A febbraio Radamel Falcao ha toccato il limite dei trent’anni: un’età che viene considerata generalmente l’apice della carriera di un calciatore, il punto esatto in cui maturità e principio della decadenza s’intersecano. È curioso pensare a quanto si faccia rarefatto il tempo quando si parla del calcio d’oggi; le stagioni passano con un ritmo insolito, rapido e stretchato. Nella storia recente abbiamo conosciuto un Falcao perfetto, famelico, elettrico nel suo muoversi all’interno dell’area di rigore riverberando la propria presenza in ogni singola zolla; poi all’improvviso la versione più pura del 9 di Santa Marta si è dissolta, evaporata nel grigio dei cieli inglesi. Nelle ultime settimane lo spettro di Falcao ha ripreso ad aleggiare nei pressi delle porte avversarie con la consueta, precisa, arroganza.
Pochi giorni fa Giovanni Simeone ha dichiarato di ispirarsi a lui spinto dalle indicazioni del padre che lo ha allenato all’Atlético: «Mi dice di guardare ai suoi movimenti. Alla sua determinazione». Anche il tecnico del Genoa, Juric, ne ha sottolineato la similarità nell’approccio e la rabbia con cui affrontano le gare. L’altro a cui papà Simeone ha consigliato al figlio d’ispirarsi è Batistuta. Un po’ ha dell’incredibile che alla soglia dei trenta Falcao sia già diventato un metro di paragone, un’icona a cui guardare come fonte d’immedesimazione, nonostante la carta d’identità gli consenta in realtà di ragionare su qualche annata ancora proficua in campo. Cosa rende un giocatore che detiene ancora dei record – è il miglior marcatore di sempre con la maglia del Porto in Europa, unico calciatore ad aver vinto l’Europa League per due stagioni consecutive con due maglie diverse e, in coabitazione con Arnoldo Iguaran, il miglior realizzatore nella storia della Nazionale colombiana – un semplice simulacro di un tempo passato?
La finale di Bucarest, Falcao segna una doppietta in 34 minuti (record nelle finali di Coppa Uefa/Europa League)
Tra il 2010 e il 2012 Radamel Falcao è chiaramente e senza troppi dubbi il numero nove più incredibile che si possa ammirare su un campo di calcio. È la sublimazione del concetto di attaccante d’area: rapidità d’esecuzione, senso della posizione, velocità di pensiero, capacità di attirare sul proprio corpo il pallone come fosse un magnete. È uno dei giocatori più decisivi del pianeta, lo confermeranno anche le 70 realizzazioni messe insieme nei due anni madrilèni. Nella finale di Bucarest in maglia Atlético manda letteralmente ai matti Amorebieta, che pare da quel giorno si aggiri nei rettangoli di gioco gridando il nome di Falcao a ogni intervento mancato. Vince due Europa League da capocannoniere, segna rispettivamente 15 e 12 gol nelle due edizioni ed è il calciatore più giovane a mettere insieme 4 reti in una gara europea: ci riesce contro il Villarreal nella semifinale di andata della sua prima Europa League da vincente. A dicembre del 2012 Falcao è un indemoniato che non si sfama con nulla. In un match di Liga contro il Deportivo registra il record di cinque gol in una sola gara: c’era riuscito soltanto Vavá in un calcio ancora in bianco e nero.
Nell’ultima settimana un buco nello spazio-tempo sembra aver riportato sulla terra qualcosa di estremamente vicino al Falcao del doblete europeo 2011-2012. Contro il Bordeaux è tornato a segnare una tripletta in una gara ufficiale, l’ultima volta era stata nel 2012, l’ultimo anno in cui abbiamo visto il Falcao rilucente di un tempo. Il colombiano è finalmente tornato a mostrarsi in purezza, svestito delle scorie degli infortuni che ne avevano rallentato la carriera diventando veri casi studio tra i medici più esperti. Dall’infortunio al crociato subito con il Monaco nel 2013 avevamo dovuto imparare a convivere con una versione spaurita e timida del colombiano. Due anni di dolori e privazioni (dopo l’infortunio in maglia Monaco Falcao è stato costretto a saltare il Mondiale in Brasile) sono finalmente arrivati al capolinea?
Tre reti semplici, meno belle di alcune messe insieme in passato, ma necessarie e vitali.
Con le tre reti di sabato lo score di Falcao nella stagione 2016 recita 14 reti e 3 assist in 16 partite, 10 con 2 assist nelle ultime 8. In molti si sono affrettati a celebrarne il ritorno: tra questi anche David De Gea, suo compagno di squadra nella poco fortunata parentesi al Manchester United. Ma se il Monaco di Leonardo Jardim è attualmente a un solo punto dal Nizza capolista il merito passa, non solo da Falcao, ma da una cooperativa del gol in cui a segno sono andati in 13, per un totale di 49 reti in 16 partite; 19 in più della prima in classifica e del Psg terzo. In Europa il Real Madrid è fermo a 37, il Barcellona a 34, il Bayern Monaco a 29 mentre il Liverpool, primo per gol fatti in Premier ne ha messi insieme 35. Per trovare un squadra che ha segnato più dell’attuale Monaco nel campionato francese bisogna tornare indietro al 1969, con i 50 gol del Saint-Étienne.
Veder giocare gli uomini di Jardim è uno spettacolo, un’esibizione circense da cui El Tigre sta traendo una nuova energia. Dopo il cambio di politica societaria deciso da Rybolovlev il club monegasco ha smesso di comprare giocatori a prezzi folli, puntando alla valorizzazione in casa dei talenti da rivendere successivamente (Martial, Carrasco e Kurzawa, tra gli altri). In questo processo di rinascita è pacifico che Falcao, pur in una copia depotenziata e ridotta in atletismo, si ponga come centro di un progetto che punta alla crescita graduale dei più giovani. Quanto possono imparare da un attaccante del genere ragazzi come Mbappè, Carrillo e Corentin Jean? La risposta è “una quantità infinita di cose”. In questo processo Falcao ha dovuto accettare un minutaggio parzialmente ridotto: ad oggi ha disputato 583 minuti, 857 in meno di Subasic e Glick. Ma anche questo dato serve a mostrare quanto stia incidendo El Tigre con la sua media di un gol ogni 58,3 minuti. Alla faccia di chi, come Leonid Slutsky del Cska, sosteneva che la sua influenza nei risultati del Monaco fosse oramai ridotta.
Radamel Falcao festeggia dopo un gol segnato al Cska Mosca in un match di Champions League (Anne-Christine Poujoulat/Afp/Getty Images)
Manca ancora qualcosa però per poter considerare completa la ricostruzione di Falcao: certo ci sono i gol, c’è la ritrovata fiducia ma qualcosa è ancora perfettibile. Ne ha parlato recentemente Ted Knutson, sottolineando come sia stata forse esagerata la portata del regreso. La tigre è risorta ma siamo ancora distanti dal Falcao di un tempo. Anche a guardarlo muoversi in campo appare chiaro che l’esplosività di un tempo è andata perduta, gli infortuni ripetuti degli scorsi anni ne hanno ridotto la mobilità e forse dobbiamo cominciare a far pace con l’idea che non rivedremo mai più quel tornado di movimenti che è stato il Falcao con indosso le maglie di Porto e Atlético Madrid. Difficilmente potremo trovare un ennesimo Amorebieta ammattire cercando di gestire le sue finte e i movimenti felini. Pur non essendo mai stato un dribblatore puro, il colombiano riusciva a gestire il proprio corpo disorientando il diretto marcatore, quasi pattinando sull’erba. Oggi dobbiamo considerare il fatto che analizzeremo un’esemplare più umano, ma non necessariamente meno cinico: mentre scrivo la sua precisione al tiro è al 78%, media che lo colloca tra i primi 10 attaccanti dei principali campionati con almeno 7 partite disputate. Mentre i tiri a partita sono ancora leggermente bassi (2,1) rispetto ai primi venti della classifica.
Intanto possiamo consolarci con l’idea che non vedremo più la riproduzione opaca dei tempi inglesi. Niente più lisci insensati, immagini da Mr. Magoo che non capisce di essere stato sostituito, o crolli improvvisi mentre la squadra sta ripartendo in transizione. Recentemente Falcao ha dichiarato, non senza una patina di rabbia, che a Madrid nessuno gli ha mai proposto di continuare dopo le due ottime e vincenti stagioni di qualche anno fa, mentre «Monaco mi ha aperto nuovamente le porte e sono molto felice. Tutti mi hanno appoggiato, ho ripreso a sentirmi importante per la squadra. A Madrid l’impressione era che dovessero vendere le figure più importanti». Ora che Falcao si è finalmente ristabilito, e ha ricostruito la sua figura di cecchino d’area, sorride, con le labbra che si allargano appena sotto gli occhi ingialliti. L’oblio può aspettare ancora.