Gli americani per raccontare la battaglia che porterà alla nuova presidenza della Uefa si rifugerebbero in quelle poche sillabe rese celebri dall’incertezza della politica statunitense: «Too close to call». Con il Partenone alle spalle, il 14 settembre i vertici del calcio europeo (e quindi mondiale) si sfideranno mostrando falsi sorrisi gli uni agli altri, tutti pronti a colpire alle spalle il peggior offerente. Ad Atene bisognerà eleggere il vertice della Uefa, ma non ci sono grandi favoriti: Michael van Praag e Aleksander Ceferin se la giocano scheda su scheda e fino al momento del voto i rispettivi sherpa saranno al lavoro per conquistare una preferenza in più dell’avversario.
Raggiungere quella poltrona non è solo una questione di prestigio. La Uefa è l’organo che auto-gestisce il calcio europeo, organizza i tornei più importanti al mondo, vende i diritti televisivi e sceglie i suoi partner commerciali, che possono spaziare dalla vecchia Europa alla ruggente Asia. Controlla parecchio denaro e va da sé che questo concede molto potere al suo numero uno: chi succederà a Michel Platini, sbattuto fuori dopo una lunga ed estenuante vicenda sportivo-giudiziaria, avrà la possibilità di amministrare gli oltre due miliardi di euro che la Uefa fattura ogni anno.
Quella di Atene sarebbe dovuta essere una lotta a tre, con la presenza del candidato spagnolo Villar. Ma a una settimana dallo scrutinio, ha abbandonato la gara: «Nonostante i tanti attestati di stima e incoraggiamento a proseguire la mia campagna, dopo una profonda riflessione sono arrivato alla decisione di ritirare la mia candidatura», ha detto Angel Maria Villar, presidente della Federcalcio spagnola e già presidente ad interim della Uefa dopo la squalifica di Platini. Villar vuole continuare a dirigere l’orchestra in Spagna perché a Madrid comanda dal 1988 e punta a essere ancora il riferimento politico delle Furie Rosse. Con lui fuori, tutto si è rimescolato. I primi a prendere posizione sono stati gli inglesi: «Dopo il ritiro di Villar, pur rispettando le qualità di Ceferin, abbiamo deciso di sostenere van Praag: è una persona che conosciamo molto bene e che negli anni ha lavorato con noi per riformare la Fifa», ha scritto la Fa. Subito dietro è corsa la federazione belga che ha fatto aumentare il conto degli endorsement. In totale, tra l’olandese e lo sloveno, si sono schierate una decina di federazioni e il conteggio pende dalla parte di Ceferin, anche se entrambi sono convinti di poter contare su 25 voti a testa. «Dai miei incontri – ha detto van Praag alla Gazzetta dello Sport – credo che le elezioni siano più aperte di quanto si creda. Posso vincere».
Van Praag la politica del pallone la conosce da sempre: suo papà è stato presidente dell’Ajax e lui stesso negli anni Novanta ha guidato il gruppo di lancieri che riuscì a battere il Milan nella finale di Champions League giocata a Vienna nel ‘95. È al vertice della federazione olandese dal 2008 e adesso vorrebbe barattare Amsterdam con Nyon. Chi non gli vuole bene lo accusa di essere troppo legato al potere del passato, sebbene una volta, in tempi non sospetti, fu proprio lui a ricordare a Blatter che era «il momento di andarsene».
L’avversario Ceferin ha tutto per essere considerato il suo opposto. È nato vent’anni dopo il presidente della Federcalcio olandese e in tempi di rottamazione questo deve essere sembrato un punto vincente del suo curriculum. Tanto che nemmeno van Praag riserva per lui parole d’odio: «Sinceramente – ha confessato alla GdS – mi piace: bella persona, leader brillante. Lo rispetto, ma voglio vincere». Ceferin ha incominciato a respirare calcio nel 2005, da dirigente del Kmnavvoc Svea Lesna Litija, una delle squadre di Futsal più celebri della Slovenia. Sei anni più tardi, poco più che quarantenne, è stato eletto presidente della federazione e oggi punta al grande salto: il suo Paese è molto piccolo e così la sua federazione; lui è riuscito a convincere l’Italia, la Francia e la Germania.
Quello che accomuna i due candidati è la stima per il ferito Platini. Le Roy lascia la presidenza della Uefa dopo la squalifica del Tas e mercoledì 14 sarà ad Atene per guardare «in faccia» le 55 federazioni prima di dare l’addio al calcio europeo. Sia van Praag sia Ceferin ricordano con una sorta di rammarico gli anni di regno francese a Nyon: il primo era già un dirigente navigato e poteva contare su un rapporto confidenziale con monsieur le président; il secondo non potrà dimenticare l’impegno profuso da Platini per far crescere le piccole federazioni del Vecchio Continente. E poi c’è la lotta al razzismo, al doping e alla violenza negli stadi: temi che fanno parte dell’eredità di Platini e che sono al centro dei loro programmi.
E c’è il calcio, ovviamente. L’integrità della Uefa è uno snodo cruciale, il terreno sul quale si testerà la virtù del futuro nuovo capo. L’unione europea del football dagli anni Cinquanta ha sempre un po’ condiviso il percorso di quella economico-politica e negli ultimi mesi a Nyon ci sono stati gli stessi malumori di Bruxelles. I club hanno valutato l’opportunità di far da soli e di gestire il giocattolo del pallone in autonomia dopo che la Confindustria europea del calcio, l’Eca – European Club Association, ha realizzato di avere tutto il potere nelle sue mani, tranne le regole: soldi, prestigio e fascino.
Lo spettro di una scissione, con le grandi, grandissime società da un lato e le altre all’opposto della barricata, ha spaventato e irritato, mai ha fatto sorridere il vertice del calcio made in Europe. La suggestione della Super League ha aleggiato per un paio di stagioni nel corso delle fitte riunioni svizzere e l’addio minaccioso è stato momentaneamente disinnescato dalla nuova Champions League; ma il seme del distacco non è detto che sia stato sconfitto per sempre. L’Ucl che partirà nel 2018-2019 ha placato le pulsioni indipendentiste e le quattro federazioni più importanti – Inghilterra, Spagna, Germania e Italia – hanno conquistato i loro posti sicuri ai gironi. Ora potranno comandare sempre di più, ma l’attrito che ci sarà con le altre 51 leghe che dovranno dividersi tutto il resto potrà riaccendere antichi e narcotizzati sogni d’autonomia. Che sia van Praag o Ceferin, il punto numero uno sull’agenda del prossimo presidente Uefa è evitare di creare il vuoto avanti a sé.
Entrambi i candidati sono espressione di due mondi calcisticamente piccoli, ma non portano sulle spalle il peso della loro storia. Van Praag è stato uno di quelli che ha discusso la nuova Champions League e la difende, anche se l’Olanda e il suo Ajax ne escono male. Ceferin ne sa quanto tutto il mondo al di fuori dal board Uefa e aspetta di leggere i documenti prima di prendere una posizione – ha spiegato in un’intervista alla GdS. Lui non potrà fare a meno di ascoltare il parere di chi lo sostiene e quello che pensano due delle quattro federazioni premiate (Figc e Dfb) avrà un peso specifico in una gara voto-su-voto: «Ai quattro grandi quattro posti», si sarà detto nelle chiacchiere pre-elettorali.
E così la Union of European Football Association si ritrova a fare i conti della serva perché dovrà essere in grado di distribuire risorse sempre maggiori anche agli sfigati se vorrà restare quella storica Union che dal 1954 ha le mani sul calcio. Per farlo, la più influente organizzazione sportiva transnazionale sarà costretta ad aprirsi a nuovi mercati televisivi e dovrà saper attirare sponsor capaci di investire denaro fresco nel football europeo. La FIFA ha scelto l’Asia e ha accolto, tra gli altri, la cinese Wanda; non è detto che la Uefanon possa fare una scelta simile se non identica.
Chi prenderà il controllo dell’autogoverno continentale del calcio manterrà tra le mani il boccino del gioco almeno fino al 2020 e svegliarsi da presidente la mattina del 15 settembre significherà gestire anni decisivi per il futuro del pallone. L’Europa ha la fortuna di esprimere il meglio di questo sport a livello planetario, sia dal punto di vista tecnico sia per la sua irraggiungibile capacità di generare ricchezza, e il nome di Atene dovrà mantenere insieme tutti i fili della storia del calcio, non solo della bella Europa. Dovrà evitare che la disruption nascosta oggi tra le cose vecchie possa tornar di moda nel giro di una gestazione, a meno che non coltivi il sogno di essere consegnato alla storia come l’ultimo dei numeri uno.