L’inizio di luglio per molti è il momento in cui arrivano le tanto sospirate vacanze: si spegne il computer, si parcheggia il telecomando e si fanno i conti solo con costumi da bagno e cocktail di qualità discutibile. Per tutti gli altri il mese di luglio saranno pomeriggi sudati tra divano, frigorifero e computer incandescenti, saranno i calcoli sui secondi che si spera sempre diventino minuti, saranno la supremazia britannica che sfida l’orgoglio francese, l’ambizione colombiana, la speranza mediterranea, la velocità mitteleuropea. Saranno ventuno tappe per 3535 chilometri, volate e scalate, imprese e attese, finché tutto non si risolverà sulla strada verso il Paradiso, quella che prende il nome di Campi Elisi. Proprio come per il Giro d’Italia, la redazione di Bidon – Ciclismo allo stato liquido ha scelto 10 tappe e 10 nomi (forse qualcuno in più…) per presentarvi questo Tour. Buon viaggio.
Il vento alle spalle
Tappa 1: Mont-Saint-Michel – Utah Beach Sainte-Marie-du-Mont, 188 km
La prima tappa del Tour non è mai una prima tappa normale. Già dal nome: Grand Départ, la grande partenza. Un termine che pure il Giro ultimamente ha provato a mutuare, ma senza la grandeur funziona fino a un certo punto. Al Tour tutto è grande, la partenza è enorme: in questa singola giornata si gioca un’intera stagione per qualcuno, per altri forse una carriera. Per i velocisti è la prima di (non troppe) sfide; per i capitani è l’inizio della battaglia; per i gregari è sempre la solita storia, invece, da qui in poi si fatica. Via veloci dallo spettacolo di Mont-Saint-Michel, si risale la costa fino ad attraversare la penisola di Cherbourg, dove la Francia si tuffa nella manica, quasi a sfiorare quell’Inghilterra che l’attualità sembra spingere più lontano. Si pedala nel vento dell’Atlantico, dove tutto può accadere. E per i gregari saranno già straordinari: una giornata con gli occhi sulle punte delle dita e delle orecchie, a studiare e proteggere il proprio capitano. Qui ci vogliono il fisico e l’esperienza: quelli che non mancano al decano della categoria, Matteo Tosatto, le cui spalle scolpite da 42 anni di maturazione cercheranno di tenere coperto il gracile fisico di Alberto Contador. Dall’altro lato della penisola si sbarca a Utah Beach, dalle parti della storia, dove una guerra vide l’inizio della fine e un’altra, quella del Tour 2016, vedrà il suo inizio e basta. (Filippo Cauz)
Fare i conti con le anguille
Tappa 3: Granville – Angers, 223.5 km
Meno di due mesi fa, in crisi sui cavalcavia o satolli di vittorie, Marcel Kittel e Andrè Greipel lasciavano il Giro tra le polemiche per preparare il Tour de France. Sarà meglio per loro averlo fatto bene, perché dovranno superare Massiccio Centrale e Pirenei – non esattamente salitelle pedalabili – se vorranno dar fuoco alle tonnellate di polveri che hanno accumulato nei loro corni da caccia. Bisogna pure ricordare che la scuola tedesca dovrà vedersela con un certo Peter Sagan, lanciato verso una storica quinta maglia verde consecutiva, con John Degenkolb, al rientro dopo un terribile incidente, con Mark Cavendish ed Edvald Boasson Hagen. Soprattutto, con Bryan Coquard, il talento francese classe 1992, che quest’anno è già a quota 13 vittorie, tra le quali due alla Route du Sud. Non sarà semplice per lui sgusciare tra i nomi più quotati, ma i profumi della Loira potrebbero attirare magneticamente le sue ruote verso il traguardo veloce di Angers. In quel caso sarà di certo l’odore di matelote d’anguilles, lo spezzatino d’anguille di cui uno nato nei pressi del porto atlantico di Saint-Nazaire va certamente ghiotto. (Riccardo Spinelli)
Redenzione sul Massiccio Centrale
Tappa 5: Limoges – Le Lioran, 216 km
Non succedeva dal 1979 che il Tour salisse oltre quota 1500 metri così presto nel corso del suo dipanarsi. Pas de Peyrol è il passaggio stradale più alto del Massiccio Centrale e conduce verso i suggestivi panorami di Puy Mary. Vulcano spento – ma ancora minaccioso – è la prima, vera asperità che si incontra procedendo dall’Atlantico in direzione est, ed è la quinta delle sei salite in programma nella tappa numero 5. Gli ultimi quattro colli sono racchiusi negli ultimi 40 km e, nonostante siano classificati come di seconda e terza categoria, promettono battaglia. Mentre è ragionevole che i calibri più grossi decidano di controllarsi in vista dell’imminente trittico pirenaico, è altamente probabile che le inospitali lande della Francia più remota accolgano i tentativi di attacco di nomi di secondo piano. Tra questi, Eduardo Sepúlveda: argentino di 25 anni, buon scalatore, lo scorso gennaio si è inserito in mezzo ai fratelli Quintana (primo Dayer, terzo Nairo) nella classifica generale del Tour de San Luis. Noi però ce lo ricordiamo soprattutto per l’impresa del Tour 2015, quando si fece squalificare per essere salito su un’ammiraglia nel tentativo di recuperare il distacco accumulato dopo un salto di catena. Quest’anno, per lui un posto nella top 10 sarebbe la redenzione; una vittoria a Le Lioran, un’eruzione di felicità. (Leonardo Piccione)
F come Froome
Tappa 7: L’Isle-Jourdain – Lac de Payolle, 162.5 km
Castres-Ax 3 Domaines e Tarbes-La Pierre-Saint-Martin non sono due tappe di questo Tour de France. Erano la tappa numero 8 e numero 10, i primi arrivi in salita, del Tour 2013 e 2015, i due Tour dominati da Chris Froome. Due vittorie di tappa e almeno un minuto guadagnato sul più diretto avversario. Alle prime rampe che gli offre il percorso francese, Froome aziona la sua pedalata famelica, che ricorda un violento fruscio per gli ammiratori e un fastidioso frullio per i denigratori, come se volesse in pochi chilometri regolare ogni possibile velleità di maglia gialla degli avversari. Quest’anno la prima frazione contenente una salita di 1a categoria del Tour è quella che porta il plotone dalla cittadina pirenaica di L’Isle-Jourdain alle sponde quiete del Lac de Payolle. Una sortita di 162.5 km attraverso le vette arse e pietrose dell’Occitania ad aprire un trittico di tappe pirenaiche che testerà le ambizioni dei corridori. La memoria ciclistica suggerisce che un rumore – fruscio o frullio a seconda delle preferenze – potrebbe cominciare a frugare nelle nostre orecchie durante l’ascesa del Col d’Aspin, che termina ai 7 km all’arrivo. Occhio però: da lassù fino al traguardo sarà solo una lunga picchiata e il rumore della pedalata di Froome si confonderà con il frinire dei freni, non certo la sua musica preferita. (Francesco Bozzi)
Gli altri con Barguil
Tappa 8: Pau – Bagnères-de-Luchon, 184 km
«Potevamo morire tutti». Così Warren Barguil, 25enne bretone della Giant-Alpecin e terzo enfant prodige della nuova onda ciclistica transalpina dopo Bardet e Pinot, commentò l’incidente in cui un fuoristrada in contromano lo travolse insieme ad altri 5 compagni durante un allenamento a Cadice, lo scorso gennaio. Sembra un ritornello, quello di Barguil, che da mesi si ripete nefasto sulle strade del ciclismo internazionale, in un misto di morte e gravi infortuni. Il prossimo 9 luglio le ruote del Tour partiranno dalla mitologica Pau e affronteranno la seconda tappa pirenaica, forse la più dura, dove, come in una filastrocca, i corridori scaleranno il Tourmalet, il Louron-Azet e, infine, il Peyresourde. Sono salite battute da un vento e da un sole che da più di cent’anni tentano di impedire al gruppo della maglia gialla di risalire gli stretti pendii pirenaici. Forse non sarà la tappa decisiva per la conquista del Tour, visto che dallo scollinamento del Peyresourde mancheranno ancora 16 km prima di arrivare al traguardo; di sicuro è una tappa d’altri tempi. E sarebbe bello che il ciclismo, proprio come un gentiluomo d’antan, rendesse al gruppo quello che gli è stato tolto quest’anno. Sarebbe bello vedere Warren Barguil andarsene in solitaria sul Tourmalet, sarebbe bello vederlo sudare affaticato sul Peyresourde, sarebbe bello vedergli alzare le braccia al cielo a Bagnères. (Francesco Bozzi)
O si passa o si muore
Tappa 9: Vielha Val d’Aran – Andorre Arcalis, 184.5 km
Il Tour de France è anche Spagna e Andorra, perché in una corrida de toros che si rispetti non possono mancare picadores in bicicletta, sole cocente, quel mondo a parte che è il confine, montuoso, tra il Midi e la penisola iberica. Nella nona tappa, neanche un metro di Francia, o si passa o si muore, perché è l’ultimo atto, senza pianura, di un trittico pirenaico logorante. Se la migliore condizione coincide con il più rapido recupero, qui avremo importanti informazioni su chi può davvero combattere per il podio. Si arriva sull’uscio di casa di Joaquim Rodriguez che, con un sigaro in mano, pensa e ripensa da mesi ai cinque GPM di giornata, che conosce a memoria. Fabio Aru invece, come Wilson-Harris con Jake Barnes, qui forse smetterà di ripetere che è un onore gareggiare, misurarsi, bere e pescare con i grandi del Tour. Capirà se il sodalizio con Nibali è destinato ad evolversi in amicizia collaborativa o a deteriorarsi in competizione interna. La Côte de la Comella e il Col de Beixalis, rispettivamente terza e quarta ascesa di giornata, se li è già divorati nell’undicesima tappa della vittoriosa Vuelta dell’anno scorso. Quel giorno vinse Mikel Landa: salendo verso Andorra potrebbe giocarsela anche il basco, qualora Froome dovesse concedergli carta bianca. (Riccardo Spinelli)
Il Ventoux non aspetta. Mai.
Tappa 12: Montpellier – Mont Ventoux, 184 km
Logica e necessaria. Così Nairo Quintana ha definito a inizio stagione l’eventualità della sua prima, attesissima conquista della maglia gialla. In un Tour in cui è chiamato al passo finale verso la consacrazione, dallo scarafaggio di Boyacà ci si attende la maturazione definitiva a livello tattico e carattieriale. Rispetto all’edizione 2015, Nairoman (così, con un nome che suona come un eroe dei fumetti, hanno preso a chiamarlo i bambini colombiani) dovrà obbligatoriamente fare a meno di attendismo e timidezza, e lui già giura che sono solo maschere del passato. Il duello con Froome conoscerà quest’estate un passaggio fondamentale: i due si rispettano da sempre, ma la sensazione generale è che la loro estrema differenza di stile e approccio alla disciplina possa presto conoscere una notevole escalation di tensione agonistica. Impossibile pensare a un luogo più adatto del Monte Ventoso per lanciare provocazioni e guanti di sfida. Il gigante della Provenza non aspetta. Mai. Non immagina, il monte calvo, che nella tappa dopo di lui gli organizzatori abbiano piazzato una delicata cronometro; non vuole saperne del fatto che la terza settimana è ancora lontana e che forse qualche energia sarebbe sapiente preservarla. A Raymond Poulidor bastarono tre piazzamenti d’onore per passare alla storia del ciclismo come “l’eterno secondo”: se Nairo Quintana ha voglia di scansarsi dalla sua scia, la pietraia più famigerata del mondo, nel giorno della Bastiglia, è un’occasione da non perdere. (Leonardo Piccione)
I passisti si mettano l’animo in pace
Tappa 13: Bourg-Saint-Andéol – La Caverne du Pont-d’Arc, 34.5 km
C’era una volta, nemmeno troppi anni fa, il Tour de France in cui si vinceva in una maniera più efficace di tutte le altre: menando più forte che si può nelle prove a cronometro. Non bisogna tornare alla preistoria per Grande Boucle simili, basta scavalcare indietro il confine del millennio. Poi basta, oggi i cronomen sono diventati una specie da depennare nel ciclismo, tollerati se si limitano al loro esercizio, tuttalpiù a qualche gara pianeggiante, ma che non osino sconfinare in classifica. Ci è riuscito Sir Bradley Wiggins, ma dopo enormi sforzi, per il resto nessun altro in epoca recente. E nessuno ci riuscirà a questo Tour, dove le due crono messe insieme non ne fanno una, con questi accidentati e spettacolari 37 chilometri e mezzo attraverso l’Ardèche che verranno seguiti dai 17 di Sallanches (di fatto una cronoscalata). Meno male che poi arrivano le Olimpiadi e i mondiali, perché per quest’anno la sfida è tutta qui: Dumoulin, Martin, Cancellara forse non ci faranno nemmeno caso, piuttosto potrebbe emergere la fame di chi potrebbe fare un colpaccio memorabile, di un Dowsett o di un Coppel. O magari sarà un altro giorno buono per Vasil Kiryenka, il gregario che sa vestirsi dell’iride. Si mettano l’animo in pace i passisti, dunque: questo Tour non fa per loro, forse neanche questo ciclismo. Ma la 13a tappa sì: oggi occorre menare più forte che si può. (Filippo Cauz)
L’indianata
Tappa 15: Bourg-en-Bresse – Culoz, 160 km
Agli organizzatori del Tour una dote va riconosciuta senza indugi: la capacità di divertirsi. Per disegnare le tappe alpine, ad esempio, hanno fatto la più classica delle “indianate”: uno di quei giochi in cui si tirano i dadi o si estraggono le carte e a turno si beve. Il risultato è un tracciato dalla spiccata impronta alcolica, con tappe cortissime spezzate da assurdi buchi nel disegno. La Bourg-en-Bresse – Culoz ad esempio è un tappone fino a 50 km dal traguardo, 4 GPM che culminano sul Grand Colombier, a quota 1500: da lì in poi si scende addirittura a 238 metri slm, come si fosse a Torino, con un circuito quasi pianeggiante spaccato in due dal muro dei Lacets. Non saranno quelli di Montvernier, ma sono comunque “laccetti” sufficienti per fare danni, basta seguire lo stesso spirito, mettere il divertimento al primo posto. Un’attitudine che in Francia condividono organizzatori e protagonisti: attaccanti spensierati come Pierre Rolland, “indiani” guasconi come Romain Bardet, creativi alcolici come Julian Alaphilippe. Se si slegasse un po’ in discesa, magari persino Thibaut Pinot, l’uomo che il popolo francese sa di poter spingere ai traguardi più grandi. Gente che sa guardare oltre il disegno della tappa, sa vedere doppio e puntare al brindisi, alla gioia. (Filippo Cauz)
Un vecchio saggio che stuzzica la fantasia
Tappa 20: Megève – Morzine-Avoriaz, 146.5 km
Alberto Contador è stato l’ultimo ciclista a pensare seriamente di poter vincere Giro e Tour nello stesso anno. Questo basterebbe per volergli bene, ma a lui effettivamente non basta. Ho vinto tutto, smetto-non smetto, vado ancora forte; è ancora qui, fuori sella come sempre. La Megève – Morzine-Avoriaz è l’ultimo vero capitolo, perché poi è passerella, di una riflessione piuttosto sofferta sulla brevità della vita. Contador è l’immagine di un ciclismo che non c’è più: un vecchio saggio che stuzzica, con la sua pedalata ballerina, l’oziosa fantasia dei nostri pomeriggi appiccicosi di caucciù. Lui, rappresentante di un passato che vorrebbe trionfare sul contemporaneo, si ritroverà per l’intero Tour a dover fare i conti con tutte le altre categorie temporali finora conosciute: il presente (Froome) ed il futuro (Quintana, Aru). Frazione corta, 146,5 km, con gli ultimi 25 che potrebbero essere decisivi per la conquista della maglia gialla. Col de Joux Plane, 11,6 km all’8,5% di media e l’arrivo, dopo una discesa tecnica, 12 km più in basso. Il motto di Alberto Contador è “querer es poder”. A Morzine il Pistolero potrebbe esultare, o forse è solo Seneca che ci spera. Fratello, hai visto che cosa può fare la fede? Può fare miracoli, specialmente se la metti nella canna di una bicicletta! (Riccardo Spinelli)