L’universo Agassi

L'incontro con uno dei tennisti più forti di sempre: oltre l'atleta, una grandezza che tocca anche la sua dimensione privata.
di Francesco Cosatti
22 Novembre 2016

Ho incontrato Andre Agassi a New York. Un venerdì pomeriggio di novembre così caldo da sembrare un giorno di fine estate. Come una di quelle giornate che fanno crescere la nostalgia per il mare e le vacanze, e che fanno sembrare l’autunno – che sta per arrivare – come un incubo. E invece l’autunno è la stagione più bella della città più città del mondo; ed è anche la stagione della vita più bella per una leggenda. Perché se l’estate di Agassi va più o meno dal 1992 al 2003, ed è il periodo dei successi e delle centinaia di milioni di dollari guadagnati, il suo autunno inizia con la pubblicazione di Open e continua. Continua. Continua.

È una stagione diversa, ma più ricca. Anche di guadagni, ma non solo. È una stagione più ricca perché viaggia in tutto il mondo e incontra persone, bambini, businessmen, manager, sponsor, e altre leggende. Li incontra e parla. Ricorda e emoziona. Insegna con le parole. E con i suoi occhi. Ecco, gli occhi di Andre Agassi andrebbero clonati e regalati ai professori di tutte le scuole del pianeta. Perché due occhi così ti prendono e non ti lasciano più. Perché aggiungono dettagli alle parole. E resti immobile. Ipnotizzato. Lo sguardo è stata una delle sue fortune da giocatore, perché gli permetteva di anticipare il gioco dell’avversario. Muoversi solo all’ultimo secondo. Agassi con i suoi occhi giocava e vinceva. Oggi con gli occhi entra nel cuore di chi ascolta. Quando sintetizza la sua infanzia in un ritornello «mi alzavo, giocavo a tennis, andavo a lavarmi i denti. E così uguale il giorno dopo». Un sacrificio continuo, obbligato da suo papà. Una storia che Agassi cita, seduto su un palco, ma che ha raccontato benissimo nelle prime pagine di Open, con quella macchina sparapalle che si era trasformata in incubo per lui e che ancora oggi cita spesso nelle sue conferenze.

Andre Agassi of the United States wearing his jean style shorts during a Men's Singles match at the U.S.Open Tennis Championship on 1st September 1988 at the USTA National Tennis Center in the Flushing neighbourhood of Queens in New York, United States.(Photo by Mike Powell/Getty Images)

Un’autobiografia che ha ridefinito i parametri della letteratura sportiva. Nel senso che sarà difficile scrivere meglio un libro di sport. Un libro che racconta un senso di obbligo. «Diventare il numero uno del tennis», ecco cosa gli ordinava papà. Il padre (e il sacrificio) sono due aspetti correlati che Agassi utilizza sempre per spiegare i successi. Per spiegare il dolore. Per spiegare anche le sconfitte. Del campo e della vita (l’utilizzo di droghe, e quanta sofferenza da quel divorzio con Brooke). Ma guardare indietro non serve. «Il parabrezza della macchina è decisamente più grande dello specchietto retrovisore, no? Così bisogna focalizzarsi nella vita! Non essere spettatore!  Sii protagonista! E resta sempre fedele a te stesso».

Applausi. Applausi di tutta l’orchestra, e la platea e le gallerie. Agassi è seduto al centro di quella scatola di gioielli che è il palco del Lincoln Center. 150 metri da Central Park, 10 minuti a piedi dal palazzo più presidiato di New York, la Trump Tower. Praticamente in contemporanea al World Business Forum — organizzato da Wobi — dove è ospite Agassi, il commissario del dipartimento di polizia della città tiene una conferenza stampa per raccontare come si stia cercando di controllare la 5a strada all’altezza del palazzo del presidente, diventata il centro dell’attenzione mediatica di tutti i network del mondo. Esempio della connettività umana che ha sempre affascinato Agassi. «Abbiamo tutti vite differenti, ma viviamo la stessa giornata, non dimentichiamolo mai. Sviluppiamo i rapporti, accettiamo di rischiare, non dobbiamo sempre vincere a tutti i costi».  E mentre lo racconta, gli occhi si fanno lucidi. Colpa di piccole lacrime.

6 Jun 1999:  Andre Agassi of the USA kisses the trophy after victory in the 1999 French Open Final match at Roland Garros in Paris, France.    Mandatory Credit: Al Bello /Allsport

Andre Agassi mentre bacia il trofeo vinto al Roland Garros 1999 (Al Bello/Allsport)

Ancora una volta i suoi occhi fanno la differenza. E sottolineano concetti alla base della vita come il rispetto per il prossimo, per chi hai davanti. E per Agassi nel suo autunno il suo prossimo sono innanzitutto i figli («L’undicenne in questi giorni sta diventando un po’ pazza…», ride) e i figli dei meno fortunati. Un impegno che il tennista porta avanti insieme alla moglie Stefi Graff con la sua fondazione, con cui ha acceso un mutuo di 40 milioni di dollari per aprire una scuola a Las Vegas. Storie da vero grande uomo, da uno che ha sofferto e vinto prima, è caduto e poi si è rialzato, e che rendono un autunno di carriera più luminoso di quando batteva Pete Sampras all’Australian Open del 1995. Storie che ti fanno emozionare quando ce l’hai faccia a faccia. Incroci quegli occhi con i tuoi per pochi secondi e puoi solo raccontare il piacere di essere lì. Dirgli grazie per il tennis che ha giocato, e scattare una foto insieme. E pensi che uno come lui continua a illuminare chi ha davanti. Con efficacia e semplicità. E c’è da chiederglielo allora come si fa a restare così umili. «Facile», ti risponde, «basta sposare una donna migliore di te». Facile, leggenda.

>

Leggi anche

Tennis
Commentare una partita di tennis è una delle cose più difficili del mondo
Il telecronista deve gestire i momenti vuoti e l'enfasi eccessiva, deve evitare l'approssimazione e le frasi fatte. E anche le logistica e la voce di spalla sono fondamentali.
di Federico Ferrero
Tennis
Alcaraz deve inventarsi qualcosa, altrimenti Sinner cannibalizzerà anche la loro rivalità
La finale di Wimbledon è stata piuttosto chiara: tra i due re del tennis maschile c'è una differenza netta a favore di Sinner, e si fa fatica a capire come si possa colmare questo gap.
di Matteo Codignola
Tennis
I tappi di champagne a Wimbledon non sono un’anomalia, sono una tradizione
Un brindisi di troppo sugli spalti poteva costare a Sinner un servizio, perfino durante la finale. Ma pure il vincitore lo sa: «Succede soltanto a Wimbledon, e ci piace così».
di Redazione Undici
Tennis
A Wimbledon, un mese dopo il Roland Garros, Jannik Sinner ci ha insegnato il valore della rivincita
Il modo in cui Jannik ha reagito alla terribile sconfitta di Parigi è un monito per tutti, sportivi e non solo.
di Redazione Undici