L’Argentina brucia

Il caos ai vertici della Federazione, lo sciopero dei calciatori, un torneo sempre meno appetibile: cosa sta succedendo a Buenos Aires e dintorni.

In Argentina il calcio è un affare di Stato. E non si tratta solamente di una frase fatta, bensì di una realtà a 360 gradi,  dato che i fondi destinati all’organizzazione del campionato locale sono pubblici. Il tutto iniziò nel 1991, quando il gruppo editoriale Clarín, il più importante del Paese, insieme a Torneo y Competencias, acquisì i diritti per le ritrasmissioni delle partite in pay per view durante il governo di Carlos Saúl Menem, il cui mandato sarà contraddistinto da una serie di politiche eccessivamente neoliberiste che provocheranno la terribile crisi economica del 2001. Otto anni dopo il crack finanziario, il presidente Nestor Kirchner decise di prendere in mano le redini del sistema creando il programma Fútbol para todos, con il proposito di offrire tutte le partite di Primera División in chiaro, il che significò un investimento di 600 milioni di pesos nell’acquisizione dei diritti, il tutto celebrato con una sorta di investitura in pompa magna con Diego Armando Maradona, allora allenatore della nazionale, e Cristina Fernández de Kirchner, che sarebbe diventata presidentessa dopo la morte del marito. La Televisión Pública Argentina diventava dunque l’unica emittente delle partite in diretta, per la gioia di tutto il popolo argentino.

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Ma spesso, soprattutto a Buenos Aires, l’estate afosa porta problemi di vario tipo, con i blackout elettrici come emblema assoluto della disorganizzazione atavica di un paese corroso dall’interno nonostante al suo esterno si ostenti grandezza e opulenza. E il calcio non è stato risparmiato. Un anno e mezzo dopo l’insediamento alla Casa Rosada, il capo del Governo Mauricio Macri, ex presidente del Boca Juniors e primo responsabile del gonfiamento mediatico di un club che ormai del popolo ha solamente il quartiere dove risiede lo stadio, ha cominciato a far traballare il sistema di calcio “libero” instaurato dalla Kirchner, agli antipodi per quanto riguarda le idee politiche. La principale critica di Macri al Fútbol para todos faceva leva sui presunti investimenti in altri ambiti, secondo lui prioritari rispetto al calcio, come per esempio l’istruzione, i trasporti pubblici e il welfare. È così che l’inquilino della Casa Rosada decide di rivolgersi direttamente alla Fifa, rivolgendosi direttamente al presidente Gianni Infantino, affermando che in Argentina la situazione era in mano a dei «ladri» e che era necessario un commissariamento da parte della massima organizzazione calcistica del mondo.

L’Afa è nella bufera da quasi due anni, ovvero dalla morte di Julio Grondona, il mammasantissima del calcio sudamericano cresciuto all’ombra dell’ex presidente Fifa Joao Havelange. E lo dimostra l’incredibile ultima votazione per la presidenza dell’organo, avvenuta quasi contemporaneamente all’insediamento di Macri al Governo: dei 75 votanti per il nuovo presidente, uno aveva collocato due palline nel vorticoso calderone dei voti, con il clamoroso e mai visto risultato di un impossibile pareggio tra i candidati Luis Segura e Marcelo Tinelli. Pare che a Macri non andasse a genio nessuno dei due postulanti al vertice della Afa, e che avesse voluto prender tempo per candidare Claudio Tapia, genero del suo amico sindacalista Hugo Moyano. E, per ora, la candidatura di Tapia è l’unica sul tavolo di una federazione lacerata da faide intestine e che, forse, avrà nuovamente un presidente il 29 marzo prossimo.

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In uno scenario simile, non sorprende che il circo calcistico sia stato bloccato dallo sciopero di calciatori che non ricevevano lo stipendio da cinque mesi, problema nel quale era incappato persino l’ex ct della nazionale Gerardo Martino, che infatti nel luglio scorso rinunciò sia ai soldi sia a un incarico ormai più pernicioso che prestigioso. Nella sede dell’Afa in calle Viamonte il tran tran di automobili e altri mezzi di trasporto rende l’aria irrespirabile e riflette il caos che vive all’interno di quella che ormai per molti non è neanche più un’organizzazione. Fernando Signorini, ex preparatore atletico di Diego Armando Maradona e suo assistente nel Mondiale 2010, analizza la situazione da Tepic, Messico, dove lavora attualmente: «Morto il pastore del gregge, Grondona, le pecore non sanno più cosa fare». Ora che, un anno e mezzo dopo la morte di quello che fu il padrone del calcio argentino, sta per iniziare l’indulgente regno di Tapia, la sua visione del calcio argentino non migliora: «È un sistema marcio nel quale stiamo passando da un tipo di malattia endemica a un altro altrettanto grave. La corruzione e le dinamiche di sempre non sono cambiate, anche dopo la porcheria del campionato a 30 squadre, dove hanno luogo incontri tra squadre che non hanno il livello per giocare in Primera División, ma le cui partite vengono comunque trasmesse per vendere il prodotto calcio, che ormai ha perso valore».

Ciò che fa indignare uno dei protagonisti silenziosi della miglior epoca del calcio argentino è il continuo rimpasto di personaggi loschi e più legati ai media che alla gente. La presidenza di Tapia, infatti, sarà conseguenza del tacito accordo tra Macri e Tinelli, che in prima istanza erano rivali ma che hanno finito per camminare a braccetto per comandare insieme instaurando un nuovo organigramma facilmente controllabile a livello nazionale, con il vicepresidente del San Lorenzo che finirà con l’occupare l’incarico di direttore generale e del marketing della nazionale, un ruolo al quale ambiva da sempre, nonostante verrà verosimilmente escluso dal comitato esecutivo. Juan Sebastián Verón, presidente e giocatore dell’Estudiantes La Plata, sarà invece il supervisore del settore giovanile della nazionale, mentre Rodolfo D’Onofrio, presidente del River Plate, dovrebbe controllare la regolare esecuzione del torneo di Primera División. Una quasi perfetta spartizione di un dolce che ha tardato ad uscire dal forno ma risulta appetitoso per “nuovi” colletti bianchi post Grondona.

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Al di là delle sovvenzioni pubbliche o meno, che dall’inizio del nuovo governo sono venute meno anche nei servizi sociali basici come i trasporti e la sanità, il futuro del fútbol gaucho sembra seguire i solchi tracciati da quel sistema marcio nel quale i giovani talenti sgomitano più per partire subito verso l’Europa che per affermarsi in patria, abbassando quindi notevolmente il livello qualitativo di un campionato che non riesce a vendere neanche sé stesso. Il tutto alla vigilia di un incontro importantissimo per l’Albiceleste, che sfiderà il Cile al Monumental con l’obbligo di vincere per scongiurare il pericolo di un’eventuale assenza al Mondiale che si giocherà tra quindici mesi in Russia.

Eppure secondo Signorini sarebbe paradossalmente un bene se la Selección non partecipasse al Mondiale 2018: «Sarebbe un segnale importante affinché venga effettuato un repulisti dall’alto verso il basso e far riscoprire il valore perso del calcio alla gente, che oggi pensa solamente a vedere un calcio infimo in tv e non si scomoda neanche di andare allo stadio». Seppellito il Fútbol para todos in quanto trasmissione, ecco che gli affaristi e traffichini più affamati lo fanno loro, spartendosi parti diverse dello stesso prodotto calcistico ormai legato solo al business unilaterale. Ma si tratta di un prodotto ormai snaturato e il cui profitto è anelato da avide mani di differenti personalità e che oggi non è più della gente, diventando, di fatto, un Fútbol para nadie.