All’inizio dello scorso agosto è arrivato il premio per la vittoria del campionato ai giocatori del Leicester. Diciannove vetture BMW i8, color azzurro, del valore di quasi 120.000 euro l’una. Firmato: il proprietario del club Vichai Srivaddhanaprabha. «Fatemi parlare di calcio, non di macchine. Non è importante pensare alle macchine», diceva Ranieri. Quello che sembrava un semplice fastidio da scacciare via con un gesto distratto assume, mesi dopo, tutt’altra rilevanza. Claudio Ranieri non è più l’allenatore del Leicester: troppo pochi i 21 punti in 25 partite di Premier, una sola lunghezza di vantaggio sulla zona retrocessione, ultime cinque di campionato tutte perse, con nessun gol segnato. Ecco perché le macchine ingombravano, non solo i garage. Già durante il precampionato, Ranieri aveva colto segnali allarmanti: la squadra che era riuscita a vincere il campionato inglese appena pochi mesi prima, uno dei risultati più incredibili degli ultimi decenni calcistici, sembrava fin troppo rilassata, deconcentrata. Ai segnali sono seguiti i risultati negativi, e una frattura con lo spogliatoio – con i senatori, in particolare – sempre più critica.
Simon Kuper, su queste pagine, scriveva della trattativa estiva tra Jamie Vardy e l’Arsenal. Un lungo abboccamento che, però, non aveva fatto cambiare idea all’attaccante: quella della permanenza a Leicester. «Vardy stava scegliendo la via più facile: a Leicester non ha niente da dimostrare. I tifosi lo ameranno per sempre per la vittoria del campionato e per non aver cambiato squadra, anche se non dovesse segnare nemmeno un altro singolo gol». Ci siamo andati vicini: negli ultimi cinque mesi Vardy ha segnato appena quattro gol, che diventa uno – quello a Siviglia in Champions, l’ultima partita di Ranieri – se si esclude la serata di grazia, suggellata con una tripletta, contro il Manchester City dello scorso 10 dicembre. Un rendimento ampiamente al di sotto delle aspettative come lo è stato quello di altri giocatori rappresentativi, come Mahrez o Morgan.
Questa è la chiave: Ranieri è stato tradito dai suoi stessi giocatori. Nessuno si aspettava un’altra stagione sopra le righe da parte dei calciatori del Leicester, e nessuno la pretendeva: ma la squadra ha avuto un approccio sbagliato sin da subito, cullandosi con l’ubriacatura della vittoria del campionato e sottovalutando il fatto che persino l’obiettivo salvezza non sarebbe stato così scontato. I giocatori hanno sentito di avere un alibi infinito, incondizionato, anche solo coltivato a livello inconscio. Paradossalmente, infatti, le migliori risposte della squadra sul campo sono arrivate in Champions League: il Leicester ha vinto quattro delle sei partite del girone, per poi tenere aperta la qualificazione ai quarti con l’1-2 di Siviglia. Nella competizione più prestigiosa, e a cui quasi nessuno aveva partecipato in carriera, i giocatori hanno recuperato quella concentrazione e abnegazione che sono state le chiavi della tanto celebrata impresa della passata stagione – e, al di là della forza delle avversarie incontrate, certo è difficile credere che il Porto o il Copenaghen siano inferiori allo Swansea, contro cui è arrivata l’ultima sconfitta in campionato.
La decisione di esonerare Ranieri non è così inspiegabile: a fronte di una situazione che stava precipitando rapidamente, la società non aveva altre strade percorribili. Retrocedere è un dramma sportivo e un fallimento economico, e finirci con Ranieri ancora al comando certo non avrebbe ridotto le proporzioni della disfatta. Ma il tecnico viene allontanato per colpe non sue, e di questo la società è perfettamente consapevole: Ranieri paga le colpe dei giocatori. Paga la rilassatezza della squadra mostrata sin dalle amichevoli estive – su tutte lo 0-4 incassato negli States dal Psg, che ha fatto infuriare il tecnico – e paga il fatto che molte delle sue scelte non sono state digerite dal gruppo, che non lo ha seguito più. È venuto meno, soprattutto, lo spirito di squadra, vero valore aggiunto del Leicester 2015/16: il fatto che dallo spogliatoio si diffondessero all’esterno voci incontrollate sui problemi di squadra è stato probabilmente il caso più grave di spaccatura dell’ambiente. Sono cose che capitano più di frequente di quanto si creda: è successo anche a José Mourinho un anno fa, congedato pochi mesi dopo aver sollevato la Premier League con il Chelsea.
Resta da capire: perché esonerarlo ora? Soltanto 16 giorni fa, poco prima della sfida esterna contro lo Swansea, il club si era affrettato a dare completa fiducia a Claudio Ranieri. Quella trasferta, però, si è conclusa con una sconfitta per 2-0: a posteriori, viene da pensare che quel comunicato ufficiale aveva lo scopo, più che ribadire la conferma per il proprio tecnico, di scuotere la squadra. Conscia che la presa di Ranieri sullo spogliatoio era ormai diventata del tutto inefficace, la dirigenza del Leicester ha mandato un messaggio chiaro al gruppo: questo è il vostro allenatore, sta a voi rispondere sul campo. Ma la risposta non è mai arrivata. Nonostante il gol di Vardy a Siviglia a tenere aperto il discorso qualificazione in Champions, Ranieri camminava con un punto rosso acceso dietro la nuca: dead man walking, lo ha definito il Guardian. Nel post gara del Pizjuán Ranieri è arrivato in zona stampa con il volto tirato e, cercando di mascherare il nervosismo, ha provato a mostrare il suo lato bonario incentrando il discorso sul terreno della sofferenza, della lotta, dei giocatori che come guerrieri devono prepararsi a soffrire e a mostrare il loro «grande cuore». È stato come il discorso d’addio, il discorso definitivo che Ranieri avrebbe voluto fare ai suoi giocatori, se solo avesse ancora percepito la fiducia da parte loro.
Dopo un miracolo sportivo, in cui molto ha fatto l’intelligenza comunicativa di Ranieri, la storia si chiude con l’allontanamento di quello che probabilmente è l’ultimo dei responsabili. La decisione, riporta Sky Sports UK, è stata presa dopo l’ultimo incontro tra la dirigenza e i senatori dello spogliatoio, all’indomani della trasferta di Siviglia, dove sarebbe stata espressa l’insoddisfazione dei giocatori rispetto ai metodi dell’allenatore. Il resto lo ha fatto il rapporto sempre più teso con Craig Shakespeare, assistant manager del tecnico romano: una volta saltato anche questo legame, la scelta si è fatta inevitabile. Allora, come nel miglior dramma teatrale inglese, Iago fa capolino tra le mura del Leicester, insinuando il dubbio. Quello che resta sono domande e incertezze su un futuro che rischia di essere ancor più buio, con un ambiente frustrato da una scelta che i tifosi faticano a condividere. Non è detto che ora il compito della squadra diventi più semplice, con lo spettro di un Ranieri pugnalato alle spalle che aleggia sul King Power: come ha scritto Gary Lineker, questa scelta può diventare realmente qualcosa di imperdonabile.