La geometria di Toni Kroos

Quanto è importante avere in squadra il centrocampista tedesco, per la sua capacità di fare la cosa giusta al posto giusto.

Toni Kroos è uno che sta sempre al posto giusto. Una delle immagini ricorrenti della sua carriera è un’azione di sfondamento sulla fascia, di uno dei suoi compagni. Uno scatto, un dribbling, una sovrapposizione due contro uno sull’esterno. A rimorchio, di solito al limite dell’area, c’è Toni Kroos. C’è sempre Toni Kroos, che tira e fa gol. Ha segnato così nell’andata degli ottavi di Champions, contro il Napoli. Ha segnato così un’altra volta contro il Napoli: era la fase a gironi della Champions League 2011/2012, il Bayern è ospite al San Paolo e va in vantaggio dopo pochi minuti – anche se quella volta il pallone non arrivava dal fondo ma dalla zona laterale della trequarti, e premiava un suo inserimento centrale. Ha segnato così nella semifinale del Mondiale 2014, lo storico 7-1 contro il Brasile. Ha segnato così contro il Celta Vigo, contro il Rayo Vallecano, un’altra volta con la maglia della Germania contro la Repubblica Ceca. Questi ultimi tre gol sono inseriti in un video dalla pessima definizione che si intitola “Toni Kroos, Three Goals, the same definition!”.

Toni Kroos è uno che sta sempre al posto giusto, e te ne accorgi persino quando esegue male una giocata. Durante la finale di Coppa del Mondo 2014, raccoglie di testa un pallone al di qua del centrocampo, e lo vuole servire all’indietro. Lo fa in modo maldestro, in pratica lancia Higuaín in campo aperto contro Neuer. L’attaccante argentino tira fuori, Kroos ha sbagliato il tocco, non il posizionamento. La sua è una condizione particolare, perché, evidentemente, deve allenarsi e rendere solo in riferimento alla cifra tecnica delle sue giocate, deve ridurre al minimo l’eccezione dell’errore. La lettura della situazione, della posizione da tenere e di quella dei compagni, è praticamente perfetta, sempre. Ed è una dote che per Kroos sembra innata, genetica, che pare non possa derivare solo dal lavoro, dagli allenamenti. È qualcosa di più. È la bellezza di un’intelligenza primordiale che si concretizza quando non c’è da gestire la palla, ma solo il movimento del proprio corpo in base al gioco.

Sono sette minuti, eppure non c’è una sola giocata che valga la pena saltare

Il talento assoluto di Kroos si rivela anche quando il gioco consiste nel dare il pallone, non solo nel riceverlo. Quando gli si chiede di creare qualcosa, di pensare e inventare calcio. Più che attraverso un video skills come quello appena sopra, che pure basterebbe, Kroos racconta la sua dimensione tecnica con i numeri. Il settimo tedesco nella storia del Real Madrid è il migliore nelle cinque leghe top in Europa per lanci lunghi completati (167); è il terzo calciatore per occasioni create in Champions League dal 2014/2015 (70, fanno meglio solo Koke e Neymar); è il miglior assistman della Liga (10); ha la migliore pass accuracy del campionato spagnolo tra i calciatori con più di 20 presenze e la seconda in assoluto (92%); sempre in Liga, ha una media di 0,3 controlli sbagliati per partita. Evidentemente, Kroos riesce davvero a ridurre al minimo l’eccezione dell’errore.

In una lunghissima intervista rilasciata a Zeit, Toni Kroos racconta se stesso. È una lettura interessante, un biglietto da visita dell’uomo e dell’atleta, è l’autonarrazione che ti aspetteresti da un calciatore con certe statistiche: «Non mi faccio impressionare da nulla, nel calcio. È sempre stato il mio atteggiamento, in effetti non sono un tipo molto entusiasta, almeno in riferimento al gioco. Per me è tutta una questione di lavoro. Del resto, la costanza negli allenamenti e nel rendimento è il fattore che distingue i fuoriclasse dai grandi giocatori: i primi sono decisivi sempre, in ogni momento riescono a dare il meglio. Il mio obiettivo è diminuire il numero di partite giocate male, se l’anno scorso sono state dieci quest’anno devono essere cinque». Queste parole sono il miglior modo per spiegare la frase pronunciata da Joachim Löw dopo aver votato Toni Kroos al Fifa World Player: «È un calciatore su cui puoi sempre contare».

Toni Kroos è un uomo di calcio perfettamente calato nel suo tempo. Dal punto di vista tattico, fa parte di quella generazione di centrocampisti che Cristiano Carriero e Michele Tossani hanno definito qualche tempo fa su Undici, in un articolo che spiegava come gli allenatori moderni non riescano a rinunciare a una certa caratteristica di qualità a metà campo: «Un giocatore capace di guidare telepaticamente i movimenti dei compagni e cercare, subito dopo aver giocato il pallone, una nuova linea di passaggio, avanzando a forza di triangoli. È una figura nuova con connotati antichi, ispirata alla letteratura brasiliana, alla figura del volante. Soltanto che oggi è un giocatore che si palesa, con diverse caratteristiche, a tutte le latitudini: tutto quello che succede in campo passa per i suoi piedi».

Real Madrid CF v SSC Napoli - UEFA Champions League Round of 16: First Leg

La riferibilità di questa definizione non è identificata, ma la parole che avete appena letto sarebbero perfette come didascalia di un video di highlights personali di Toni Kroos. Descrivono una partita del centrocampista tedesco, il prototipo di calciatore che Toni Kroos rappresenta. Uno dei più recenti visibili su Youtube è quello riferito al match del Bernabéu contro il Betis, vinto per 2-1 dalla squadra di Zidane. In realtà il montaggio è incompleto, mancherebbe una parte importante della partita: il solito, perfetto calcio d’angolo a rientrare che ha permesso a Sergio Ramos di colpire di testa per il gol della vittoria. Non sappiamo se escludere quel momento, da parte del montatore, sia stata una scelta voluta o imposta. Eppure, riguardando il video, non ci pare una decisione che depotenzi la narrazione, che faccia mancare una parte determinante del tutto: nelle idee di Kroos, nel suo modo di stare in campo, leggi l’andamento del gioco al di là del punteggio segnato sul tabellone. Nella prima parte del video e quindi del match, Kroos gioca in maniera continua ma non frenetica, supporta l’azione spaziando dal centrodestra al centrosinistra e costruisce, letteralmente, gran parte delle manovre. La giocata è soprattutto elementare, ma questo non vuol dire meno estetica: una caratteristica di Kroos è proprio l’eleganza più rara e preziosa, quella della semplicità. C’è qualche passaggio a vuoto, nel senso di appoggio orizzontale sbagliato, ma il dato sull’accuracy finale (90%) riduce questi errori all’eccezione. L’eccezione dell’errore.

Nella seconda parte, guardando giocare Kroos, si capisce che la partita ha accelerato i ritmi. Ogni tocco diventa urgente ma non perde di lucidità e di ordine; il pressing alto degli avversari viene disinnescato con controlli orientati e finte di corpo e dribbling e aperture panoramiche, poi si trasforma in intervento falloso quando il cronometro si avvia a esaurire il suo tempo e Kroos continua a non perdere la ragione del suo calcio; su una punizione che non è quella del gol di Ramos, mette Ronaldo a tu per tu con il portiere, ma il portoghese sbaglia il controllo. Jonathan Wilson, in un pezzo del 2013, definì così lo stile di gioco di Kroos: «He is creative without being flash». È una sintesi estrema, ma ha il dono che dovrebbe avere ogni sintesi: spiega perfettamente e totalmente ciò di cui si sta parlando.

Non potevamo non inserire il video, dopo averne parlato così tanto

La formazione calcistica di Toni Kroos è come il gioco di Toni Kroos: lineare, precisa, puntuale, figlia dell’era postmoderna eppure letteraria. Parte da una città accademica dell’ex Germania Est, Greifswald, centro sul Mar Baltico che per la pagina italiana di Wikipedia si autodefinisce «Universitäts-und Hansestadt», città universitaria e anseatica, c’è pure una foto dall’alto che sembra voler inquadrare solo tetti triangolari rossi e invece è una panoramica della zona. I primi calci sono nel Greifswalder SV, ma in realtà lo sport e il calcio sono nel corredo genetico di famiglia: mamma Bigrit, che porta Kämmer come cognome da nubile, a sedici anni ha vinto il campionato tedesco di badminton in singolare e in doppio; suo fratello Felix è attualmente nell’organico dell’Union Berlino; papà Roland è un ex calciatore e allenatore, che viene assunto nel settore giovanile dell’Hansa Rostock nel 2002.

Ogni passaggio della carriera di Toni Kroos sembrerà naturale come un trasloco di 101 chilometri – la distanza tra Greifswald e Rostock – per seguire il capofamiglia che cambia lavoro e città. L’Hansa accoglie anche Toni nelle sue squadre ragazzi, ed è un buon trampolino di lancio: è l’ultima squadra dell’ex Ddr capace di giocare in Bundesliga prima del RB Lipsia, promosso nel 2015 dalla Zweite. Il percorso è segnato, lo capiscono tutti praticamente subito. Una delle sue insegnanti, in un’intervista amarcord pubblicata da Welt, racconta di come tutti fossero sicuri del suo avvenire da campione. Tanto da “perdonargli” il suo essere «uno studente pigro». Nella pagina web c’è anche la canonica foto di classe, un giovane Toni Kroos ha i capelli biondi, una pettinatura tipica dei teenager dei primi anni Duemila e indossa quella che ha tutta l’aria di essere una tuta di allenamento.

Il passaggio al Bayern raccontato da Roland Kroos come se fosse una cosa normale, inevitabile per assecondare il talento di suo figlio. È la definizione di un predestinato: «Abbiamo parlato molto, in famiglia, del suo trasferimento in Baviera, ma la decisione è stata solo sua. Ha scelto il Bayern anche perché il club gli ha proposto un percorso di sviluppo atletico personalizzato. Si è inserito subito, anche grazie alle strutture formative messe a disposizione dei giovani talenti. Ha preso immediatamente coscienza di se stesso, fiducia nei suoi mezzi e nelle sue prestazioni, ed è risalito velocemente fino alla prima squadra». Esordisce a 17 anni, otto mesi e due giorni. È il più giovane calciatore di sempre ad aver indossato la maglia del Bayern in un match ufficiale (Bayern Monaco-Cottbus 5-0, il 26 settembre 2007), sarà superato prima da Alaba e poi da Højbjerg. Mette a referto due assist decisivi in 18′ di gioco. Alla seconda partita europea, in trasferta contro la Stella Rossa (Coppa Uefa 2007/2008), segna il primo gol da professionista. È una punizione dalla sinistra, calciata tesa e bassa verso la porta. Voleva essere un cross, nessuno la tocca, la palla entra in rete. Kroos diventa il più giovane marcatore di sempre nella storia del Bayern. Più o meno dalla stessa zolla, sempre su punizione e appena sei minuti prima, aveva pennellato un assist perfetto per il 2-2 di Klose.

Stella Rossa-Bayern Monaco: Kroos porta ancora i capelli come il primo Justin Bieber, del resto ha 17 anni, ma intanto segna in Coppa Uefa

Persino lo “stage di formazione” a cui il Bayern lo sottopone da gennaio 2009 a giugno 2010 ha una configurazione particolare, da star in divenire, da eletto del gioco: 48 partite nel Bayer Leverkusen, una grande di Germania, una potenziale contender della casa madre. È solo un caso che Kroos non disputi match internazionali durante la sua esperienza con le aspirine – sono le uniche due stagioni delle ultime diciannove che il Bayer non partecipa a competizioni europee -, ma intanto si guadagna l’esordio in Nazionale e la convocazione ai Mondiali del 2010. Con la Mannschaft sudafricana gioca quattro spezzoni di gara. Al termine del suo prestito, dichiara alla Zeitung di sentirsi «felice» del suo anno e mezzo a Leverkusen, ma dice pure di essere «pronto a primeggiare» al Bayern Monaco, che tornerà in Baviera «solo per giocare molte partite». Nella stessa intervista, parla anche della percezione che ha sempre avuto del suo talento, della sua consapevolezza, dell’atteggiamento che ha tenuto per gestire l’hype che ha sempre caratterizzato la sua narrazione: «Dopo le prime partite positive nel Bayern, l’ambiente voleva troppo da me. Questo mi ha messo addosso una pressione maggiore rispetto ad altri ragazzi. Anche durante il mio percorso giovanile succedeva la stessa cosa, prima di ogni partita dicevano “ecco Kroos, il migliore della squadra”. Anche a Leverkusen è andata così, venivo dal Bayern ed ero un campione in prospettiva. Ma non è stata una brutta esperienza, ho avuto a che fare subito con grandi aspettative». Ha imparato a fronteggiarle in un certo modo.

È quasi scontato e superfluo parlare dell’esperienza al Bayern di Toni Kroos, dell’upgrade continuo all’interno delle gerarchie degli allenatori che hanno lavorato con lui. La curiosità è che proprio tutti i tecnici della sua carriera, nessuno escluso, abbiano vinto almeno una Champions League o un Campionato del Mondo nella loro vita calcistica. In ordine cronologico: Hitzfeld, Klinsmann, Heynckes (prima al Bayer poi al Bayern), Van Gaal. La serie continuerà con Guardiola, Ancelotti, Benítez. Anche Zidane, pur iridato nel 1998, asseconderà questa necessità del palmarés conquistando la Undécima nella finale di Milano 2016. Significativo che tra questi l’unico allenatore non campione d’Europa, Jürgen Klinsmann, sia il solo di cui Kroos abbia sempre parlato male. Nell’intervista alla Zeit di cui abbiamo scritto prima, Toni dice che Guardiola è «il miglior tecnico al mondo nell’analisi dell’avversario, nello studio della partita e nel problem solving tattico». La storia del rapporto tra il Bayern e Pep che si incrina, in prima istanza, proprio per la cessione di Kroos al Real Madrid è una certezza virtuale nella narrativa recente del calciomercato.

Brazil v Germany: Semi Final - 2014 FIFA World Cup Brazil

La traiettoria di Kroos è perfetta. In una settimana, a luglio 2014, vince il titolo Mondiale con la Germania e firma con il Real Madrid. Lascia il Bayern per una cifra di 30 milioni di euro, dopo 205 presenze, 24 gol e 49 assist. In bacheca, ci sono una Champions League, una Supercoppa Europea, un Mondiale per Club, tre Bundesliga e tre Coppe di Germania. Nella sua prima intervista alla tv ufficiale del Madrid, spiega che il club con cui ha appena sottoscritto un accordo quadriennale è «il migliore al mondo, non avrei considerato nessun’altra offerta». Indossa una giacca scura e una camicia bianca, non ha la cravatta e ha la sicurezza di essere nel posto giusto, anzi nell’unico posto giusto per continuare la sua carriera. Lo confesserà sempre alla Zeit: «Non ho mai pensato che il mio approdo al Real Madrid fosse dovuto alla fortuna». È la linearità a livelli assoluti, un’autoconsiderazione infinita, la sicurezza di Toni Kroos: uno perfettamente consapevole di essere un fuoriclasse. Durante gli ultimi Europei, lo Spiegel ha scritto che la sua fiducia in se stesso è sempre stata «ai limiti dell’arroganza». Nel frattempo, però, Kroos è diventato il primo calciatore tedesco di sempre a vincere la Champions League con due club diversi. Nel derby contro l’Atlético che vale la coppa, batte la punizione da cui scaturisce il gol di Ramos.

La sua reazione dopo il rigore decisivo di Ronaldo fa quasi tenerezza: si mette la maglia in testa, poi corre a cercare l’abbraccio dei compagni, sembra indeciso, ma forse è solo l’incertezza della felicità. E l’incredulità di una prima volta, anche se si tratta della seconda vittoria nel massimo torneo continentale. Kroos aveva saltato per infortunio la finale di Wembley 2013.

Kroos sa segnare anche in qualche altra situazione di gioco

Il periodo a Madrid inscatola perfettamente Toni Kroos nella narrazione della modernità assoluta. Dal punto di vista tattico, il tedesco conosce la definitiva consacrazione come centrocampista completo, di rottura e costruzione. Prima Ancelotti e poi Zidane lo schierano da interno, dall’altro lato rispetto a Modrić, formando un’asse di qualità d’impostazione senza pari al mondo. Come intermezzo, il tentativo fallito di Benítez di farne un mediano da doble pivote. L’interpretazione della mezzala secondo Kroos è determinante per il gioco del Real, perché offre un’alternativa assoluta alla prima giocata di Modrić. E, insieme, garantisce il giusto equilibrio sul lato più sbilanciato del 4-3-3 di Zidane – che grazie a Bale si trasforma in un 4-4-2 asimmetrico, con Benzema e Ronaldo attaccanti puri e l’esterno gallese a coprire l’intera fascia destra. Outsideoftheboot, in un pezzo di analisi tattica, spiega perfettamente questa dinamica. E definisce Kroos come un «deep lying playmaker», ovvero “finto regista offensivo”. Allo stesso tempo, l’articolo sottolinea il gran lavoro dell’ex Bayern, la «copertura degli spazi centrali» in fase difensiva, un supporto importante all’interdittore Casemiro. In poche righe, la descrizione del centrocampista degli anni Dieci, la rivisitazione epocale di un ruolo: «Kroos al Madrid può davvero fare la storia, ha influenzato il sistema di gioco della squadra ed è perfetto per la filosofia del club». Parole di Zinedine Zidane, in un’intervista alla Bild. Durante Euro 2016, Raphael Hongstein scrive su Espnfc che Kroos «non è mai stato così tanto importante per la Germania», proprio per questa sua capacità di «interpretare al meglio le doppie fasi di gioco». E perché «è l’hub della squadra di Löw, l’intero flusso di gioco passa dai suoi piedi». Concetti e quotes abbastanza gratificanti.

L’ultimo aspetto della perfetta aderenza di Kroos con il nostro tempo è la gestione del suo personaggio fuori dal campo. Toni Kroos è ormai un brand, il nome del suo profilo ufficiale Instagramtoni.kr8s, è praticamente un logo senza esserlo davvero. Il tweet con cui ha inaugurato il 2017 è assolutamente geniale, il suo sito ufficiale ha un design fantastico, la sua pagina Facebook è un flusso continuo di aggiornamenti e iniziative, soprattutto legate alla sua fondazione benefica, la Toni Kroos Stiftung, che si occupa del sostegno economico e morale alle famiglie con bambini malati terminali. Toni Kroos è un fenomeno che sa essere contemporaneo, che appartiene e anzi determina una nuova era del gioco, come delle sue sovrastrutture extracampo. In un’intervista rilasciata a Real Total, ha dichiarato: «Sono cosciente di essere un calciatore, e quindi di appartenere in un certo senso anche ai mezzi di comunicazione». Toni Kroos possiede la perfetta consapevolezza del sé. Del calciatore che è anche personaggio, e che sta sempre al posto giusto. Ma anche, e forse soprattutto, nel modo giusto e nel tempo giusto.