La trasformazione di Christian Eriksen

Come il centrocampista danese è diventato il giocatore più importante del Tottenham, cambiando il modo di stare in campo.

C’è stato un momento, nella carriera di Christian Eriksen, dove sembrava che le cose potessero andare storte. È capitato lo scorso mese di agosto, alla seconda giornata di campionato. Il Tottenham ospitava il Crystal Palace e lui festeggiava la 100° presenza in Premier League con la maglia degli Spurs. Un giorno importante, da celebrare magari con un gol o una bella prestazione. E invece no: la sua partita è durata soltanto 68 minuti, quando è stato sostituito da Delle Alli, dopo l’ennesima sfuriata da parte di un insoddisfatto Pochettino. In quelle settimane Eriksen stava discutendo il rinnovo di un contratto, in scadenza nel 2018, che non arrivava e la sua attenzione era rivolta lontano dalle faccende di campo.

A sbrogliare la faccenda è intervenuto proprio il suo manager, che si è prodigato affinché le due parti trovassero un accordo: un giocatore così era diventato ormai imprescindibile per la squadra, a tal punto da giustificare un ulteriore sforzo economico. Eriksen ha prolungato il contratto fino al 2020 e il suo ingaggio è salito dalle 35mila alle 70mila sterline settimanali, più o meno quanto percepito da Harry Kane, Erik Lamela e Hugo Lloris. Dietro la scelta di accontentare le sue richieste, si nasconde una sorta di investitura per quanto mostrato nella passata stagione, la più positiva del Tottenham negli ultimi dieci anni. Eriksen non si è preso tutti i meriti che gli spettavano, oscurato dai 25 gol di Kane e dal super finale di campionato di Alli, ma è sembrato per larghi tratti il giocatore chiave di quella rosa. Una sensazione che adesso è diventata realtà, suffragata dalle prestazioni in continuo crescendo del ’92 danese che, dietro al #23 sulle spalle, nasconde in realtà l’estro e la fantasia del classico #10. È il numero che nell’immaginario collettivo appartiene solitamente al trequartista o in senso più generale al fantasista di una squadra. Entrambe caratteristiche che, applicate a Eriksen, si sublimano; lo ha dimostrato lui stesso, per esempio, nella vittoria per 2-0 contro il Chelsea dello scorso 4 gennaio.

Il Tottenham ferma la corsa del Chelsea di Conte

Quella partita è stata il manifesto della sua essenzialità nello scacchiere del Tottenham, nonché una specie di rivalsa contro le critiche di chi lo accusava di discontinuità e scarsa incisività nei big match. È stato schierato insieme ad Alli alle spalle di Kane, in un 3-4-2-1 sapientemente disegnato da Pochettino per disporsi quasi a specchio contro il 3-4-3 di Conte ed innescare una serie di duelli individuali per bloccare le incursioni centrali del tridente Pedro – Costa – Hazard. Il ruolo di Eriksen è stato a metà tra il trequartista e la mezzala destra, espediente che gli ha consentito di non dare punti di riferimento ai Blues e di scalare con Alli sulla linea dei 4 giocatori davanti alla difesa in fase di non possesso.

La heatmap di Eriksen durante la partita contro il Chelsea: ha giocato prevalentemente sulla destra, da mezzala, svariando comunque spesso e volentieri in tutta la metà campo avversaria
La heatmap di Eriksen durante la partita contro il Chelsea: ha giocato prevalentemente sulla destra, da mezzala, svariando comunque spesso e volentieri in tutta la metà campo avversaria

La doppietta di Alli è nata grazie agli intelligenti movimenti senza palla di Eriksen, che per tutta la durata delle azioni ha goduto della più ampia libertà, tattica e non: l’ibridazione dei due ruoli gli ha permesso di mandare in crisi il sistema di marcature del Chelsea, approfittando del momento migliore per innescare il compagno. È significativo, a riguardo, la finta che precede il cross in occasione del secondo gol, necessaria per consentire ad Alli di appostarsi sul secondo palo e rubare il tempo alla coppia Azpilicueta – Moses. Un’autentica lezione di regia calcistica, agevolata dalla posizione in campo che gli ha affidato Pochettino. Come descritto da Raj Bains su Four Four Two «è stato lui a concedersi il lusso di farlo giocare in un ruolo più libero rispetto a prima». Eriksen è stato così messo nelle condizioni di abbassarsi sulla linea dei mediani per ricevere il pallone, far partire la transizione degli Spurs e svariare sul fronte offensivo a ridosso dell’area di rigore, ampliare la manovra oppure attaccare la profondità.

I movimenti con e senza palla di Eriksen contro il Middlesbrough: trequartista e mezzala, la sostanza non cambia

Questa trasformazione gli ha permesso di svestire i panni del trequartista vecchio stampo e di sostituirli con quelli del regista moderno a tutto campo, slegato da ogni forma di rigidità tattica in favore di un’anarchia creativa che ha fatto bene sia a lui che alla squadra. Se, infatti, Dembélé e Dier sono soprattutto portati a spezzare il gioco avversario, a Eriksen è affidato il compito di crearlo. Una sorta di privilegio, o forse sarebbe meglio parlare di compromesso, che ha richiesto un po’ di tempo e persino qualche esclusione dall’XI titolare, guadagnato solo dopo aver assimilato appieno la filosofia del manager argentino: pressare alto e aggredire subito l’avversario per riconquistare il possesso. In una parola: gegenpressing. Uno stile di gioco che necessita di sacrificio e abnegazione, in apparente contrasto con le caratteristiche di un giocatore poco incline ad essere circoscritto entro limiti precisi.

La miglior descrizione di cosa rappresenta tatticamente Eriksen per gli Spurs è stata scritta da Jonathan Liew sul Telegraph, che ha definito il danese un «classico playmaker dai contorni frastagliati: quando il Tottenham è in possesso si muove da tipico #10, in fase difensiva insegue e infastidisce gli avversari con un’energia superiore di chiunque altro». Eriksen è diventato il metronomo che detta i tempi e fluidifica la manovra. La lettura delle situazioni di gioco e una tecnica di base sopraffina lo rendono il principale palleggiatore della squadra, con una precisione dei passaggi vicina all’80%. Ma Eriksen è soprattutto il giocatore del Tottenham che tira di più (3.9 a partita) e quello che crea le maggiori occasioni da gol (nel 2016-17 siamo a 62, dati Squawka). In pratica, è una macchina che segna e fa segnare. Nelle ultime 11 apparizioni tra campionato, Champions League e FA Cup ha realizzato 5 gol e fornito 8 assist, avvalorando la classifica che già nel 2016 lo inseriva nella Top10 dei calciatori di Premier League con le migliori statistiche offensive.

WATFORD, ENGLAND - JANUARY 01: Christian Eriksen of Tottenham Hotspur is photographed as he arrives prior to the Premier League match between Watford and Tottenham Hotspur at Vicarage Road on January 1, 2017 in Watford, England. (Photo by Richard Heathcote/Getty Images)

L’abilità di coprire bene il campo durante la transizione offensiva non è una novità. Se, infatti, nel ritorno di White Hart Lane contro il Chelsea ha servito gli assist per Alli, nella gara di andata a Stamford Bridge i ruoli si erano invertiti. In occasione del provvisorio gol del vantaggio (i Blues vinceranno poi in rimonta per 2-1), Eriksen ha seguito l’azione ponendosi tra le linee e privo di alcuna marcatura. Partendo da trequartista alle spalle di Kane, in una frazione di secondo ha controllato la palla con il destro e calciato di sinistro. Una rapidità di esecuzione pazzesca, figlia dell’intelligenza di un calciatore in grado di leggere le situazioni di gioco con largo anticipo.

La mobilità con cui riesce ad alternare e gestire i ruoli di mezzala e trequartista nella stessa partita ha avuto una diretta conseguenza anche sull’atletismo e sulla presenza nella costruzione del gioco: Eriksen corre quasi 12 km a partita ed effettua una media di 53.89 passaggi (dati Premier League). Difende soprattutto meglio rispetto alla prima stagione in Inghilterra, con conseguente miglioramento dei tackle effettuati e riusciti (85% contro l’iniziale 79%). Non si tratta di un caso, bensì dell’applicazione delle esigenze di Pochettino: Eriksen, di fatto, è il primo giocatore offensivo a guidare il pressing, tenere alta la squadra e seguire i movimenti del possibile ricevitore di palla avversario, o eventualmente di chi ne è già in possesso. È un espediente costoso in termini di energie fisiche, ma che garantisce agli Spurs una continua pressione, e di conseguenza una maggiore pericolosità, davanti all’area di rigore avversaria.

Il significato di giocatore a tutto campo: questo ha rappresentato la partita di Eriksen contro il Middlesbrough, affrontata dal Tottenham con un insolito 4-1-4-1
Il significato di giocatore a tutto campo: questo ha rappresentato la partita di Eriksen contro il Middlesbrough, affrontata dal Tottenham con un insolito 4-1-4-1

Queste abilità hanno reso Eriksen lo smart player che, a soli 24 anni, ha già trasformato il Tottenham e soprattutto se stesso. Dopo aver giocato prevalentemente mezz’ala nel 4-3-3 di Villas Boas ed esterno sinistro nel 4-4-2 di Sherwood – facendo registrare buone statistiche (7 gol e 9 assist in 25 partite nel 2013/14) – Pochettino lo ha reinventato trequartista, avvicinandolo alla porta. Il primo anno sotto l’attuale manager ha visto Eriksen segnare parecchio, 10 reti, a discapito però del numero di assist, appena due. Superata la fase di ambientamento, il danese è esploso nella successiva stagione: da playmaker puro, anche a costo di ricoprire una posizione più arretrata, ha sfornato la bellezza di 15 assist. La capacità di mandare a rete i compagni così tante volte nasce dall’egregia sensibilità dei suoi piedi. Riesce a calciare sia di destro che di sinistro con la stessa semplicità; batte i corner, che diverse volte finiscono telecomandati sulla testa di qualche compagno, senza dimenticare la sensibilità nel calciare le punizioni.

Una, in particolare, racchiude al suo interno le doti sui calci piazzati: potenza e precisione. Era il gennaio del 2015 e il Tottenham giocava sul campo dello Sheffield United il ritorno della semifinale di League Cup. La palla era spostata sulla destra dell’area di rigore, a una distanza di circa 25 metri dalla porta. Era una posizione ideale più per un mancino naturale e non per un destro, con la possibilità di calciare sopra la barriera o sul palo del portiere. È proprio lì che Eriksen ha fissato lo sguardo e spedito la palla, facendole assumere una strana traiettoria a uscire che è terminata dritta all’incrocio dei pali.

Sono passati due anni da quella volta. Era la prima fase dell’Eriksen inglese, nella sua versione embrionale, le cui potenzialità erano probabilmente ancora poco conosciute. Quella di adesso, invece, rappresenta la più bella versione di Eriksen, con ancora ampi margini di crescita. Al giro di boa del campionato, i gol sono già 5 e gli assist 8. Il suo grado di maturità, di questo passo, potrebbe farlo sentire limitato in una realtà ambiziosa come quella del Tottenham ma forse ancora troppo acerba per puntare alla vittoria di un titolo nel breve termine. Fa strano che i top club europei si siano interessati soltanto timidamente a uno come Eriksen. Forse nessuno, prima di Pochettino, è mai riuscito a inquadrarlo in un contesto tattico preciso, oppure sarà semplicemente questione di tempo.