Se il campionato finisse oggi, Torino e Lazio sarebbero le squadre rivelazioni. E, sempre se il campionato finisse oggi, al netto del lavoro di Max Allegri con la Juventus e di Vincenzo Montella con il Milan, sarebbero probabilmente Sinisa Mihajlovic e Simone Inzaghi a contendersi la Panchina d’oro cioè il riconoscimento per il miglior allenatore della stagione. Fra i due tecnici, in questo ipotetico futuro futuribile, dovrebbe essere il laziale a prevalere. Questo perché la stagione positiva del Torino era prevista data la rosa a disposizione di Mihajlovic. Quella che invece non era prevista era l’annata della Lazio, andata fin qui oltre le più rosee aspettative.
Molto del merito va al lavoro di Simone Inzaghi, il meno conosciuto e il meno reclamizzato fra i due fratelli Inzaghi ma quello che, fino a ora, ha riscosso i maggiori consensi come allenatore. Quarto posto in classifica dopo dodici giornate con 22 punti. Quarto miglior attacco del torneo con 23 reti realizzate (media di 1,92 a partita). Sono numeri che indicano come la Lazio funzioni e come funzioni il suo allenatore nonostante i numerosi infortuni cui la squadra ha dovuto far fronte in questa prima parte di stagione.
Per vie traverse
Eppure la scorsa estate Simone Inzaghi non doveva essere l’allenatore della Lazio. Catapultato sulla panchina nell’ultima stagione come traghettatore fra la fine dell’era Pioli e l’inizio (presunto) di una nuova gestione tecnica durante l’estate, Inzaghi aveva compiuto il suo dovere risollevando le sorti di una squadra e di un ambiente caduto in depressione dopo il derby del 3 aprile scorso che era costato il posto al neo-tecnico dell’Inter. Al termine del campionato, come da promesse iniziali, le strade della Lazio e di Inzaghi si sarebbero dovute separare con Simone destinato alla Salernitana (l’altro club di Claudio Lotito) e con la panchina della prima squadra affidata a un nome di grido, in grado di fungere da paciere fra la proprietà e una tifoseria in perenne contestazione.
Invece succede che, a luglio, il tecnico designato, l’argentino Marcelo Bielsa, decida improvvisamente di recedere da un contratto firmato soltanto poche ore prima con la Lazio adducendo la mancata volontà, da parte del club, di mantenere delle promesse che sarebbero state fatte al Loco in sede di mercato per costruire una squadra a sua immagine e somiglianza. Quelle di Bielsa sono dimissioni rumorose, riportate da tutti gli organi di informazione nazionali e non e che faranno fare alla Lazio il famoso comunicato nel quale si afferma la società prende atto «con stupore delle dimissioni del Sig. Marcelo Bielsa, anche a nome dei suoi collaboratori, in palese violazione degli impegni assunti con i contratti sottoscritti la settimana scorsa e regolarmente depositati presso la Lega e la Figc con i relativi adempimenti previsti. La Società si riserva ogni azione a tutela dei propri diritti».
Nel frattempo, in ritiro con la squadra ci va proprio Simone Inzaghi, l’uomo per tutte le stagioni. Alla fine, vuoi per necessità vuoi per scelta, Inzaghi perde il titolo di allenatore ad interim diventando ufficialmente l’allenatore della Lazio per la stagione 2016/17. Una scelta sicuramente meno glamour di quella che avrebbe rappresentato Bielsa ma che, a distanza di qualche mese, sembra essere stata quella giusta.
L’uomo di Formello
Inzaghi è un profondo conoscitore dell’ambiente laziale e delle dinamiche che si muovono intorno al club. Da quasi vent’anni Inzaghi jr. è infatti di casa a Formello, prima come calciatore e poi come allenatore in un’esperienza che lo ha portato dagli Allievi alla Primavera e, poi, fino alla prima squadra. In silenzio e con il lavoro quotidiano Inzaghi ha cercato fin dall’inizio di ricompattare un ambiente deluso dalla gestione tecnica e societaria portata avanti da Lotito e dal ds Igli Tare e rimasto spiazzato di fronte alla girandola di nomi che erano stati accostati alla panchina biancoceleste prima della scelta di Inzaghi (oltre a Bielsa si era parlato anche di De Boer, poi finito all’Inter ad agosto, Cocu e Cesare Prandelli). I risultati stanno dando ragione a una società che, alla fine, ha fatto prevalere la linea della continuità interna a quella della ricerca di un tecnico che venisse da fuori, magari un allenatore esotico.
La giovinezza
La Lazio di Simone Inzaghi è stata caratterizzata fin dall’inizio dal fattore gioventù. La rosa della squadra è infarcita di under 23 da Hoedt a Wallace, da Patric e Cataldi a Anderson e Keita. Via via nel corso di questa prima parte dell’annata Inzaghi ha anche fatto ricorso ai migliori prodotti di quella Primavera che l’allenatore conosce molto bene, da Lombardi a Leitner fino a Murgia. Proprio Lombardi e Murgia hanno anche segnato in stagione i loro primi gol in Serie A con il primo autore del terzo gol laziale nel successo 4-3 sull’Atalanta e con il secondo autore del gol del momentaneo vantaggio della Lazio sul Torino nella partita poi finita 2-2. Tutto questo senza dimenticare Thomas Strakosha, 21enne portiere albanese di nazionalità greca, capitano dell’Under 21 albanese, che ha fin qui giocato tre partite al posto dell’infortunato Marchetti. Per Inzaghi non è un problema lanciare i giovani. «Con il settore giovanile della Lazio abbiamo fatto molto bene, quando hai giocatori importanti devi inserirli nel modo giusto», ha dichiarato al Corriere dello Sport.
Lo staff
La forza di un allenatore sta anche nella sua capacità di costruirsi uno staff all’altezza. E Inzaghi, anche in questo, è riuscito a centrare l’obiettivo. «Ogni allenatore ha bisogno del proprio staff», ha detto, «competente, non fatto di amicizie». Il suo vice è Massimiliano Farris, ex calciatore, fra le altre, anche del Torino – 4 presenze in maglia granata – ed ex allenatore della Viterbese. Farris ha raggiunto Inzaghi nel momento in cui l’attuale allenatore della Lazio fece il salto dagli Allievi alla Primavera della società biancoceleste. Insieme a Inzaghi, Farris ha vissuto l’epopea che ha visto la Primavera vincere due Coppe Italia, una Supercoppa e perdere ai rigori una finale scudetto di categoria contro il Torino. Oltre a Farris, la parte tecnica dello staff comprende gli analisti Ferruccio Cerasaro e Enrico Allavena, che si occupano in particolar modo di studiare le palle inattive avversarie. A questi uomini Inzaghi ha aggiunto, in questa stagione, un assistente tecnico: si tratta di Mario Cecchi, compagno di corso di Inzaghi a Coverciano ed ex allenatore nel settore giovanile dell’Empoli, dove ha contribuito a formare elementi finiti poi in prima squadra come Tonelli e Pucciarelli.
Il pareggio contro il Napoli nell’ultima giornata
La tattica
Come gioca la Lazio? È camaleontica, capace di cambiare pelle a seconda della situazione. In questa prima parte di stagioni si sono visti schierati con il 4-3-3, con il 3-4-3, con il 3-5-2. Indipendentemente dall’assetto tattico scelto sono i principi di gioco, come sempre, a caratterizzare il gioco di una squadra. E la compagine biancoceleste, sotto Simone Inzaghi, si caratterizza per la verticalità del proprio. La Lazio è fin qui soltanto tredicesima per percentuale di possesso palla con il 48,7%, quattordicesima come passaggi completati (79,5%) e tredicesima per numero di passaggi corti (366 a partita). In compenso, è terza nella media delle palle lunghe a partita (69), segno della volontà di Inzaghi di fare poco possesso e di cercare invece di servire quanto prima possibile gli attaccanti. Questa scelta sta pagando: la Lazio è sesta in Serie A per tiri a partita (14,9) e quarta per media di tiri nello specchio della porta (5,8).
La ricerca della profondità e le qualità degli attaccanti della Lazio mettono spesso in difficoltà le difese avversarie
All’interno del gioco predisposto da Inzaghi hanno un ruolo chiave i tre giocatori offensivi: Ciro Immobile, Felipe Anderson e Keita Balde. Il nazionale italiano, dopo alcune stagioni opache, si è rilanciato nonostante il fatto di aver raccolto la pesante eredità lasciata dalla partenza di Miroslav Klose. Il suo score attuale parla di 9 reti segnate in 12 partite giocate alla media di 1,33 gol a partita. Immobile è il riferimento avanzato della Lazio: l’ex granata svolge questo compito attaccando spesso la profondità e allungando così le difese avversarie. Intorno a lui ruotano Keita e Anderson. Il ruolo del brasiliano, in particolare, è stato oggetto di discussione. Inzaghi infatti lo impiega prevalentemente da esterno destro, anche nel 3-5-2, non disdegnando quindi di affidargli anche compiti difensivi. «Felipe può fare il terzo d’attacco o il quinto di centrocampo», ha detto al Corriere dello Sport, negando che fargli coprire tutta la fascia sia eccessivo. «Io lo vedo sotto la panchina andare incontro al terzino… vuol partire da più lontano. Io sono convinto che quel ruolo possa farlo nel migliore dei modi». I numeri sembrano confortare la scelta di Inzaghi con il talento brasiliano che sin qui sembra essere tornato ai suoi livelli: per lui un gol realizzato e 4 assist forniti (miglior giocatore della Serie A con Ilicic, Salah, De Silvestri, Suso e Insigne), con 2,4 passaggi chiave e 3,4 dribbling vincenti a partita.
Contro il Napoli è Basta che deve scivolare per coprire le mancanze difensive di Felipe Anderson
La Lazio non ha paura dell’uno contro uno difensivo: qui Basta in copertura su Insigne, mentre Wallace e Radu si occupano degli altri due attaccanti del Napoli
Ma la Lazio non attacca soltanto con questi tre giocatori. L’obiettivo di Inzaghi è quello di riempire il più possibile l’aria avversaria e per questo si vedono spesso inserimenti dei centrocampisti abili in queste situazioni, a partire da Milinkovic-Savic e Parolo. Per quanto riguarda la fase di non possesso, nonostante i problemi di elementi chiave come De Vrij, uno dei migliori difensori del campionato, la Lazio ha comunque mostrato una discreta (ancorché migliorabile) fase difensiva con 13 gol subiti e una media di 13,4 tiri subiti a partita. I biancocelesti sono una squadra votata all’attacco e per questo non disdegnano di prendersi qualche rischio dietro, come accaduto contro il Napoli, quando Inzaghi ha accettato l’uno contro uno difensivo schierando Basta, un terzino, come terzo centrale nella zona di Insigne, mentre Wallace e Radu si occupavano di Mertens e Callejon. Una strategia rischiosa ma che evidenzia la mentalità Inzaghi e la sua volontà di far passare alla squadra un messaggio: di potersela giocare contro tutti.