La Juve ha un problema a centrocampo?

Cosa non funziona nel reparto che è cambiato di più negli ultimi anni: tra ricambio di uomini e interpretazione dei ruoli, manca ancora un assetto definito.

Il post partita di Fiorentina-Juventus potrebbe essere stato più chiarificatore della gara stessa sulle difficoltà dei bianconeri in trasferta in questa stagione. Le parole a Sky di Giorgio Chiellini hanno svelato come, anche all’interno dello spogliatoio, ci si stia ancora interrogando sulla reale dimensione del centrocampo, ovvero il reparto finito maggiormente sotto accusa ad ogni passo falso dei campioni d’Italia. Nello specifico, due sono stati i punti, strettamente collegati, toccati dall’analisi di Chiellini: la mancanza della dimensione fisica garantita, fino all’anno scorso, da Paul Pogba (che il difensore ha paragonato, non a caso, a LeBron James e Usain Bolt) e l’incapacità di essere riusciti a trovare un modo alternativo per esercitare il dominio sui flussi di gioco. Di fatto è come se la Juventus, almeno nella versione “da trasferta” (ovvero quella improntata a un 3-5-2 di contenimento, con i due esterni abbastanza bloccati, anche se si chiamano Cuadrado e Alex Sandro), provasse a giocare come se avesse ancora a disposizione il francese, nell’attesa di un nuovo equilibrio che, con il passare dei mesi, diventa sempre più difficile da raggiungere.

Le difficoltà della mediana sono davvero così condizionanti? Consideriamo come è cambiato il reparto dalla finale di Champions di Berlino a oggi: da un regista puro in grado di dettare tempi e ritmi della manovra, alternando la giocata estemporanea a quelle preparate alla lavagna (Pirlo), si è passati a un elemento in grado di interpretare il ruolo in maniera lineare, pulita e precisa, ma che si è trovato in difficoltà quando ha provato a derogare dal piano tattico prestabilito (Marchisio); le due mezzali che riuscivano a coniugare al meglio quantità e qualità (Pogba e Vidal) sono state rimpiazzate da un giocatore non particolarmente dinamico ma molto intelligente nella lettura preventiva delle linee di passaggio e degli spazi da sfruttare per gli inserimenti (Khedira) e da un altro che fosse in grado di “galleggiare” tra le linee, alternandosi con Bonucci in fase di prima costruzione (Pjanic). In particolare, l’arrivo del bosniaco sembrava il preludio ad un’inversione di tendenza rispetto al recente passato, con una Juve improntata a fare la partita attraverso il ritmo e il possesso palla, sfruttando anche le qualità di Dybala in fase di raccordo tra centrocampo e attacco con il classico movimento a venire incontro.

Come in questo caso

Gli infortuni in serie (Dybala e Bonucci su tutti), il lento recupero di Marchisio a livelli di forma accettabili («Ci vorrà un anno per rivedere il Marchisio pre infortunio», ha detto Allegri), squalifiche e una certa refrattarietà dei giocatori ad abbandonare, anche solo parzialmente, il 3-5-2 dei cinque scudetti consecutivi, ha impedito al tecnico di attuare compiutamente il progetto tattico che aveva in mente, con il ritorno al 4-3-1-2 che si è concretizzato soltanto nell’ultimo mese e mezzo (coincidendo, tra l’altro, con le migliori esibizioni stagionali dei bianconeri). La continua ricerca di un equilibrio tra le proprie convinzioni e quelle dei senatori ha partorito un “ibrido” di difficile interpretazione: in Serie A, la Juventus è quinta nella classifica del possesso palla con il 53% (considerando le capoliste dei cinque principali campionati, solo il Chelsea di Conte ha fatto peggio da questo punto di vista: sesto in Premier League), settima in quella delle occasioni create (219: guida l’Inter a quota 275) e terza per numero di contrasti andati a buon fine.

L’ulteriore dimostrazione, poi, di come i bianconeri stiano ancora cercando di arrivare al successo attraverso la superiore fisicità piuttosto che mediante la complessiva cifra tecnica, è arrivata dalla recente titolarità di Sturaro (preferito a Pjanic in quel di Firenze) e dall’acquisto di Rincón come primo cambio tanto di Marchisio quanto di una delle due mezzali, con conseguente ennesima epurazione di Hernanes (che pure ha disputato discrete partite da regista) finito di nuovo ai margini delle rotazioni. È rimasto perciò insoluto il dilemma legato all’uomo di qualità in mezzo al campo, chiamato a dare concretezza a un possesso altrimenti sterile (sia a Firenze che a Genova, due sconfitte molto simili, la Juventus ha tenuto il pallone tra i piedi di più rispetto agli avversari) e che sappia cosa fare nelle situazioni di palla in uscita dopo il recupero della stessa: ad oggi si tratta di un profilo che Marotta e Paratici non sono ancora riusciti ad individuare.

FC Torino v Juventus FC - Serie A

Tuttavia, negli ultimi tempi, Allegri era riuscito ad ovviare parzialmente al problema con il ritorno al rombo a partire dalla gara interna di campionato contro l’Atalanta. Fin da subito è apparso chiaro come il ruolo chiave fosse quello di Pjanic, finalmente sgravato dal dover coprire solo una delimitata zona di campo (l’esperimento da play basso davanti alla difesa è stato accantonato subito dopo il ko contro l’Inter) e libero di cercarsi la migliore posizione possibile in relazione ai vari momenti della partita: un po’ regista, un po’ mezzala, un po’ trequartista, con il livello delle prestazioni cresciuto esponenzialmente (solo in campionato cinque gol, altrettanti assist e 31 key passes: molto più di Pogba nello stesso periodo della passata stagione) e con le leggende metropolitane sulla sua scarsa dinamicità smentite dai fatti: al momento, con quasi 11 km percorsi in media a partita, il bosniaco è il centrocampista della Juventus che corre di più, oltre ad essere quelle che copre le porzioni di campo più ampie. La rete dell’1-0 al Bologna è paradigmatica della sua rinnovata centralità: muovendosi tra le linee di centrocampo e difesa dei felsinei, Pjanic offre la possibilità di un immediato scarico a Marchisio. Il resto lo fanno la grande capacità tecnica e la sensibilità di tocco del numero 5 e il taglio di Higuaín che prende il tempo al centrale di riferimento.

 

Alla luce di tutto ciò, l’esclusione di Pjanic dalla gara del Franchi non sembra spiegabile, nemmeno dando per buona la versione ufficiale del piccolo risentimento muscolare susseguente all’impegno di Coppa Italia. Tanto più se la contemporanea squalifica di Lichtsteiner e il ritorno a pieno regime di Bonucci avevano spinto Allegri a ritornare a un 3-5-2 compassato in cui il centrocampo, oltre a essere sovrastato atleticamente da quello della Fiorentina, in mancanza di un uomo in grado di dare continuità alla costruzione dal basso, veniva sistematicamente spinto all’errore, con un Dybala non lucidissimo costretto a venire a prendere palla fin sulla propria trequarti vista la fatica tremenda nel trovare un uomo che giocasse tra le linee e con gli interni che non si facevano mai trovare alle spalle dei dirimpettai fiorentini: tra Marchisio e Sturaro, infatti, i palloni toccati sono stati 53 nei 77 minuti in cui il numero 8 è rimasto in campo. In mancanza di una buona fase di palleggio, la Juventus non solo ha perso in pericolosità offensiva, ma si è vista anche privata di una potenziale arma per eludere il furioso pressing avversario della prima mezz’ora. Esattamente come era accaduto nella Genova rossoblù.

Non è, però, solo una mera questione di qualità nello sviluppo e nella costruzione dell’azione. Il problema maggiore è l’atteggiamento con cui la Juve affronta i minuti iniziali delle trasferte storicamente più difficili (coincise, non a caso, con le quattro sconfitte stagionali): l’idea di base sarebbe quella di contenere la prevedibile sfuriata iniziale per poi colpire alla distanza, sfruttando un altrettanto prevedibile calo atletico. La falla sta nella scelta di una difesa posizionale bassa unita ad un centrocampo che tende a spostarsi in avanti e che risulta inadatto a coprire gli spazi alle proprie spalle, vanificando, di fatto, ogni tentativo di pressing alto: saltare quell’unica linea di pressione, infatti, significa per gli avversari poter puntare la porta a piacimento.

I grafici posizionali di Genoa-Juventus (a sinistra) e Fiorentina-Juventus (a destra): in entrambi i casi è possibile notare la scarsa compattezza tra i reparti e il buco alle spalle dei centrocampisti in cui le mezzali avversarie hanno potuto agire a piacimento. In particolare, nella gara del Franchi, Cuadrado è stato spesso troppo vicino a Barzagli e troppo lontano da Marchisio, lasciando uno spazio che Badelj ha sfruttato fornendo l’assist per il 2-0 di Chiesa.
Il grafico posizionale di Fiorentina-Juventus: è possibile notare la scarsa compattezza tra i reparti e il buco alle spalle dei centrocampisti in cui le mezzali avversarie hanno potuto agire a piacimento. In particolare, Cuadrado è stato spesso troppo vicino a Barzagli e troppo lontano da Marchisio, lasciando uno spazio che Badelj ha sfruttato fornendo l’assist per il 2-0 di Chiesa

Il non riuscire, poi, ad accorciare con i difensori nei tempi giusti rende praticamente impossibile per la Juventus riuscire a difendere in maniera organica e di squadra. Altro dettaglio evidenziato da Chiellini, che ha parlato di una squadra che «subisce troppe situazioni e troppi gol rispetto all’anno scorso quando, in alcune partite, Buffon non si doveva sporcare nemmeno i guanti». I 20 gol subiti nelle 26 partite stagionali sono solo la naturale conseguenza, per dirla ancora con le parole del difensore toscano, di «equilibri, spazi e metrature» da mettere ancora a punto.

C’è da considerare, inoltre, che i bianconeri soffrono terribilmente quando vengono aggrediti alti, fin dal giro palla che parte dai difensori: il pressing selettivo degli avversari mira a sporcare il maggior numero di linee di passaggio disponibili per Bonucci, lasciando il solo Chiellini libero di impostare. La presenza di Pjanic permette di eludere parzialmente il problema, con la trasmissione del pallone che riesce a trovare sbocchi anche per vie centrali; diversamente, un centrocampo muscolare costringe alla ricerca sistematica dell’uno contro uno sugli esterni, con il gioco che, alla lunga, diventa fin troppo perimetrale e prevedibile. Tutto questo, unita ad una condizione fisica non ancora ottimale (la Juventus è quinta per chilometri percorsi in campionato) rende i campioni d’Italia molto più vulnerabili rispetto al recente passato. E mentre in Italia spesso il colpo del singolo basta e avanza per portare a casa la partita, in Europa, dove la corsa, il pressing selettivo, la chiusura preventiva degli spazi e lo sfruttamento degli inserimenti dal lato debole sono la normalità, le difficoltà potrebbero emergere fin dalla trasferta di Porto. Tanto più per una squadra che, in fase di non possesso, presenta la pericolosa tendenza ad abbassare troppo il baricentro finendo con il farsi schiacciare negli ultimi 30 metri.

La heatmap di difensori e centrocampisti della Juventus nella gara contro la Fiorentina: evidente la tendenza a farsi schiacciare nella propria metà campo difensiva
La heatmap di difensori e centrocampisti della Juventus nella gara contro la Fiorentina: evidente la tendenza a farsi schiacciare nella propria metà campo difensiva

Una soluzione potrebbe essere costituita dall’acquisto di un secondo giocatore in grado di agire tra le linee: che sia un regista puro (Biglia) o una mezzala che possa alzare e abbassare il proprio raggio d’azione relativamente alle varie fasi della gara (un simil Banega), cambia poco. La sostanza è aggiungere qualità di palleggio in una squadra che deve ancora imparare a imporsi con il pallone tra i piedi, soprattutto contro reparti molto organizzati in fase di costruzione dell’azione e in quella di rottura della manovra altrui. Tanto più se lenta, compassata e prevedibile come quella della Juventus sconfitta in quattro trasferte su nove. Tuttavia, la circostanza che le sconfitte stagionali dei bianconeri si somiglino tutte tra di loro (Milan e Inter per la ricerca scientifica del gioco sotto ritmo in attesa del colpo risolutivo del singolo, Fiorentina e Genoa per il subire senza reagire l’iniziativa avversaria), rivela come, in realtà, il rendimento del centrocampo non sia la malattia vera e propria quanto, piuttosto, il sintomo di qualcosa di più profondo e radicato. L’impressione è quella di una squadra composta da anime diverse e, al momento, inconciliabili e che rischia di naufragare sotto il peso delle proprie fragilità: riconosciute (anche dai diretti interessati), riconoscibili ma non per questo di facile e immediata soluzione, soprattutto se l’evidente frattura tecnica tra l’allenatore e parte del gruppo storico non verrà sanata cercando un compromesso tra vecchio e nuovo.