Letale Trezeguet

Riguardare al bagaglio tecnico di uno degli attaccanti più prolifici degli ultimi anni.

Ogni quattro anni, all’inizio dell’estate, c’è un momento di aggregazione sociale talmente spinta che nient’altro può raggiungere: quel momento sono i Mondiali di calcio. È una manifestazione vissuta così visceralmente dagli appassionati e talmente coperta dai mass media, che persino coloro che seguono poco il gioco più bello del mondo ne vengono fatalmente attratti. È in quei momenti che si forma la loro memoria storico-calcistica, in grado di ricordare episodi assolutamente sporadici, ma che in quel momento sono il vero e proprio ombelico del mondo. Probabilmente a queste persone il nome di David Trezeguet ricorderà solamente il rumore di un pallone che si infrange sulla traversa della porta Est e rimbalza sull’erba dell’Olympiastadion di Berlino la sera del 9 luglio 2006 e che regalerà all’Italia il quarto titolo mondiale. Per gli altri, per quelli che il calcio lo seguono per mestiere o per passione, il nome di David Trezeguet è uno di quelli che maggiormente ricordano un cecchino, un uomo da 328 reti in 664 partite, senza battere calci di punizione e con pochissimi rigori all’attivo. Per i tifosi della Juventus, il nome di David Trezeguet è il terminale di 320 formazioni schierate in dieci stagioni, completamento accentato di un verso (Del Piero-Trezeguet) che ha fatto le fortune della squadra bianconera; è quello del miglior marcatore straniero di una società che pur ha schierato fior di campioni giunti dall’estero.

TURIN, ITALY: Juventus France international David Trezeguet jubilates after scoring a goal against Cagliari during the last Serie A football match of the season in Turin's Delle Alpi Stadium 29 May 2005. AFP PHOTO/ Filippo MONTEFORTE (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Liberté, egalité, Trezeguet

Nato nel nord della Francia dove il padre argentino era calciatore professionista, fa ben presto ritorno in Sud America, dove si forma calcisticamente, dove esordisce fra i professionisti e dove assume quell’accento rioplatense che lo farà sembrare, nel corso delle interviste, più simile a Zanetti che al connazionale Zidane. Centravanti tipico d’area di rigore, rispetto ad altri che lo hanno preceduto nella Juventus in epoche precedenti (Vialli, Casiraghi e Ravanelli) ha meno fisicità e forza fisica pura, ma ha un’agilità e reattività muscolare di prim’ordine che unite ad una spaventosa capacità di coordinazione, lo rendono praticamente letale nelle deviazioni sotto porta, di testa o di piede. Il famoso motto della repubblica francese, simpaticamente storpiato da un tifoso bianconero che ne ricaverà uno striscione, riassume efficacemente le caratteristiche di Trezeguet.

Liberté: la libertà che Trezeguet si prende di eclissarsi dal gioco collettivo della squadra, ad eccezione di qualche sporadica ma sempre puntuale sponda, fino al momento di colpire in area di rigore. Nel suo periodo in Italia, uno dei commenti che circolano maggiormente su di lui è: “Non lo vedi mai, ma quando ti accorgi di lui è troppo tardi”.
Egalité: Trezeguet segna a tutti: in Francia, in Italia, in Spagna, in Argentina e nelle competizioni internazionali; lo fa a volte di potenza, a volte di finezza, ma sempre con classe, eleganza e puntualità.
Fraternité: il legame indissolubile che lo lega prima a Thierry Henry, nel Monaco e nella Nazionale francese e poi ad Alessandro Del Piero negli anni della Juventus; quell’amicizia fraterna che farà scrivere al campione italiano una lettera a Trezeguet quando il francese lascerà l’Italia.

Letale

Seguendo il principio fondamentale che ogni cannibale dell’area di rigore ricorda solitamente nelle interviste, ossia che i gol sono tutti belli, basta guardare i gol di Trezeguet in ordine cronologico per notare che la sua classe era evidente fino dalla giovane età e che le sue caratteristiche si sono modellate nel corso delle stagioni, ma erano ben definite fin dagli esordi.

Probabilmente è stato questo gol, visto in qualche speciale sulla Champions League del 1997/98 in onda in seconda o terza serata su qualche canale privato, a farmi innamorare calcisticamente di DT. Guardatelo bene perché, pur avendone davanti altri dieci da gustare, non ne troverete nessuno segnato da questa distanza. Dopo lo 0-0 casalingo, il piccolo Monaco deve riuscire nell’impresa di segnare almeno un gol e non perdere a Old Trafford, contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson. È appena iniziata la partita, quando DT scippa il pallone ad un difensore avversario, dialoga con un compagno (probabilmente Giuly), si avvicina all’area di rigore e scaraventa un bolide terrificante all’incrocio dei pali. Fortunatamente per il piccolo Monaco, lo United pareggerà troppo tardi quella partita per riuscire poi a ribaltarla; il gol di DT porta i francesi alle semifinali.

 

In questo video che riassume i gol più belli segnati dai giocatori più talentuosi che hanno vestito la stravagante casacca dell’AS Monaco, fra una rovesciata di Giuly e una percussione di Yaya Touré, fra un missile dalla distanza di Riise ed un pallonetto di Gallardo, dal minuto 1:30 al 2:06 ci sono un paio di gol di DT assolutamente notevoli: il primo è un tocco volante a metà fra una rovesciata ed un colpo dello scorpione, esemplificazione tangibile e visiva di una rapidità di coordinazione non comune, mentre il secondo è simile a quello che il mito Van Basten segnò nella finale dell’Europeo del 1988.

 

Già da prima della sua introduzione negli anni Novanta, ma soprattutto nel decennio in cui la regola del golden gol è stata in vigore nelle competizioni internazionali, ci sono state molte discussioni sulla correttezza di tale diabolica disposizione regolamentare. Epiche partite del passato il cui risultato era variato diverse volte nei tempi supplementari, non avrebbero mai visto il loro ricordo stagliarsi nell’olimpo di quelle memorabili. La Nazionale italiana è fra le squadre ad avere pagato il prezzo più alto sull’altare di questa regola: eliminata agli ottavi dei Mondiali di Giappone e Corea del Sud 2002 e sconfitta in finale degli Europei 2000, in una drammatica partita contro la Francia, a Rotterdam, domenica 2 luglio. È quasi terminato il primo tempo supplementare quando DT con un movimento repentino si allontana dalla porta staccandosi dalla marcatura, invero molto generosa, di Iuliano e Maldini, capisce esattamente dove Pirès gli consegnerà il suo appuntamento con il destino, la sua hero ball e la scaraventa con un sinistro clamoroso all’incrocio dei pali, dove nemmeno il Toldo leggendario di quell’Europeo può pensare di arrivare. È la prima istantanea di uno dei contrappassi più famosi della storia recente del calcio; la seconda, quella che vedrà DT sprofondare momentaneamente nella polvere, si materializzerà sei anni dopo, sempre contro l’Italia, contro la traversa della porta Est dell’Olympiastadion di Berlino.

 

Passato alla Juventus nell’estate del 2000, quella degli Europei vinti, per la cifra fino allora mai spesa dalla società bianconera di 45 miliardi di lire, DT si ritrova a partire dietro a Inzaghi e Del Piero nelle gerarchie di Ancelotti, a sgomitare pure con Kovacevic per un posto da titolare. Al minuto 00:23 del video che segue, il primo gol realizzato nella Serie A italiana è tutt’altro che banale per location (San Siro), avversario (Milan) e fattura: una giocata fenomenale di Zidane sulla sinistra porta il francese al cross, la deviazione di testa di Costacurta spiazza Maldini e Coco fra i quali si crea uno spazio in cui DT si inserisce alla perfezione per colpire di testa e battere Abbiati. È il gol con cui la Juventus dimezza lo svantaggio e che dà l’abbrivio alla squadra per completare la rimonta allo scadere con Conte. DT sembra passare di lì quasi per caso; basteranno poche altre partite per capire che la sua capacità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto non è affatto casuale.

 

Nelle sale giochi degli anni ’90 uno dei giochi più utilizzati è l’Air hockey. I due avversari devono colpire un disco e scaraventarlo nella porta difesa dall’avversario, sfruttando l’assenza di attrito del disco stesso sul tavolo da gioco, dovuta a piccoli e continui soffi d’aria provenienti dal basso. La rasoiata con cui DT sblocca questo Juventus-Parma dell’autunno 2001 è una saetta che corre parallela al terreno di gioco, ma senza toccarlo mai, quasi non esistesse attrito fra il pallone e l’erba. L’analisi della situazione da parte del portiere del Parma, credo fosse Frey, deve essere stata la seguente: “Gli passano la palla, ora la stoppa, mi viene incontro e lo blocco in uscita”. Purtroppo per lui, alle parole “Gli passano”, la palla era già in rete.

 

La stagione 2002/03 è segnata da svariati infortuni che non consentono a DT un impiego stabile nella formazione titolare di Lippi. Anche in questa partita a Udine il francese è subentrante quando il risultato sembra incanalato verso lo 0-0. Ma un’incursione di Zambrotta spacca a metà la difesa friulana; il cross è perfetto, proprio nell’area di nessuno fra i due difensori centrali. Nella giocata di DT non c’è nulla che non sia più che perfetto: intuizione della giocata del compagno, visione periferica del posizionamento dei due avversari diretti, inserimento nello spazio, balzo felino per intercettare il pallone, tocco al volo di piatto. La grazia con cui si avvicina al pallone e la delicatezza nella volée non farebbero presupporre la potenza con cui invece la sfera si schianta sulla telecamera posta all’interno della porta, metaforico schiaffo alle velleità del portiere di intervenire.

 

“Da grande voglio segnare un gol importante per la qualificazione della mia squadra a un turno successivo in Champions League”. “Da grande voglio segnare un gol al Real Madrid”. “Da grande voglio fare un gol in rovesciata”. I desideri che un bambino può sperare di avverare nella sua carriera, tutti in un gol: ottavi di finale della Champions League 2004/05; all’andata la Juventus ha perso 1-0 a Madrid e a Torino ribalta l’esito dell’eliminatoria con il gol di DT e poi quello di Zalayeta nei supplementari. Come due anni prima, nella stessa porta, cross dalla destra (prima Nedved, ora Camoranesi), sponda di testa quasi dalla linea di fondo (prima Del Piero, ora Ibrahimovic), girata al volo alle spalle di Casillas.

 

Quando nelle scuole calcio gli allenatori spiegano ai ragazzini che le respinte dalla propria area devono essere sempre indirizzate verso gli esterni, raccontano una verità incontestabile. Allo stadio Luigi Ferraris di Genova però una sera, Monsieur De La Palice deve inchinarsi a uno stupendo tiro al volo sul secondo palo; DT è in una posizione strana rispetto a quella in cui un centravanti dovrebbe trovarsi (ossia nei pressi dell’area piccola), la palla scende in verticale e lui la colpisce splendidamente. Ibrahimovic vorrebbe intervenire, ma ad un certo punto ritira il piede capendo, pur da accentratore clamoroso qual è, che il tiro è ottimamente indirizzato.

 

La Juventus si ritrova a giocarsi lo scudetto del 2005 in una sorta di spareggio a San Siro contro il Milan senza la possibilità di schierare Ibrahimovic, squalificato per le sue intemperanze in un match di tre settimane prima contro l’Inter. Gli altri due protagonisti di un terzetto clamorosamente forte e completo si inventano, nell’occasione più importante della stagione, un gol talmente bello da sembrare irreale. Il cross in rovesciata di Del Piero cattura l’attenzione e sbalordisce proprio tutti: difesa del Milan, pubblico allo stadio e Fabio Caressa, che nel commentare il gol grida: «Ma che cross di Del Piero». Tutti incantati ad ammirare la 10 bianconera sottosopra. Ah no, non tutti: DT anticipa Dida e consegna lo scudetto alla Juventus.

 

Tutto molto standard, tutto molto regular. Assist al bacio di Del Piero; conclusione vincente al volo di DT, potente e precisa; Bergomi che sentenzia: «Sembra facile, ma non è facile»; sovraimpressione grafica che riporta: 20 partite, 15 gol in stagione, all’invidiabile media di 0,75 gol a presenza. Tutto molto standard, tutto molto regular.

 

«Maybe it’s just a dream for Hercules» (contro il grande Real Madrid). Nelle parole del telecronista inglese è spiegato ottimamente il senso del gol di una squadra che nella sua storia è giunta al massimo al quinto posto nel campionato spagnolo, segnato contro i detentori del maggior numero di successi in quella lega. Lasciata la Juventus a fine agosto nel 2010, DT si accasa ad Alicante, città natale della moglie e pur nel contesto di una squadra non eccelsa (risulterà penultima e retrocessa a fine stagione) regala ai propri sostenitori 12 gol, nell’ultima stagione in un campionato top, a 33 anni. Questo contro il Real Madrid, l’ennesimo gol alle merengues, è di una bellezza quasi onirica; il cross del compagno è abbastanza preciso, ma un po’ alto e lungo (eh caspita David! Mica giochi più con Nedved). Il balzo da terra di DT non è propedeutico al raggiungimento del pallone quando questo transita perpendicolarmente sulla sua testa, ma è quasi un passetto all’indietro per colpire la sfera alla giusta quota, con la giusta forza e la giusta direzione, per dar vita a quella meravigliosa traiettoria che così, quasi naturalmente, si adagia all’incrocio dei pali. È un lob che ti tiene incollato allo schermo dall’inizio alla fine del suo percorso come una commedia d’amore, la guardi fino all’ultimo, anche se sai già che ci sarà il lieto fine.