biancorossi avranno invece in Francia la loro miglior occasione degli ultimi decenni per rinverdire i gloriosi fasti del passato. Nel 4-2-3-1 di Koller, che negli ultimi 5 anni ha saputo far crescere con pazienza il livello della sua squadra, tutto ruota intorno all’asse costituito da Alaba, che in Nazionale compone la coppia di centrocampo con il neo-acquisto del Bayer Leverkusen Baumgartlinger, e Junuzovic, talentuoso quanto incostante trequartista del Werder Brema. Se di Alaba, venuto dal futuro per mostrarci come saranno i calciatori tra un paio di decenni, sappiamo già tutto, del secondo c’è da sottolineare il terzo posto sia per numero di assist sia per numero di key passes tra i giocatori dell’ultima Bundesliga (dati Whoscored). Da non sottovalutare inoltre la presenza nel terzetto dietro la punta di Arnautovic, reduce da una stagione in doppia cifra in Premier Leaguer e di Dragovic, talentuoso centrale difensivo in forza alla Dinamo Kiev, squadra distintasi per la fase difensiva nell’ultima Champions League. L’ultimo, ma più importante, fattore a favore di un exploit austriaco è l’inserimento in un girone tutto sommato abbordabile formato da Portogallo, Islanda e Ungheria, e che, Cristiano permettendo, potrebbe vedere arrivare i biancorossi anche primi in classifica.

Tutti i gol dell’Austria nella fase di qualificazione a Euro 2016

SVMi piacerebbe fosse l’Inghilterra, anela a questo status di pretendente da troppo tempo e ormai a furia di brutte figure internazionali si è defilata quel tanto che basta per provare a cogliere le big di sorpresa. Inoltre credo abbia la rosa migliore degli ultimi dieci anni in fatto di qualità offensiva, mi è piaciuto il fatto che abbia “osato”, convocando molti giovani, in alcuni casi giovanissimi. Avrei voluto lo stesso coraggio per quanto riguarda l’Italia.

AFas: Su questa mi permetto di fare dei distinguo. Tra squadre piccole che possono arrivare lontano addirittura a una semifinale e squadre medio-grandi che possono vincere l’Europeo contro ogni pronostico. Tra le prime, sono indeciso se indicare Austria o Svizzera. I primi sono reduci da un girone di qualificazione praticamente perfetto, ma mancano a un grande torneo dai Mondiali dal 1998 e hanno partecipato a Euro 2008 solo perché paese ospitante. La Svizzera, invece, è reduce da un ciclo importante: dal 2004 a oggi, ha saltato giusto e solo l’ultima edizione degli Europei. Nelle ultime qualificazioni è arrivata seconda dietro l’Inghilterra, con 7 vittorie e 3 sconfitte: cammino praticamente perfetto, al netto della doppia sconfitta con la squadra di Hodgson. È una squadra che ha continuità a livello internazionale, un allenatore sveglio (Petkovic) e un buonissimo gruppo di calciatori: gli ospiti della Bundesliga (Sommer, Djorou, Stocker, Drmić), uno dei giovani talenti più apprezzati del panorama europeo (Embolo) e uno degli acquisti (già) più onerosi del mercato 2016, il neo-Gunners Granit Xhaka. Un gironcino abbordabile (Francia, Romania e Albania) garantisce o quasi il secondo posto, un accoppiamento favorevole agli ottavi (la seconda del girone con Germania, Ucraina, Polonia e Irlanda del Nord) rende probabili i quarti. Poi, dopo, ce la giochiamo. Ma con leggerezza. Perché intanto sarebbe già record storico per la nazionale elvetica, mai arrivata tanto avanti. Un record che sarebbe pure meritato.

I giocatori della Svizzera si allenano allo Stadio Mosson di Montpellier (Pascal Guyot/AFP/Getty Images)
I giocatori della Svizzera si allenano allo Stadio Mosson di Montpellier (Pascal Guyot/AFP/Getty Images)

Per il secondo gruppo di squadre, spererei nell’Italia e poi nella Croazia, ma dico Inghilterra. Sono allergici alle grandi competizioni, ma stavolta hanno una signora squadra: basterebbe il solo Kane centravanti – dopo gli anni del post Shearer persi dietro ai vari Heskey, Carroll, Wellbeck – per poter in qualche modo cambiare il (pre)giudizio. Il percorso netto alle qualificazioni (10 vittorie su 10) è la cartina al tornasole di una crescita reale, ma certifica pure l’esistenza di un’eccezionale generazione di giovani talenti (Dele Alli, Rashford, Barkley, Wilshere, Dier, Stones, Sterling). Veri e propri fenomeni in divenire, in grado di trovare spazio in Premier League nonostante l’assoluta egemonia straniera sul campionato (appena il 35% di calciatori inglesi nei 20 club di prima divisione). Poi c’è Vardy, che potrebbe spostare nella nazionale di Hodgson il flusso magico del Leicester nonostante il tradimento anti-romantico del passaggio all’Arsenal. L’ex tecnico dell’Inter, rimasto in sella nonostante due eliminazioni abbastanza clamorose a Euro 2012 e Brasile 2014, ci spera proprio. Forse, qualcosa potrebbe (finalmente) cambiare.

LP: Il Belgio vive la peculiare situazione della ex-squadra simpatia che, installatasi al vertice dei ranking internazionali, si trova ad essere considerata tra le favorite d’obbligo per la vittoria finale, cioè nel novero delle squadre che – in quanto ufficialmente ritenute forti – simpatiche non lo sono più mica tanto. Venuto meno parte dell’esotismo che circondava Hazard e compagni in Brasile due anni fa, qualsiasi risultato peggiore di un quarto di finale andrebbe considerato un fallimento. Insomma, alcuni pensano che in Francia il Belgio possa essere sì una delle rivelazioni, ma in negativo. Io invece, in virtù del mio vecchio amore per i waffles e per i passistoni fiamminghi, credo che les diables rouges abbiano le carte in regola (tradotto: la giusta maturità umana ed agonistica) per compiere il passo che gli manca per uscire una volta per tutte dalla categoria “sorprese”: convincere, finalmente. E magari vincere.

Jan Vertonghen, Moussa Dembele, Radja Nainggolan e Dries Mertens, alle prese con un selfie (John Thys/AFP/Getty Images)
Jan Vertonghen, Moussa Dembele, Radja Nainggolan e Dries Mertens, alle prese con un selfie (John Thys/AFP/Getty Images)

AFab: L’Inghilterra, come ogni volta. E, come ogni volta, starà a loro smentire il pronostico ed esprimersi al di sotto di un potenziale sempre clamoroso, anche a dispetto di un girone molto facile e della possibilità di arrivare a misurarsi, solo ai quarti, con un’avversaria di livello.

FP: Mi ero dimenticato di questa domanda e stavo parlando di sorprese un po’ più su. Ricapitolo: in un torneo così c’è spazio per le outsider (del resto: lo hanno vinto Danimarca e Grecia), però non vedo una vera e propria outsider. Diciamo che mi piacerebbe che il Belgio concretizzasse la propria crescita, per due motivi: il primo è dare la dimostrazione che lavorando sui talenti di casa propria si può arrivare a costruire una Nazionale vincente anche senza necessariamente passare da significative affermazioni dei club. Ci tengo più alla seconda, però: l’innamoramento a un certo punto collettivo del Belgio, proprio per la bellezza del suo calcio e la trasparenza dei suoi talenti, giovani e già affermati ciascuno per sé, ha portato alla solita onda contraria. Quella che “che palle, ‘sto Belgio”. Funziona quasi sempre così, e quindi sono già sul trespolo un po’ di bastian contrari che non aspettano altro che potersi rivoltare con chi al Belgio crede, da adesso o da tempo. L’idea che possano cascare, dal trespolo, mi piace.

 

4) E l’Italia, che Europeo farà?

SD: Faccio parte del ristrettissimo gruppo di italiani che ha salutato positivamente le convocazioni di Conte. Dopo lo scetticismo iniziale per la mancanza di alcuni giocatori che a mio avviso sarebbero potuti rivelarsi utili, Gabbiadini su tutti, ho preso atto della coerenza di fondo delle decisioni del CT, che in ultima istanza mi sento di appoggiare. Dovendo risolvere la tragica situazione causata dal doppio infortunio di Verratti e Marchisio, a mio parere anche fin troppo sottovalutata – l’asse di centrocampo è in assoluto il pezzo del motore di una squadra per il quale è più difficile trovare un ricambio, figuriamoci due – Conte ha deciso di andare all-in con i propri uomini, puntando tutto sulla propria capacità di fare quadrato e tirare fuori il massimo da un gruppo coeso. Il modello da seguire sarà quello della Juventus 2011-2012 che riuscì a sfilare lo scudetto di mano a un Milan sulla carta superiore, grazie alla vittoria sulla lunga distanza da parte di Conte nella gara di nervi con Allegri. Certo, non ci sono i presupposti perché l’Italia riesca ad entusiasmare e convincere, ma a mio parere l’orizzonte più plausibile non è la drammatica uscita ai gironi prospettata da molti. Con un po’ di fortuna nell’accoppiamento degli ottavi di finale l’Italia potrebbe presentarsi ai quarti con la consapevolezza di poter stare per uscire da un momento all’altro. Proprio questa consapevolezza potrebbe rendere immune da cali mentali una Nazionale che storicamente ha dato il meglio di sé sempre nei momenti meno attesi.

Come l’Italia si è qualificata per il torneo francese

SVOnesto, coerente. Magari non vincerà, ma credo farà bene. La concentrazione del suo allenatore nei confronti dell’obiettivo sportivo è in grado di compattare il gruppo, che tra l’altro è buono. Non condivido molte delle scelte di Conte, non condivido la poca voglia di rivoluzionare l’assetto della Nazionale e di puntare invece su un avvicendamento generazionale che oserei definire timido, però capisco dove voglia arrivare. Tutti gli esclusi, da Gabbiadini a Bonaventura passando per Jorginho e Pavoletti, sono miei pallini, eppure se guardo la rosa finale  non sono necessariamente scontento delle convocazioni, specie del reparto offensivo. Sono un fan di Zaza, è completamente diverso dagli attaccanti che generalmente mi entusiasmano, eppure mi esalta il modo in cui recupera il pallone e prova il tiro. Anche a centrocampo non era facile sopperire alle mancanze di Verratti e Marchisio, e allora i pochi fronzoli forse erano necessari secondo il suo modo di vedere le cose. In generale per come concepisco il calcio al 3-5-2 preferirei, nell’ordine: briciole nel letto, una multa (con rimozione del mezzo), e una sinusite a ferragosto, ma vai a dire a Conte che con lui questo modulo non funziona. Probabilmente vedrò una Nazionale che non mi entusiasmerà, ma con Conte alla guida sono sicuro che per l’Italia sarà meglio così.

Buffon è perplesso?

AFas: Inizio a rispondere a questa domanda che Italia-Finlandia è finita da pochi minuti, e ho sensazioni contrastanti. Da una parte mi sento un po’ vittima della retorica dell’Italia che fa bene quando è spalle al muro. La verità storica è che la nazionale azzurra riesce a dare il meglio di sé quando qualcuno, e questo qualcuno è il Ct, sta sulle balle a una buona fetta di persone. Lippi era un antipatico, Sacchi pure; Bearzot, prima di vincere, fu odiato come altri pochi personaggi nella storia del Paese. Conte è bravissimo, e fa parte di questo gruppo. Quindi, comincia con i prerequisiti giusti. Poi fa giocare la squadra esattamente come vuole lui, e in una competizione breve questo ti fa partire in vantaggio. Fine delle percezioni positive. Perché poi, se ci pensi, abbiamo ricevuto risposte non del tutto convincenti dalle partite contro Scozia e Finlandia, ovvero il proletariato (scarso) del calcio europeo. L’Italia ha meritato di vincere e ha vinto entrambe le partite, ma i soli tre gol realizzati in 180 minuti contro squadre che, semplicemente, non hanno giocato a calcio, fanno pensare (male). C’è poca qualità offensiva, e quella che c’è viene sacrificata. Contro il Belgio puoi fare pure 0-0, e anzi non sarebbe da buttare. Ma poi con Svezia e Irlanda devi vincere per passare il turno. E poi dopo devi vincere ancora per andare avanti. Quindi, come dire: è la storia del bicchiere a mezzo. Il mezzo pieno sono l’organizzazione tattica e la tenuta difensiva, ancora però da appurare contro avversari veri; il mezzo vuoto è la sterilità offensiva, o meglio la fatica dannata a fare gol. Conclusioni: partiamo potenzialmente sotto a tanti, ma fino a Germania, Spagna e Francia (e forse Inghilterra) ogni partita è da tripla. Puntando vicino qualcosina sull’Under 1.5, però.

L'undici titolare della Nazionale nell'amichevole contro la Finlandia (Olivier Morin/AFP/Getty Images)
L’undici titolare della Nazionale nell’amichevole contro la Finlandia (Olivier Morin/AFP/Getty Images)

LP: Com’è che quando sbagliamo un numero di telefono la linea non è mai occupata? Deduzioni di questo tipo contengono un errore che in probabilità si chiama “legge della selezione”: in pratica dimentichiamo che abbiamo scoperto di aver sbagliato numero solamente nei casi in cui qualcuno ha alzato la cornetta e ce l’ha detto. Di qui la conclusione, errata: ogni volta che sbagliamo numero la linea è libera. Ecco, funziona più o meno così con la Nazionale italiana: ogni volta che partiamo sfavoriti, vinciamo. In realtà i fatti dicono che partiamo sfavoriti molto spesso, ma vinciamo solo una volta ogni tanto. Tutto questo per dire che lo scetticismo che circonda gli azzurri non è condizione sufficiente per credere che i nostri arriveranno molto lontano in Francia. Tuttavia non penso che Antonio Conte la conosca, la legge della selezione, quindi convincerà i suoi che sì, sono sfavoriti e che quindi sì, arriveranno lontano. E quelli arriveranno lontano per davvero. Almeno questo è quello che speriamo.

AFab: Se non “molto male”, direi “non bene”. A fronte di un centrocampo privo degli interpreti più determinanti, di un attacco senza fascino e di un allenatore ad interim, aspetto solo che il ciclo si chiuda e venga il turno di Mister Libidine (ovvero: uno le cui motivazioni sembrano, sulla carta e non solo, di gran lunga maggiori di quelle messe in piazza da un Caronte tutto proiettato verso la campagna acquisti della prossima stagione di Premier). Si tratta, a mio giudizio, delle convocazioni peggiori dai tempi di quelle sudafricane del Lippi-bis, a loro volta classificate all’unanimità come le più insulse dei precedenti 45 anni di Nazionale. Altro punto in comune tra le due gestioni è la stessa cieca superbia nel difendere scelte discutibili, non senza una certa tendenza a circondarsi di uomini di fiducia in luogo di giocatori non meno meritevoli dei selezionati. Passino i Giaccherini, meno gli Ogbonna e gli Sturaro.

A Coverciano, in attesa della Francia (Claudio Villa/Getty Images)
A Coverciano, in attesa della Francia (Claudio Villa/Getty Images)

FP: L’Italia sa che come ogni manifestazione (più o meno) trova tifosi dai quarti in poi. Prima ci sarà il plotone d’esecuzione pronto a “te l’avevo detto io”. La verità è che arriviamo con una Nazionale debole e peraltro senza Verratti e Marchisio, che avrebbero potuto fare la differenza. Teoricamente non dovremmo andare molto lontano. Ma Conte, che ha perso ogni residuo di simpatia (parlo a titolo personale) dopo aver detto che andava al Chelsea perché gli mancava il profumo dell’erba e il lavoro quotidiano, mi pare abbia fatto convocazioni quasi da allenatore di club: non ha scelto tutti i migliori, ma quelli che più funzionano nel suo modo di giocare. Questo può essere un vantaggio: se l’Italia funziona come una squadra può anche andare oltre dove l’immaginiamo in questo momento. Ma al momento servono troppi fattori concomitanti (voglia, coesione, sorprese tecniche, rendimento altissimo, fortuna) e comunque serve un po’ di qualità: ammesso che ci siano tutti i primi basteranno a coprire l’assenza della seconda?

 

5) Un giocatore (oppure due, o tre) che aspetti di più, e perché.

SD: Le competizioni tra nazionali sono unanimemente – come dimostra il dibattito intorno a Messi e Maradona, con il secondo che continua a prevalere nel confronto a distanza grazie soprattutto ai Mondiali dell’86 – riconosciute come il palcoscenico essenziale sul quale ogni grande giocatore deve ben figurare per diventare veramente grande. Trascinare verso la vittoria un Portogallo qualitativamente ben più misero di quello del decennio scorso che in due anni arrivò a un passo dalla vittoria degli europei e dalla finale mondiale, potrebbe essere la più grande impresa della carriera di Ronaldo, forse l’ultima davvero necessaria (altre quattro Champions League non cambierebbero il suo posto nella storia di questo sport quanto questo Europeo). Tra i giocatori che potrebbero sfruttare quest’occasione non si può non citare Griezmann, che, ormai maturo, potrebbe ottenere un seggio permanente al tavolo dei primi cinque al mondo e Kane, che dopo aver dominato lo scenario degli attaccanti di Premier League negli ultimi due anni, è chiamato a imporsi anche in ambito internazionale. Nella categoria immediatamente inferiore, quella dei giocatori di fascia medio-alta che potrebbero affermarsi definitivamente durante questo giugno francese e strappare così un contratto a una grande squadra, ho gli occhi puntati su Çalhanoğlu, Konoplyanka e Nolito.

SVVorrei tanto vedere un Insigne sontuoso, e un entusiasmante Bernardeschi, ma non so immaginare quanto spazio troveranno con questo modulo, perciò dico Vardy perché merita questa ulteriore consacrazione e Martial, perché se mantiene quel che promette diventerà l’incarnazione del mio tipo di attaccante preferito per molti anni a venire.

La prova di Vardy in Germania-Inghilterra, la partita dove ha segnato il suo primo (bellissimo) gol in Nazionale

AFas: Non ho parlato del Belgio, quindi ci metto subito dentro Romelu Lukaku. Che ha deluso terribilmente ai Mondiali in Brasile, è stato buttato via dal Chelsea e poi è rinato nell’Everton. Per lui, quest’anno, 18 gol in Premier League e la tanto agognata patente di “grande centravanti internazionale”. Nonostante questo, il posto da titolare nell’undici di Wilmots è tutto da conquistare, con una concorrenza bella folta: Batshuayi, Origi, Benteke. Forse è proprio questo il modo migliore per stimolare Lukaku a dare il meglio, finalmente, dopo anni di promesse non mantenute. E poi, permettetemi due nomi forse banali, ma che “chiamo” per motivazioni romantiche e tattiche: Gareth Bale e Robert Lewandowki, gli Ibrahimovic del nostro tempo. Ovvero calciatori di livello mondiale nati in una nazione che non ti permetterà di vincere mai nulla, tantomeno di sperarci. Un destino che, potenzialmente, inibisce anche il tuo essere determinante: basti pensare che proprio re Zlatan mette insieme 12 presenze e appena 4 gol tra Mondiali ed Europei. Un gioco di curiosità, contorto e forse un po’ crudele, su tante cose che si vedranno in campo nelle partite di Galles e Polonia: l’impatto che avranno questi calciatori su compagni molto più scarsi di loro, l’importanza che rivestiranno nell’economia del gioco, tipo quanti palloni su dieci passeranno dai loro piedi. E poi, infine, le facce che faranno nel momento in cui arriverà l’inevitabile eliminazione. Magari pure ai gironi, bella prematura. Per la serie: a volte non c’è giustizia. Chiedete a Ibra cosa vuol dire.

Romelu Lukaku esulta dopo il gol in amichevole alla Norvegia (John Thys/AFP/Getty Images)
Romelu Lukaku esulta dopo il gol in amichevole alla Norvegia (John Thys/AFP/Getty Images)

LP: Ci sono due giocatori della Premier che hanno fatto una stagione pazzesca, solo parzialmente oscurata dall’eccezionale contingenza che è andata sotto il nome di Leicester City FC. Si tratta di Dele Alli, il centrocampista del Tottenham che ha spinto di cinque anni in avanti il concetto di “centrocampista moderno” e che potrebbe fare per l’Inghilterra quello che i suoi diretti predecessori Lampard e Gerrard non sono riusciti a fare per due decenni, e Dimitri Payet, francesissimo a dispetto del nome, che col West Ham ha fatto queste cose qui. Mi sbilancio: lui potrebbe essere più decisivo di Griezmann.

AFab: Sarà il caso di buttare un occhio alle prestazioni di Zlatan, non foss’altro perché si tratta dell’ennesimo tentativo (forse l’ultimo?) di portare alla nazionale qualcosa di leggendario quanto i fasti di Gre-No-Li e del terzo posto a USA ’94. Per ragioni anagrafiche e di simpatia universale, lo stesso discorso può valere, sia pure in tono molto minore, per Robbie Keane. Da Mandzukic mi aspetto i gol che non sono arrivati nel corso di un’annata comunque ottima, ma “con il freno a mano tirato” in fatto di realizzazioni. Esulando dalle punte, confido nell’inclusione di Nainggolan nella top-11 dell’Europeo, a coronamento della stagione della vita.

FP: Abbiamo passato un anno a innamorarci di Vardy, adesso vorrei vederlo in una grande competizione e senza gli ingredienti del Leicester a rendere tutto magico. Ma è un po’ in generale un voler vedere l’Inghilterra, che ha la rosa più giovane del torneo (età media inferiore ai 26 anni), che ha un giocatore che può continuare a scrivere la sua bella storia come Marcus Rashford (che è peraltro il giocatore più giovane del torneo (18 anni e 7 mesi) e che, sembra un paradosso vista l’età dei convocati di Hodgson, ha anche la rosa con il maggiore valore di mercato di tutte le partecipanti: 751 milioni. L’Italia, per capirci, ne vale 327.

 

6) La partita che vorresti vedere (già in calendario oppure no), e perché.

SD: Delle partite in programma nei gironi mi incuriosiscono più delle altre Spagna-Croazia e Portogallo-Austria. La prima potrebbe essere scelta per essere la partita di cartello dell’intera fase a gironi, con il confronto tra due squadre che hanno nel palleggio a centrocampo la loro qualità migliore. Dalla sfida tra Portogallo e Austria uscirà con ogni probabilità la prima classificata nel girone più hipster strano della competizione e inoltre servirà per capire di più quanto possa essere consistente la candidatura dell’Austria a squadra rivelazione del torneo. Come ho già detto sopra, sarebbe bello assistere a una finale tra Germania e Francia, il giusto faccia a faccia per conquistare l’egemonia sul calcio europeo. Purtroppo però, In caso in cui entrambe riescano a qualificarsi come prime nei gironi non potremmo godere di questo piacere, poiché il tabellone prevede un incontro tra le due già in semifinale. Con maggior riguardo per il tabellone e ipotizzando gli scenari più credibili – e quindi tenendo fuori l’Italia – non mi dispiacerebbe assistere a una finale tra Spagna e Francia, considerando le Furie Rosse soltanto un centimetro dietro alle due favorite.

An artist paints a picture of Portugal's forward Cristiano Ronaldo for an exhibition in front of the Hotel de Ville city hall in Paris on June 7, 2016, ahead of the start of the Euro 2016 football tournament. / AFP / KENZO TRIBOUILLARD / RESTRICTED TO EDITORIAL USE - TO ILLUSTRATE THE EVENT AS SPECIFIED IN THE CAPTION (Photo credit should read KENZO TRIBOUILLARD/AFP/Getty Images)
Davanti al municipio di Parigi giganteggia un murales di Cristiano Ronaldo (Kenzo Tribouillard/AFP/Getty Images)

SV: Italia-Germania, per verificare la statistica ora che loro sono i campioni e noi gli outsider.

AFas: Su questa domanda non ho il minimo dubbio. È una partita ipotetica, ed è tra Spagna e Germania. Il sorteggio ha fatto in modo che un eventuale (sì, certo) primo posto nel girone per entrambe permetterebbe lo scontro solo nella finale di Saint-Denis. Sarebbe bello vederle di fronte dopo le partite del 2008 e del 2010, che in maniera non proprio limpidissima diedero agli iberici il primo Europeo della serie e la finale (poi vinta) contro l’Olanda. Allora, però, la Spagna era ai massimi storici mentre la Germania stava diventando la squadra che avrebbe poi trionfato in Brasile. I tedeschi, strano ma vero, partivano ad handicap rispetto agli spagnoli. Oggi, invece, partirebbero giusto un gradino (e una stelletta sulla maglia) sopra. Sarebbe una partita che, in qualche modo, metterebbe la parola fine al dubbio esistenzial-calcistico degli anni Duemiladieci: Spagna o Germania? Cultura del talento o cultura della solidità (che poi pure la Germania gioca da dio, però vabbè)? Una sorta di boss finale, in una finale europea. Non potrebbe esserci conclusione più epica.

La Germania si allena in coppie (Patrik Stollarz/AFP/Getty Images)
La Germania si allena in coppie (Patrik Stollarz/AFP/Getty Images)

LP: Ho lavorato per quattro anni a un progetto universitario sull’impero austro-ungarico, quindi Austria-Ungheria del 14 giugno è la prima partita che ho cerchiato in rosso sul mio calendario. Ma quello che potrebbe essere il clou dell’intera competizione è in programma due giorni dopo a Lens: Inghilterra – Galles si gioca alle 15, che è un orario da rugby più che da calcio. E, dopo quanto accaduto l’anno scorso ai mondiali della palla ovale, non mi aspetto nulla di meno esaltante dalla palla rotonda.

AFab: Senza dubbio Austria-Ungheria, per capire chi si contenderà, benché solo a livello simbolico, le ceneri dell’impero: aggiungiamo che un pareggio non servirebbe a nessuno e che una vittoria significherebbe quasi matematicamente ottavi, per uno scontato secondo posto nel girone alle spalle del Portogallo.

FP: Se si mettono insieme la prima e la quinta risposta mi pare che sia piuttosto semplice arrivare alla risposta: vorrei vedere Inghilterra-Irlanda del Nord (peraltro possibile già dopo la fase a gironi). Così la partita varrà molto di più, così avrà una finestra sulla storia che, quando ci sono Europei o Mondiali, rende sempre tutto molto più interessante. Tiferei per l’Irlanda del Nord, ovviamente.

 

7) Lo scenario che immagini, da sogno o da incubo.

SD: Per ottenere uno Scenario da sogno iniziare versando un po’ di Hakan Çalhanoğlu che trascina a suon di punizioni da 40 metri la Turchia in semifinale sul fondo del bicchiere. Aggiungere parti uguali di Thiago Motta che segna in una partita decisiva mettendosi Il dito sulla bocca e facendo venire un infarto al 70% dei Commissari Tecnici da divano e di Austria spumeggiante che fa improvvisamente parlare di sè. Shakerare il tutto, unire cubetti di Belgio schiantato dal troppo hype agli ottavi di finale e una fettina di Inghilterra schiantata da troppa Spagna in semifinale e servire, accompagnando il tutto con Griezmann MVP della finale che si candida a essere il primo Pallone d’Oro dopo l’era Messi-Ronaldo. Oh, yes.

SVLo scenario peggiore, quello che non vorrei mai vedere, è un europeo sulle gambe, con squadre tirate, campioni timidi e un sacco di brutte vittorie per pochi gol. C’è sempre questo rischio che aleggia, agli Europei, delle squadre più forti che al girone preferiscono assumere un atteggiamento sornione. Lo scenario da sogno invece prevede l’Irlanda che passa il turno come seconda, e che altrettanto accada per Albania e Galles, in modo da avere più affascinanti narrazioni di outsider al loro appuntamento con la storia. Se anche solo una di queste tre squadre passa il turno giuro che scriverò un’apologia del 3-5-2.

Albania = simpatia

AFas: Quello da sogno è proprio impossibile, e proprio per questo voglio raccontarlo bene. In pratica succede che Antonio Conte improvvisamente impazzisce, si rende conto che questo è un Europeo che l’Italia non può vincere e allora manda tutti, pure se stesso, a quel paese. Per Italia-Belgio, e per tutte le altre partite, schiera una Nazionale che nella realtà non potrebbe mai esistere: quattro difensori (magari Florenzi-Bonucci-Barzagli-Darmian), due centrocampisti a scelta e poi Bernardeschi, Insigne ed El Shaarawy dietro Zaza. L’Italia se la gioca a viso aperto, si diverte e diverte, fino alla semifinale contro la Croazia. Però perde, perché loro sono ancora più belli e sfrontati di noi. E perché i sogni che ricordi di più sono quelli incompiuti. Poi ci troviamo tutti a Pratica di Mare e li accogliamo con un lungo applauso, come se avessero vinto. Persino Conte, che nel frattempo è diventato simpatico. Lo scenario da incubo è che la Spagna vince ancora, di nuovo, per la terza volta di fila. Magari dominando alla grande tutte le partite, battendo in finale la Francia tipo 5-0 o cose così. E allora giù altri due anni (almeno) di martellamento sul Tiqui-Taca, sulla vittoria del talento e del gioco, sul modello spagnolo. Che poi è tutta roba vera, per carità. Proprio per questo, però, ha francamente rotto le scatole.

LP: Nell’anno del Leicester campione d’Inghilterra è francamente complicato immaginare percorsi della fantasia che non siano stati già battuti, anzi asfaltati, dalla realtà. Mettiamola così: l’Islanda passa il girone come miglior terza; tra ottavi e semifinali elimina nell’ordine Germania, Italia e Inghilterra, tutte ai rigori. La finale contro il Belgio viene decisa ai supplementari da un gol in pallonetto del neoentrato Eiður Guðjohnsen, 38 anni. Il portiere Halldórsson, che quattro anni prima aveva diretto il video della canzone islandese all’Eurofestival, viene eletto miglior giocatore del torneo e presidente della repubblica. Gli islandesi invadono le strade di Reykjavík come non avevano fatto nemmeno in occasione dello scandalo dei Panama Papers, e sembrano molti più dei 323,000 contati dall’anagrafe. Nel cuore della notte, un’aurora boreale fuori stagione illumina i festeggiamenti. Ecco, uno scenario così mi sorprenderebbe. Ma nemmeno poi tanto.

La volée di Sigudsson contro l’Olanda

AFab: Nulla rappresenta per me un incubo come la terza vittoria della Spagna, che si porta a casa il trofeo manco fosse una Rimet. Già mi vedo le lacrimose dediche di Iniesta a Xavi, nonché le interviste di Piqué – zeppe di riferimenti allo scorso Mondiale – in cui non si mancherebbe di dire che «dopo i cinque gol dell’Olanda tutti ci davano per finiti». In successione, nel giro di un biennio, Marquez e Lorenzo si spartirebbero quel che resta di questa e della prossima stagione di MotoGP, Alonso trionferebbe in Formula Uno e Nadal tornerebbe primo nell’ATP. Forse, Marc Gasol MVP. I manuali di storia dello sport potrebbero così, a ragione, periodizzare il “decennio” 2008-2018.

FP: Sarà il clima da calciomercato perenne, ma non percepisco intorno l’attesa di questo Europeo e questo non mi fa nemmeno essere ottimista. In pratica temo che possa essere un torneo fatto di partite brutte. Questo sì, che sarebbe un incubo.

 

Nell’immagine in evidenza, Cristiano Ronaldo si allena al da Luz di Lisbona, pochi giorni prima della partenza per la Francia (Patricia De Melo Moreira/AFP/Getty Images)