Napoli senza Maradona

Il 30 giugno 1984 Ferlaino comunica ai giornalisti che le fidejussioni per l'acquisto di Maradona non sono bastate. Cosa sarebbe di Napoli senza El Pibe?

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Prologo, 30 giugno 1984

Sono le 23:30 quando il Barcellona calcio, tramite il proprio addetto stampa, rilascia il seguente comunicato: «Comunichiamo che nessun accordo è stato raggiunto tra la nostra società e il Napoli calcio, circa il passaggio al Club italiano del nostro tesserato Diego Armando Maradona. Precisiamo che l’accordo di cui sopra non si è concretizzato perché sono venute a mancare le necessarie garanzie economiche, che ritenevamo indispensabili; garanzie che il club partenopeo non è stato in grado di fornire. Ci teniamo a ringraziare l’ingegner Corrado Ferlaino per la correttezza dimostrata nei nostri confronti per tutta la durata della trattativa. Diego Armando Maradona resta, e questo ci rende felici, un calciatore del nostro club. Grazie a tutti».

Alla stessa ora Corrado Ferlaino, intercettato al telefono da Gianni Brera, dice: «Ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità, anzi sono andato anche oltre, per portare Maradona a Napoli. Napoli è una città meravigliosa e dal grande potenziale, ma lei, dottor Brera, lo sa meglio di me che questo non basta, non possiamo scrivere parole come “bellezza” su una fidejussione, i bonifici non si fanno con le speranze. Darò una delusione ai tifosi e alla città, ma mi assumo tutte le responsabilità del caso. Ho creduto che l’inventiva e la fantasia potessero farmi sedere al tavolo dei grandi, non sono bastate; sono cose che forse bastano a Maradona quando scende in campo, ma lui è figlio di un miracolo, né io né la mia società lo siamo». Gianni Brera lo incalza: «A cosa è destinato questo Napoli, allora? A rimanere in quel limbo di attesa e speranza, dentro quel sogno che non lo porterà mai a vincere nulla?», Ferlaino sorride e risponde: «Immagino che lei creda nel destino, ci credo pure io, Napoli è vittima e complice del proprio destino. Ce lo siamo sempre scritto da soli, sia quando abbiamo aspettato i miracoli, sia quando abbiamo cambiato le cose per i fatti nostri. Non so a cosa siamo destinati, ma stasera sono molto stanco, per un attimo ho visto Maradona con la nostra maglia addosso, troppo poco anche per un sognatore come me».

SSC Napoli's fans show a flag rapresenting Argentinian former SSC Napoli player Diego Armando Maradona during the Serie A football match SSC Napoli vs A.S. Roma at San Paolo Stadium in Naples on January 6, 2013. AFP PHOTO / ROBERTO SALOMONE (Photo credit should read ROBERTO SALOMONE/AFP/Getty Images)
I tifosi del Napoli mostrano una bandiera raffigurante Diego Armando Maradona (Roberto Salomone/Afp/Getty Images)

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L’area residenziale dei Nuovi Quartieri Spagnoli mi accoglie come un estraneo, perché questo sono, non vengo qui da vent’anni. Comincio a salire verso Montecalvario, il quartiere è totalmente cambiato. Non è rimasto più nulla degli storici e meravigliosi Quartieri Spagnoli, nemmeno i vicoli, tutto è più allargato, spianato. Pochi dei palazzi antichi ricordano vagamente ciò che sono stati in passato. I colori dominanti della facciate sono il bianco opaco e il giallo tenue, se non fosse per la salita sembrerebbe di trovarsi in una qualunque piccola ordinata città del Belgio o dell’Olanda, ma triste come Vimercate. Ho un appuntamento davanti alla Chiesa di Santa Maria della Concezione. Non ci sono più i bassi (non c’è nessuno seduto in strada davanti alle classiche abitazioni dei Quartieri), né le piccole botteghe, mi passano accanto persone eleganti e anonime. I bassi sono diventati bar o ristoranti alla moda, mi fanno paura. Non si muove o si sente un bambino. I Nuovi Quartieri Spagnoli sono la frontiera del nuovo radical chic napoletano. Immaginatevi i difetti del Vomero e di Posillipo di trent’anni fa, moltiplicati per dieci. Non si sente una parola in dialetto, la erre moscia è la pronuncia dominante. Sto salendo a piedi, ma per quindici euro avrei potuto prendere l’ascensore di vetro che sta all’angolo tra via Toledo e via Portacarrese a Montecalvario, ma preferisco farla a piedi, il fiatone che avrò alla fine della salita sarà l’unica cosa che vorrò ricordare alla fine di questa giornata. Giuseppe Bruscolotti e l’architetto Maurizio Garofalo mi vengono incontro, mi danno il benvenuto.

Naples, ITALY: Picture of an altar in tribute for famous Argentine star Diego Maradona, in a street of Naples, 16 April 2007. The football idol Diego Maradona was rushed to emergency, 13 April 2007, just two days after being discharged from a different facility after 13 days of treatment for excessive drinking which sparked a return of the chronic hepatitis he has suffered for years. AFP PHOTO/Mario LAPORTA (Photo credit should read MARIO LAPORTA/AFP/Getty Images)
Un altare in tributo al numero dieci più grande mai transitato per le strade di Napoli (Mario Laporta/Afp/Getty Images)

Bruscolotti è diventato un damerino, Garofalo si definisce un Renzo Piano pigro, ride mentre me lo dice. Deve essere una battuta che fa sempre. Chiedo a lui di raccontarmi cosa sia successo in questo quartiere: «Vedi, Gianni, non ci crederai, ma io sono convinto che tutto questo», mi indica le case, alza lo sguardo verso l’alto, verso la parte alta della città, «nasca da una cosa sola: a un certo punto Napoli ha smesso di essere una città disposta, partecipe, complice e vittima della speranza ed è diventata una città d’azione, in pratica un’altra città. Tu, non ci crederai, ma io penso che tutto sia cominciato, nun stong’ pazzianne, la notte in cui non comprammo Maradona». Sgrano gli occhi, voglio dire qualcosa, Bruscolotti mi tiene per una spalla, come se fossimo in area di rigore, mi fa cenno di lasciarlo continuare. «Quella notte sentimmo, prima ancora di capirlo, che qualcosa nel rapporto di forze tra l’attesa del miracolo e lo stato dei fatti per noi era definitivamente cambiato. La gente, non solo i tifosi, impiegò qualche giorno per riprendersi dal trauma; non è facile capire quando è il momento di rinunciare ai sogni. Quella che era solo una sensazione la realizzammo collettivamente qualche anno dopo; nel frattempo il Napoli vinse solo una Coppa Italia, retrocesse in B, Ciro Muro divenne il miglior calciatore della Serie A, ma da milanista. Il rapporto tra squadra e popolo era mutato. Il tifoso di calcio è nato per sognare, a Napoli non sognava più nessuno. Bisognava ripartire dal cuore della città, rifarla daccapo, dovevamo togliere ogni pietra, come se il tufo fosse una minaccia e ricostruire tutto. Mi contattarono per i Quartieri, decisi che qui avrei portato tutti i ricchi del mondo, non più per fare i turisti ma per fare i residenti. Basta improvvisazione, ci voleva un progetto nuovo. È cominciato tutto così, all’inizio sembrava impossibile pure a me, ma quando cominci a demolire, dopo non ti fermi più. Maradona non arrivò, e quella fu la prima parete che buttammo giù».

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Non è più Napoli da un sacco di tempo, il fatto stesso che Bruscolotti se ne vada in giro con un architetto mi pare strano, lui che da qualche anno è il proprietario del Napoli, che è ritornato quest’anno in Serie A dopo diversi anni, il nostro allenatore è Guidolin, il nostro centravanti è Maccarone che sta giocando il suo ultimo campionato in carriera. Di tutto questo non frega niente a nessuno, semplicemente, i tifosi del Napoli non sono più tifosi. Era dunque solo una questione di rinuncia al sogno? Garofalo ha torto secondo me, ma non del tutto, lo dimostra il fatto che il Vomero e Posillipo siano diventati altro. Al Vomero ci stanno le case popolari, ci vivono le mogli dei latitanti, le famiglie di operai. Piazza Vanvitelli è il centro dello spaccio di droga. Il regno della prostituzione è Posillipo. Qualcuno, certo non solo Garofalo, ha pensato che il ghetto dovesse spostarsi verso l’alto: dove un tempo stava la borghesia e il lusso ora ci deve stare il degrado. Mi domando se il degrado costruito ad arte sia vero degrado. Napoli che era teatro, ora è figlia di una nuova finzione, come in un brutto film si è deciso di prenderle il nucleo, l’anima, e di buttarlo nel cesso, per costruire dei bagni di lusso. Napoli è la città con più vasche idromassaggi in Europa. La Camorra? Esiste, naturalmente, ma si è snaturata, la città offre tutta la ricchezza che alla malavita serve, senza che questa debba fare niente. Immaginate questi boss miliardari che girano per strada senza poter fare i boss. Immaginatevi un Cutolo che non possa esercitare il potere, che farebbe? Probabilmente chiederebbe di essere assunto come preside per comandare almeno sugli studenti.

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Da Posillipo, l’isola di Nisida (Carlo Herman/Afp/Getty Images)

Città del Messico, giugno 1986 – Campionati di Calcio Mondiali 1986/87

L’inghilterra di Gary Lineker vince i Mondiali di calcio, battendo per 2 a 0 la Francia. I gol li realizza entrambi Lineker, uno per tempo, uno di sinistro, uno di destro. Shilton para un rigore a Michel Platini. Diego Armando Maradona, fuoriclasse in forza all’Atlético Madrid, si rompe i legamenti durante i quarti di finale giocati con il Belgio, per un scontro fortuito con Frank Vercauteren, chiudendo così una delle più brutte stagioni della sua carriera. Soltanto otto gol nella Liga, spesso contestato dai tifosi, i giornali spagnoli si sono domandati e si domandano se il Pibe de Oro abbia già cominciato la sua parabola discendente. A fine anno Lineker vincerà il Pallone d’Oro. Diego Maradona, dopo lunga riabilitazione, tornerà in campo nel febbraio del 1987, non riuscirà a incidere nelle prestazioni dell’Atlético Madrid che retrocederà perdendo lo scontro salvezza con il Levante, all’ultima giornata. Il campionato italiano di calcio, stagione 86/87, viene vinto dalla Fiorentina. Roberto Baggio è il capocannoniere con 27 gol. Gli ultimi tre gol, quelli dello scudetto, Roberto Baggio li realizza al San Paolo, il 10 maggio 1987. Quella stessa sera lo Stadio San Paolo verrà distrutto da un incendio, subito giudicato di natura dolosa. Non ci saranno vittime. Dopo lunghi anni di indagini verrà arrestato Costanzo Celestini, capitano del Napoli proprio fino al 1987. Celestini confesserà che il San Paolo era per lui il posto in cui si realizzavano i sogni, per questo motivo non aveva più ragione di esistere.

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Il capitano del Napoli Diego Maradona lascia il campo della Juventus dopo una gara di Serie A del 1986 a Torino (David Cannon/Allsport/Getty Images)


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Il San Paolo non è mai più stato ricostruito, il Napoli giocò per un po’ di anni a Benevento, fino al 1994, dall’anno dopo gli venne concesso in uso lo stadio De Cristofaro di Giugliano in Campania, un comune della provincia, situato a circa 14 km dal capoluogo campano. Costanzo Celestini fu condannato a dieci anni di reclusione, ridotti poi a sei per buona condotta. Curiosamente, nelle stesse ore in cui Celestini giustiziava il regno dei sogni, a Madrid, Jorge Valdano veniva fermato mentre tentava di appiccare il fuoco agli spogliatoi del Santiago Bernabéu. Valdano non ha mai voluto confessare le ragioni del gesto. In Argentina l’opinione pubblica sostiene che dopo il Mondiale del 1986 nessun calciatore sia mai più stato lo stesso.

Saluto Garofalo e Bruscolotti, ho voglia di fare due passi da solo, ma dove si fanno adesso “due passi” a Napoli? Via Caracciolo e Mergellina sono state trasformate in spiagge, la baia è piena di yacht, è diventata un prolungamento di Capri. Vado nel vecchio centro storico, che comunque ho sempre preferito al lungomare, e per abitudine entro in Via San Gregorio Armeno. Mi viene da ridere perché le statue riguardano solo i pastori, non c’è nulla di rappresentato al di fuori del presepe tradizionale, solo una statuetta mi sembra un po’ più strana, fuori schema. Raffigura un uomo che fugge di schiena (l’unico di spalle, rispetto alla strada), un po’ piegato sulle ginocchia, in una mano ha un piccolo vulcano, nell’altra un pallone. È Maradona. Stupito chiedo all’artigiano il perché di quella statua, mi guarda, esita un attimo, ma poi risponde: «Vede…», penso che qui un tempo mi avrebbero dato del voi, «…ci possono stare tanti motivi per cui Napoli è cambiata, e io non sono nessuno per dire se stavamo meglio quando sognavamo o se stiamo meglio oggi, quello che so è che il sogno quando se ne è andato da qua aveva l’aria che ha la statuetta. Il sogno l’ha portato via chi non è mai venuto. Però, pure a lui hanno portato via qualcosa: la possibilità di essere unico. E allora chi ci ha guadagnato? Napoli? Non lo so. Maradona? Non mi pare. Quello che so è che in questa via è diventato tutto molto noioso. Faccio i pastori in serie e questo come dovrebbe distinguermi da chi lavora in fabbrica?».

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Non so cosa rispondere, lo ringrazio e vado avanti. Mi siedo a prendere un caffè a piazza San Domenico, per fare ordine tra i pensieri. Il cameriere mi chiede se per caso lo prendo macchiato. Vent’anni fa nessuno ti avrebbe mai fatto questa domanda a Napoli, io penso ancora che sia una domanda sbagliata. Contiene, però, molte risposte. Realizzo per la prima volta che la città che mi pare ordinata, fredda ed efficiente (forse) ma deprimente, non è più la mia città, è un posto nuovo in cui tutte le cose hanno la superficie liscia, perfino il nuovo degrado del Vomero non presenta imperfezioni. La malavita da organizzata si è trasformata in ordinata. Garofalo e Bruscolotti hanno ragione? È tutta colpa  di Maradona? Se così fosse, l’argentino avrebbe inciso più in assenza che in presenza, questo renderebbe felice il poeta Attilio Bertolucci, non so più quanti altri.

La capacità di sognare di Napoli era il suo pregio più grande, l’attesa del miracolo, invece, ovvero la speranza che qualcosa o qualcuno arrivasse a cambiare le cose, forse il suo peggior difetto. Eppure, mentre bevo un caffè che è una mezza chiavica, mi accorgo che in questo momento mancano entrambe le cose, perché entrambe facevano da fondamenta, entrambe giustificavano il vuoto sul quale questa città si è sempre retta. Tra Bruscolotti vestito da Armani e Celestini incendiario preferisco il secondo, non lo giustifico ma lo capisco. Una volta, in una poesia, ho immaginato di mettere Grace Paley a Montecalvario e di farle raccontare quel posto di Napoli dal suo punto di vista, con il suo occhio. Oggi non mi azzarderei. Ora devo andare, ho un appuntamento alla Sanità con mio nonno Saverio, dice che va lì a ballare il valzer, sono stupito ma non troppo; il fatto che sia morto da più di vent’anni non ha alcuna importanza.