Un Chelsea da titolo?

In cinque punti, come è riuscito Antonio Conte a fare del Chelsea una squadra praticamente perfetta: quattro vittorie di fila, zero gol subiti.

Poco più di un mese fa, dopo che il Chelsea aveva raccolto un punto in tre gare, i bookmakers inglesi erano scatenati sull’esonero di Antonio Conte. Quattro partite dopo, i londinesi viaggiano a punteggio pieno, sono a un punto dal primo posto, non prendono gol da 360 minuti (a fronte degli 11 realizzati). Come è stato possibile un simile cambiamento in così poco tempo?

Elasticità del modulo

Antonio Conte è sempre stato un allenatore abituato a ragionare in funzione del materiale tecnico e umano a disposizione, pronto al compromesso con il sistema tattico di partenza pur di tirare fuori il meglio dal suo gruppo di calciatori. Lo scudetto 2011/12 della Juventus nacque, non a caso, nel momento in cui il tecnico leccese capì che il 3-5-2 sarebbe stata la base su cui costruire i futuri successi. Al Chelsea, Conte è inizialmente tornato alla difesa a quattro, optando per un 4-1-4-1, con il solo Kanté a fare da schermo davanti alla difesa e una batteria di trequartisti: Hazard e Willian sugli esterni, Oscar e Matic pronti, alternativamente, a buttarsi negli spazi per vie centrali. Quest’impiantistica di gioco ha portato risultati nell’immediato (tre vittorie consecutive contro West Ham, Watford e Burnley), salvo poi iniziare a scricchiolare nel 2-2 esterno contro lo Swansea e naufragare nel 3-0 contro l’Arsenal.

Chelsea's Brazilian-born Spanish striker Diego Costa (L) celebrates scoring their second goal during the English Premier League football match between Southampton and Chelsea at St Mary's Stadium in Southampton, southern England on October 30, 2016. / AFP / GLYN KIRK / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 75 images, no video emulation. No use in betting, games or single club/league/player publications. / (Photo credit should read GLYN KIRK/AFP/Getty Images)
Diego Costa celebra con i compagni l’ottavo gol in Premier (Glyn Kirk/AFP/Getty Images)

Il motivo era da ricercarsi in un centrocampo troppo al di sotto degli standard imposti dalla fisicità della Premier League (con Oscar tra i più in difficoltà nell’interpretazione del ruolo di mezzala su entrambi i lati del campo) e nell’idiosincrasia di David Luiz a giocare in una difesa a quattro affiancato a un Terry logoro o a un Cahill sempre sul filo dell’errore. L’intuizione salvifica, adottata già nella gara contro l’Hull City, è stata la scelta di mettere Luiz al centro di un sistema difensivo a tre per sfruttarne le qualità di costruzione dal basso (in una riedizione di quanto fatto con Leonardo Bonucci), abbassando un terzino come Azpilicueta sulla linea dei centrali. Dal punto di vista offensivo, poi, mancando un regista puro come l’Andrea Pirlo del triennio bianconero, Conte ha privilegiato la costruzione del gioco sugli esterni, affidando alle coppie Moses-Pedro e Marcos Alonso-Hazard il compito di innescare adeguatamente Diego Costa senza perdere nulla in fase passiva in un 3-4-2-1 “mascherato” da 3-4-3. Tanto più che la cerniera Matic-Kanté si è rivelata l’ideale per coniugare quantità e qualità nella zona centrale del campo. Come ha sottolineato David Hytner sul Guardian, «la grande adattabilità di Conte ha permesso al suo Chelsea di prosperare e di ritrovare la stabilità».

Solidità difensiva

Il dato più importante di quest’ultimo periodo, sottolineato più volte dagli addetti ai lavori e da Conte stesso, è costituito dalla ritrovata solidità del reparto difensivo: nelle ultime quattro partite il Chelsea non ha subito gol (dopo averne presi 9 nelle prime sei giornate di campionato) ed ha concesso 39 conclusioni, di cui appena 8 verso la porta difesa da Courtois. Merito di un collettivo che ha imparato ad interpretare l’idea della fase difensiva del proprio allenatore: pressing alto e aggressivo sui portatori di palla (con un accettabile rapporto di un’ammonizione ogni 10 falli fischiati a sfavore), chiusura delle linee di passaggio (siamo nell’ordine dei 16 intercetti a partita), attenzione ai raddoppi e alle coperture preventive, grande accortezza nell’impedire l’uno contro uno diretto contro i tre centrali, possesso palla quasi scolastico in fase di costruzione da dietro (85% di pass accuracy) per impedire pericolose contro-transizioni con la squadra in uscita, affidandosi, in alternativa, al lancio lungo di David Luiz. Il tutto tenendo un baricentro alto quanto basta per mantenere le giuste distanze tra i reparti.

La partita manifesto di Conte in Premier: Chelsea-Manchester Utd 4-0

Il rilancio di Moses e Matic

Victor Moses fu acquistato dal Chelsea nell’agosto 2012 per poco meno di 12 milioni di euro, al termine di una più che positiva stagione con il Wigan (38 presenze e 9 reti). Fino ad oggi, però, la sua carriera con la maglia dei Blues si era tradotta in appena 22 presenze e 1 gol nel 2012/13 e in una serie di prestiti in giro per la Premier: Liverpool, Stoke City, West Ham. In ogni sessione di mercato era sempre lui il primo esubero da piazzare. Da esubero a titolare, però, il passo è breve se c’è Antonio Conte di mezzo. Il perché lo ha spiegato lo stesso tecnico al Daily Mail dopo la vittoria contro il Southampton: «Victor è stata una grande sorpresa, in questo momento sta giocando in modo fantastico. Credo che il suo ruolo sia fondamentale nel nostro sistema perché con lui in campo riusciamo ad avere, allo stesso tempo, grande equilibrio e grande qualità in fase di spinta».

L’esser diventato la principale arma tattica a disposizione del tecnico salentino (sette occasioni create, una shot accuracy dell’83% e l’abbondante 50% di duelli diretti vinti) ha permesso a Moses di giocare 341 degli ultimi 360 minuti di campionato dopo che, nelle 5 gare precedenti, ne aveva disputati appena 79 sempre partendo dalla panchina. Con lui in campo il Chelsea è una squadra che subisce pochissimo e quasi mai sulla sua fascia di competenza, vista la grande applicazione del numero 15 in fase di non possesso (3 azioni difensive di media a partita, 9 intercetti e 15 chiusure decisive). Offensivamente, poi, la contemporanea presenza nella medesima zona di campo sua e di Pedro (o Willian), oltre a offrire la possibilità di creare la superiorità numerica attraverso lo scambio stretto, rende i movimenti di difficile lettura per la difesa chiamata, in una frazione di secondo, a scegliere preventivamente chi seguire per evitare l’inserimento sul lato debole. Il gol del 3-0 contro il Leicester nasce proprio così, con Moses che si presenta solo davanti al portiere (dopo un uno-due abbastanza scolastico) proprio per l’incapacità della retroguardia di Ranieri di intuire il movimento del nigeriano.

Il gol di Moses contro il Leicester

Nemanja Matic era un altro giocatore che sembrava destinato a lasciare Londra e che invece è stato messo al centro del nuovo progetto. Conte in estate si è fermamente opposto alla sua cessione, ma le prestazioni del serbo hanno superato le aspettative: in fase di costruzione Matic è un giocatore ordinato e preciso (87% di precisione nel passaggio), in grado di creare tantissimo (quattro assist e cinque key passes) senza mai perdere il tempo della giocata giusta al momento giusto. In non possesso, poi, la sua fisicità gli consente di coprire ampie zone di campo: lo testimoniano i 18 intercetti e le 12 chiusure decisive. Chiaro, poi, come l’essere affiancato a Kanté, primo centrocampista della Premier per azioni difensive, renda l’operato del serbo esponenzialmente più efficace.

Il fattore Diego Costa

In Inghilterra si dice spesso: «Antonio Conte in the technical area, Diego Costa on the pitch». Non serviva certo questo, però, per sottolineare il fil rouge che unisce il tecnico al suo attaccante di riferimento. Non è (solo) l’aver segnato 8 gol nelle prime 10 partite (più due assist e 10 passaggi chiave), quanto, piuttosto, il comune sentire calcistico tra i due. Il brasiliano naturalizzato spagnolo è l’attaccante perfetto per Conte: fa reparto da solo, è il primo difensore della squadra in fase di non possesso (sono due le azioni difensive di media a gara), ha rabbia agonistica. Diego Costa è un giocatore che, per rendere al meglio, ha bisogno di sentirsi pienamente coinvolto nel progetto: Antonio Conte lo ha capito e, differentemente da Mourinho che provava a motivare il giocatore attraverso provocazioni continue, lo ha preso fin da subito a muso duro spiegandogli ciò che si aspettava da lui in termini di leadership e conduzione mentale della squadra.

L’inizio di stagione di Diego Costa, capocannoniere della Premier con 8 gol

Gruppo forte e unità d’intenti

Un amico londinese, tifoso del Chelsea, mia ha confidato come, da tempo, non vedeva un gruppo di giocatori così unito, forte, affiatato, capace di andare oltre i propri oggettivi limiti per arrivare a qualcosa di speciale. Segno che, evidentemente, il “metodo Conte” ha attecchito anche qui. In una delle sue prime interviste da allenatore del Chelsea, il salentino ha paragonato la nuova realtà a quella che trovò alla Juventus: una squadra in disgrazia, reduce da risultati negativi, da rilanciare attraverso le motivazioni dei nuovi e la voglia di rivalsa di chi già c’era. Ragionando sempre in funzione di ciò che è meglio per il gruppo: gestione oculata dei senatori (Terry), accantonamento momentaneo di chi non è ancora entrato negli automatismi di gioco (Oscar, Fàbregas), fiducia totale in chi ha già compreso come funziona il sistema (Azpilicueta e Moses), rilancio di top player incupiti dalle precedenti gestioni (in particolare Hazard, che sta disputando una delle sue migliori stagioni da quando è a Londra: già 5 reti, un assist e 18 key passes). Il fatto che tutti stiano remando dalla stessa parte, indipendentemente dal minutaggio a disposizione, è un chiaro sintomo di un gruppo compatto, coeso, unito e proiettato verso l’obiettivo della vittoria finale.

 

Nell’immagine in evidenza, i giocatori del Chelsea festeggiano il gol del 2-0 contro il Southampton (Ian Walton/Getty Images)