Un derby senza vincitori

Ma anche senza sconfitti: il pareggio tra Milan e Inter mostra la faccia migliore delle due squadre.

Alla fine il senso del derby milanese numero 218 sta tutto nelle parole di Leonardo a Sky: «Chi ha provato a giocare ha preso gol». Non gli si può dare torto, in effetti: in una partita dove le due squadre in campo si sono equivalse nel risultato e nella dimostrazione dei rispettivi pregi e difetti, la costante è stata la successione delle reti, arrivate tutte nel momento in cui la squadra che le ha subite sembrava nel pieno controllo della situazione. Il 2-2 finale è stato specchio fedele di quanto visto sul terreno di gioco: il Milan ha confermato quanto di buono si era detto nelle scorse settimane a livello di organizzazione e precisa identità tattica; l’Inter lascia già intravedere i primi benefici effetti della “cura Pioli”, nonché evidenti passi in avanti rispetto agli stenti della gestione De Boer, sia per quanto riguarda il gioco, sia nella tenuta mentale, tallone d’Achille della squadra nel primo scorcio della stagione. Sono particolari non trascurabili, soprattutto in considerazione del diverso stato di forma delle contendenti: Milan che viene da cinque vittorie nelle ultime sette partite, l’Inter che ha vinto solo due volte negli ultimi due mesi.

Dal punto di vista tattico, il copione del primo tempo si dipana con chiarezza fin dall’inizio, anche a causa della diversa interpretazione del 4-3-3 adottato da entrambi i tecnici: nerazzurri a fare la partita e a gestire il possesso palla (il dato finale dirà, addirittura, 66% Inter contro il 34% del Milan), rossoneri a fare densità a metà campo in attesa di ripartire nelle ormai classiche transizioni, attaccando la profondità sui 50-70 metri. Qualcosa che Montella, nel dopo partita, ammetterà di aver preparato a tavolino in relazione «alle caratteristiche dei giocatori che ho a disposizione, per metterli nelle migliori condizioni possibili per esprimere le loro qualità». Eppure si intuisce subito che qualcosa non vada, in particolare un baricentro evidentemente troppo basso: dettaglio che, unitamente alla grande pressione interista dei primi minuti, rende inoffensivi i padroni di casa per i primi venti minuti, impelagati in un 4-5-1 che di frutti ne produce davvero pochi.

La posizione media dei giocatori in campo del Milan (a sinistra) e dell’Inter (a destra). Si noti il baricentro nettamente più altro della squadra di Pioli che ha cercato di andare a prendere gli avversari fin nella loro metà campo
La posizione media dei giocatori in campo del Milan (a sinistra) e dell’Inter (a destra). Si noti il baricentro nettamente più altro della squadra di Pioli che ha cercato di andare a prendere gli avversari fin nella loro metà campo

Di contro, l’Inter si fa preferire anche in fase di possesso. La scelta di schierare Medel da difensore centrale è paradigmatica dell’idea di Pioli di avere un’ulteriore opzione in fase di prima costruzione, per sgravare dal primo pressing avversario il vertice basso del triangolo di centrocampo, ruolo ricoperto alternativamente da Brozovic e Kondogbia (partito bene ma calato alla distanza). E, in effetti, finché il cileno rimane in campo (uscirà per problemi fisici dopo 36 minuti, sostituito da Murillo: fino ad allora aveva toccato 28 palloni, con una percentuale di precisione nei passaggi del 100%), la manovra si sviluppa fluida con palla in uscita, con l’attacco degli ultimi trenta metri di campo che avviene sfruttando il principio cardine dell’idea di calcio dell’ex tecnico laziale: le catene laterali. Non è un caso, infatti, che la principale palla gol dei nerazzurri del primo tempo, al minuto 23, si sviluppi tanto in ampiezza quanto in profondità: Candreva si accentra e favorisce l’inserimento di D’Ambrosio (con De Sciglio preso in mezzo), il quale crossa all’altezza del secondo palo dove Perisic, complici i due centrali in marcatura su Icardi, è completamente libero. Il croato, però, calcola male il tempo di impatto con il pallone e spedisce fuori da posizione favorevole.

Quella del cambio gioco è un’arma che l’Inter ha usato spesso nella prima mezz’ora per mandare fuori giri le rotazioni difensive avversarie, favorita anche dalla circostanza che, ogni due/tre possessi, i due esterni alti del Milan non ripiegavano nei tempi giusti e lasciavano i due terzini in balia delle iniziative degli stessi Candreva e Perisic, liberi di puntarli a piacimento: a fine partita il 68% delle azioni offensive dei nerazzurri arriveranno dalle zone esterne del terreno di gioco.

Le diverse zone d’attacco di Milan (a sinistra) e Inter (a destra): nerazzurri molto più portati verso il centro-sinistra (soprattutto nel secondo tempo), rossoneri che hanno cavalcato la verve di Suso sul centro-destra
Le diverse zone d’attacco di Milan (a sinistra) e Inter (a destra): nerazzurri molto più portati verso il centro-sinistra (soprattutto nel secondo tempo), rossoneri che hanno cavalcato la verve di Suso sul centro-destra

Come detto, però, nel momento migliore dell’undici di Pioli, arriva la rete del vantaggio rossonero, preannunciata da un calo dell’intensità della prima pressione avversaria e da un paio di contropiede malamente sprecati da Bonaventura prima e Bacca poi. Su un rilancio con le mani di Donnarumma, l’Inter si fa trovare scoperta e con ben 7 giocatori sopra la linea della palla: Bonaventura (nettamente tra i migliori sul terreno di gioco: 80% di passaggi riusciti e ben tre occasioni create, oltre a due tiri nello specchio della porta) taglia indisturbato il campo in diagonale e serve sulla corsa, in situazione di tre contro tre, l’accorrente Suso per il quale è perfino troppo facile saltare secco Ansaldi e fulminare Handanovic sul palo lungo.

Commenterà poi Pioli: «Dobbiamo ancora crescere in cattiveria e concentrazione. Abbiamo subito troppo in relazione a quanto abbiamo concesso al Milan. Volevo una squadra aggressiva e per larghi tratti l’ho anche avuta, ma a volte abbiamo sbagliato nei tempi di uscita con i due mediani. Sul primo gol, ad esempio, eravamo posizionati male sotto palla, a causa di una lettura errata di Joao Mário e Kondogbia. Coprire con i quattro difensori una porzione di campo così ampia è stato, poi, impossibile. Dobbiamo imparare a correre negli spazi in cui ci sono gli avversari e non in quelli vuoti».

Nella ripresa la musica cambia radicalmente. Il Milan recupera palla con molta più facilità grazie ad un prorompente Kucka (quattro tackle, un intercetto e circa il 40% di contrasti vinti), spezza costantemente raddoppi e coperture preventive nerazzurre, e il solito Bonaventura a dare fastidio per vie centrali e/o svariando da un lato all’altro del campo. E anche in non possesso sembra essersi registrato in termini di corretta distanza tra i reparti, tanto più che persino la rete del pari di Candreva (dopo Perisic il secondo giocatore della gara per numero di tiri in porta: ben cinque, di cui due nello specchio) sembra frutta del caso o, meglio, di un’evitabile disattenzione su una rimessa laterale a 30 metri dalla porta.

Le squadre si sono allungate e in Italia ci sono poche squadre come il Milan in grado di trarre il massimo profitto da una situazione del genere. Ci vogliono appena due minuti affinché i rossoneri tornino in vantaggio, con un’azione tutto sommato abbastanza scolastica: lancio lungo di Gustavo Gomez, sponda di Bacca per Suso, doppio scambio tra i due e lo spagnolo si ritrova nuovamente in area, libero di bersi Miranda e battere nuovamente Handanovic per il 2-1.

Un gol che dice molto della rinnovata indispensabilità dell’ex Liverpool nel sistema offensivo di Montella: «Lui e Niang si completano alla perfezione. Uno è più tecnico e geometrico nella giocata, l’altro più fisico, esplosivo e potente nel breve». Sono parole che si sposano perfettamente con i dati di una prestazione personale mostruosa: due reti con tre tiri effettuati e cinque uno contro uno vinti, in funzione costante della creazione di superiorità numerica sull’out di riferimento.

Dall’altra parte, trovatosi di nuovo in svantaggio, Pioli si vede costretto ad anticipare quella che sarà una costante tattica della sua Inter, accentrando il raggio d’azione di Candreva che agisce, di fatto, nella posizione di trequartista. I cambi di gioco diminuiscono sensibilmente e l’azione si sviluppa principalmente sulla sinistra, con il triangolo Ansaldi (poi sostituito da Nagatomo)-Joao Mário-Perisic. La mossa qualche dividendo lo paga, visto che la principale palla gol dei nerazzurri arriva grazie all’intuizione dell’esterno ex Lazio spostato sull’out mancino, che trova Perisic pronto al taglio alle spalle del diretto marcatore: ancora una volta la conclusione del croato termina fuori di pochissimo.

Pioli spiegherà così: «Mi serviva un giocatore che agisse tra le linee e contemporaneamente stesse più vicino a Icardi per provare a servirlo in profondità». Già, Icardi. Non è stata una partita facile per il 9 nerazzurro: appena 13 palloni giocati, quasi nessuno all’interno dei 16 metri avversari. Tranne al minuto 68 quando, servito da D’Ambrosio in una delle rarissime sortite offensive dal lato destro, cicca clamorosamente da buona posizione dopo aver dettato al meglio il passaggio al compagno di squadra.

Seguiranno, poi, venti minuti in cui il Milan tiene il campo senza difficoltà, intasando le linee di passaggio e facendo densità sulla propria trequarti, mentre l’Inter passa ad uno strano 4-2-3-1, inserendo un impalpabile Jovetic nel tentativo di trovare la giocata nello stretto che faccia saltare il banco e finendo, invece, dritta nell’imbuto centrale creato dalla retroguardia di Montella. Una tattica probabilmente vincente se, in occasione dell’ultimo assalto, il giovane Locatelli non peccasse due volte d’inesperienza in una frazione di secondo: prima non salendo nei tempi giusti (ma chiamare il fuorigioco sui piazzati laterali è sempre un rischio), poi facendosi bruciare da Perisic che sfrutta al meglio la sponda di Murillo su calcio d’angolo.

Un amareggiato Montella proverà comunque a vedere il bicchiere mezzo pieno: «La classifica è bella lo stesso. Potevamo anche chiudere la partita, ma alla fine avevamo speso tanto. Non dimentichiamoci che siamo una squadra molto giovane e qualche piccolo calo di tensione a volte puoi pagarlo». Gioventù e inesperienza a parte, comunque, il Milan si è dimostrato solido, concreto, cinico, l’avversario scorbutico per eccellenza, che supplisce alle carenze tecniche con la fisicità, la corsa e l’organizzazione: una squadra conscia di quel che è e che agisce di conseguenza, massimizzando gli effetti dell’impatto delle prestazioni dei singoli all’interno di un’impiantistica di gioco chiara.

Nemmeno Pioli è soddisfatto fino in fondo: «Non credo meritassimo la sconfitta per la prestazione che abbiamo fatto. Ho visto tante cose positive, ma su tante altre dobbiamo migliorare». Come, ad esempio, le coperture preventive in caso di perdita del possesso palla, le situazioni di uno contro uno in campo aperto (Ansaldi che concede il sinistro a Suso è un errore da matita blu) in transizione, la velocità nel possesso palla, un Icardi da coinvolgere di più e meglio nella costruzione della manovra affinché l’isolamento odierno resti un unicum da dimenticare alla svelta. Eppure la mano del nuovo allenatore (in termini di idee, filosofia di gioco, unità d’intenti del collettivo) è già visibile e si può tranquillamente dire di aver assistito alla miglior versione dell’Inter 2016/17, exploit con la Juventus a parte. E non era certo scontato che, dopo appena 15 giorni di lavoro, Pioli fosse già a questo buon punto, con una squadra che sembra finalmente avere una base tecnico-tattica da cui ripartire.

 

Nell’immagine in evidenza, Suso esulta dopo il gol del 2-1 (Giuseppe Cacace/AFP/Getty Images)