Non ci avrà dormito la notte Reinaldo Rueda. E non gli si può certo dare torto. Il Rosario Central è una delle peggiori squadre da affrontare nei quarti di Libertadores e non solo perché l’andata si sarebbe disputata al Gigante de Arroyito. A preoccupare l’allenatore dell’Atlético Nacional erano le caratteristiche dell’undici di Eduardo Coudet: una squadra camaleontica, dalla cifra tecnica notevole e che attacca “a folate”, alternando a momenti di furiosa pressione offensiva una fase di palleggio ragionata, in modo da recuperare energie per l’ondata successiva. Una sorta di “calcio totale all’argentina”, in cui tutti fanno tutto su entrambi i lati del campo, come rimarcato anche in un articolo del quotidiano La Nación.
L’elemento che Rueda teme di più è il ragazzino con il numero 10. Uno che la rivista El Gráfico aveva già definito come uno dei talenti più fulgidi della classe ’94. Fossimo ancora negli anni ’90 sarebbe il classico enganche sudamericano alla Riquelme, quello da cui dipende la quasi totalità delle azioni offensive della squadra, il giocatore di trama, ordito e raccordo tra centrocampo e attacco. Peccato, però, che Franco Emanuel Cervi sia l’evoluzione della specie: 69 chili ben distribuiti sul suo metro e 80 di altezza, rapidità, fantasia, visione di gioco, nessuna paura dell’ uno contro uno anche partendo da fermo, continue variazioni del lato di partenza della sua azione, grande capacità di scelta della giocata migliore in relazione a ciò che propone la difesa, letale nello stretto, imprendibile palla al piede in campo aperto. Di fatto, il 22enne argentino, nato e cresciuto con la maglia gialloblù indosso, è il pericolo pubblico numero uno quando i Canallas attaccano gli ultimi 30 metri di campo, sia per vie centrali che per linee esterne.
Un saggio delle qualità di Cervi nel Rosario Central
Come lo limiti uno così? Rueda opta per la soluzione più semplice: gli manda contro tutti quelli che può, in un 3-4-2-1 di partenza che diventa un 3-6-1 in fase di non possesso. I mediani Mejía e Pérez dovranno essere sempre pronti ad aiutare i due esterni Bocanegra e Dìaz, raddoppiando Cervi ogni qual volta decida di spostarsi sulla fascia, mentre, centralmente, spetterà al trio difensivo Aguilar-Henriquez-Sanchez far valere le proprie ragioni. Cervi fa comunque quello che vuole (risultando nettamente il migliore in campo dei suoi) nell’1-0 dei padroni di casa, ma i colombiani riescono a rovesciare l’esito della qualificazione vincendo 3-1 al ritorno. Poco male per Cervi che, proprio grazie alle sue notevoli prestazioni in Copa, convince il Benfica ad anticipare i tempi del suo arrivo in Europa. I portoghesi hanno da tempo l’accordo con il Central (bruciata anche la concorrenza di Inter e Tottenham) sulla base di cinque milioni di euro, con il trasferimento da concretizzarsi nel gennaio del 2017. Invece, complice il benestare del tecnico Rui Vitória, il tutto si compie con sette mesi d’anticipo. Il perché è presto detto: in Cervi, l’allenatore del Benfica vede quel che, a suo tempo, vide Jorge Jesus in Ángel Di María, ovvero la capacità di coniugare una straordinaria duttilità tattica alla già eccellente tecnica di base.
Come il suo ben più famoso concittadino, infatti, Cervi è un mancino naturale in grado di svariare su tutta la trequarti offensiva: nato come centrocampista, le doti naturali in fase di scatto e accelerazione ne facilitano lo spostamento in fascia. Nei due anni in prima squadra al Central, ha ampliato notevolmente il proprio raggio d’azione. Trequartista alle spalle della coppia d’attacco, esterno in un tridente, seconda punta in appoggio a Marco Rubén, terzo di sinistra in quel super offensivo 4-1-3-2 che Jesus aveva sperimentato con successo nell’unica stagione in cui aveva avuto a disposizione Di María. Il tutto tenendo sempre ben a mente il dogma dell’ampia libertà d’azione nel cercare di volta in volta la zona di campo ideale per ogni singola fase della partita.
Un principio che Vitória tiene bene a mente in occasione del primo impegno stagionale, la Supercoppa portoghese contro il Braga. Cervi è da poco più di un mese nella sua nuova squadra, eppure ci mette appena 11 minuti a trovare la via del gol in un primo tempo in cui è semplicemente devastante: parte a sinistra nel 4-2-3-1, nel tridente con Pizzi e Jonas alle spalle di Mitroglou, e poi spazia a piacimento nell’ultimo terzo di campo. Quelli del Braga non sanno letteralmente da che parte voltarsi. Cervi è ovunque e gioca ad un ritmo insostenibile per gli altri (verrà votato come il migliore in campo a fine partita), come se non avesse minimamente avvertito il salto in Europa.
La prova di Cervi in Supercoppa portoghese
Una sensazione avvertita anche nel debutto stagionale in Champions League al Da Luz contro il Besiktas. Anche in questa occasione l’argentino trova la via della rete, ma, paradossalmente, è il dettaglio che colpisce meno. Ad impressionare, infatti, è la sua capacità di risultare efficace in qualsiasi zona del campo anche nel più competitivo e difficile palcoscenico europeo. Questa volta viene schierato alle spalle dell’unica punta Guedes, con Pizzi e Toto Salvio ai lati, dimostrando che pur cambiando l’ordine dei fattori il risultato è lo stesso: Cervi è nettamente il migliore dei suoi, dimostrando anche una notevole attitudine in fase di non possesso (2 intercetti nei 67 minuti in cui è rimasto in campo) oltre alla consueta ubiquità in fase di transizione.
In queste due partite il giovane argentino ha fatto capire perché il Benifica ha deciso di puntare su di lui fin da subito. Non si tratta del classico giocatore sudamericano, che abbaglia per il talento salvo poi perdersi nei tatticismi dei vari campionati in giro per il vecchio continente: Cervi è un elemento non solo dalla cifra tecnica superiore, ma con una curva d’apprendimento delle varie situazioni di gioco molto più ampia rispetto al normale. Un dato che si evince dalla sua duttilità e dalla sua capacità di incidere pressoché in ogni zona del campo.
Non bisogna, però, pensare di essere al cospetto di un giocatore fatto e finito e che possa fare la differenza fin da subito. Ci sono, infatti, alcuni lati oscuri che ne stanno limitando il percorso di crescita a grandi livelli. Uno di questi è la discontinuità che, per certi versi, è una diretta conseguenza del suo essere momentaneamente incollocabile in una zona precisa di campo. Delle 12 partite di Superliga fin qui disputate, Cervi ne ha giocate nove (per un totale di 567 minuti e restando fuori in tre occasioni consecutive tra fine agosto e metà settembre), di cui sette da titolare, con luci e ombre equamente distribuite: non ha praticamente quasi mai tirato in porta (10 conclusioni complessive, di cui sei fuori dallo specchio della porta), ha all’attivo appena due assist (e 10 key passes) ed ha avuto un approccio alle gare molto più “orizzontale” del solito (85% di pass accuracy, ma con il 54% di tocchi all’indietro. Un dato che cozza pesantemente con il 66,7% di passaggi in verticale operati contro il Besiktas). Il tutto a causa della difficoltà di individuare fin da subito la sua posizione sul terreno di gioco, trascorrendo la maggior parte del tempo in una sorta di “limbo” indefinito in cui ha vagato senza costrutto e ottenendo come unico risultato quello di pestarsi i piedi con i compagni di reparto.
In questo sta la principale differenza con il già menzionato Di María. Il quale, già da giovanissimo, aveva sviluppato un Q.I. calcistico tale da fargli intuire immediatamente quale fosse il ruolo da ricoprire in quella partita contro quell’avversario. La duttilità tattica che gli ha poi permesso di diventare uno dei centrocampisti più forti e completi in circolazione è stata solo la naturale conseguenza di un percorso di crescita graduale che da esterno sinistro offensivo lo ha portato a diventare, all’occorrenza, anche mezzala o trequartista. Nel caso di Cervi, invece, il fatto che già ora sia potenzialmente in grado di ricoprire tutti i ruoli dal centrocampo in su lo rende prezioso contro avversari che giocano un calcio molto più scolastico e immediatamente leggibile in entrambe le fasi, dannoso contro squadre tatticamente più evolute e che giocano sui punti deboli altrui per limitarne i punti di forza. Da jolly offensivo a oggetto misterioso il passo è molto più breve di quel che si può immaginare, e l’impressione è che Rui Vitória lo stia centellinando proprio per consentirgli di trovare la dimensione ideale nella quale esprimersi.
Le cose migliori fatte vedere nel Benfica, finora
Nei 30 minuti avuti a disposizione contro il Chaves il 24 settembre scorso, Cervi ha sostituito Salvio come terzo di destra nel 4-1-3-2, sfruttando la sua grande capacità di rientrare sul piede forte per creare la superiorità numerica nell’ultimo terzo di campo, tanto con il dribbling quanto giocando in coppia con il terzino di riferimento (Nelsinho) che andava in sovrapposizione. Di fatto, Cervi è riuscito ad essere molto più pericoloso in questa mezz’ora che nelle due precedenti occasioni in cui era partito titolare in campionato. Non è un caso, poi, che questa partita abbia segnato il suo ritorno in pianta stabile tra i titolari. Da allora, la crescita nella continuità della prestazione è stata evidente: il quadruplo di key passes con appena tre partite iniziate da titolare nelle ultime sette, avversario diretto saltato nel 50% dei casi, crescente predisposizione alla fase difensiva (sette intercetti e altrettante chiusure decisive, per un totale di due azioni di media), giocate essenziali al servizio dell’economia di squadra.
Giorno dopo giorno, gara dopo gara, Cervi sta entrando sempre più nei meccanismi e nella visione di calcio di Rui Vitória, alternando ai normali alti e bassi dell’esordiente che muove i primi passi nel calcio europeo, dei picchi di eccellenza assoluti. Come, ad esempio, la partita di Champions League in casa della Dinamo Kiev. Ancora una volta il gol è il dettaglio che colpisce meno: rispetto agli inizi, siamo in presenza di un giocatore molto più dentro i flussi della partita. Senza contare che proprio la massima competizione continentale sembra metterlo particolarmente a proprio agio, con numeri e statistiche che, in proporzione, risultano migliori rispetto al campionato: quattro gare su cinque disputate (tutte da titolare), almeno un passaggio chiave a partita, 67% di shot accuracy, addirittura oltre il 70% nell’uno contro uno.
Qualità, quantità e continuità al servizio della fluidità della fase offensiva benfiquista che sta traendo indubbi vantaggi dalla crescita del suo giovane: dal 24 settembre a oggi, in 10 gare tra campionato e Champions, i portoghesi hanno realizzato 22 reti, ottenendo sette vittorie, 2 pareggi e altrettante sconfitte. Al momento, quindi, il 22enne argentino si sta dimostrando in grado di fare la differenza partendo dalla fascia per poi convergere verso l’interno, tagliando il campo in diagonale. Che, poi, sarebbe ciò che le sue caratteristiche gli consentirebbero di fare sempre e comunque: fisico elastico che gli dà la giusta velocità nel breve nonostante l’altezza, ottima accelerazione palla al piede, grande capacità di saltare l’avversario tanto frontalmente quanto da posizione laterale (è devastante quando da destra rientra sul piede mancino), buona visione di gioco, discreta capacità di lettura delle tempistiche dell’ultimo passaggio.
Da questo punto di vista, Cervi non avrebbe potuto trovare contesto migliore di quello del calcio portoghese per crescere e affinare ulteriormente le sue capacità. Ha tutte le carte in regola per diventare un formidabile giocatore di lettura e di intuizione dei flussi di gioco all’interno della partita, ma non è ancora fatto e finito per quel ruolo di “tuttocampista” offensivo. Lui stesso si è reso conto di essere appena all’inizio della scoperta della sua nuova dimensione di gioco, come ha confermato al quotidiano O Jogo: «Il Benfica è un grande club, con uno stile di gioco che si adatta molto al mio. Per questo l’adattamento mi sta costando molta meno fatica del previsto. Ho però ancora molto da imparare e da scoprire, mi sono reso conto di poter giocare in modi cui non avevo mai pensato prima. Ho parlato anche con il mio idolo Di María che mi ha dato qualche consiglio prezioso. Ma non è il caso di fare paragoni con lui o Gaitán: spero di fare quel che hanno fatto loro, ma voglio farlo da Franco Cervi, scrivendo da solo la mia storia».