Il portiere della Juventus e della Nazionale è Angelo Peruzzi. Potente, reattivo, un grande numero 1. Quel giorno, il 19 novembre 1995, difende la porta bianconera: 1-0 contro la Fiorentina, gol di Del Piero di testa (!). Di quel giorno, però, nessuno ricorda la partita della Juve, perché quello è il giorno di Parma-Milan. Di quel Parma-Milan, in cui Gianluigi Buffon, diciassettenne dal cognome famoso, para tutto ai rossoneri, sconfitti in finale di Champions pochi mesi prima e vincitori dello scudetto pochi mesi dopo. Forse l’unica partita ricordata a decenni di distanza per l’esordio di un portiere.
L’esordio in Serie A
“Asini”
Poi, ci sono le altre 998: intanto, le oltre duecento col Parma, tra grandi prestazioni e goliardate fuori registro, che in quegli anni non aiutano a rendermelo simpatico. Ho la netta impressione che sia un giocatore destinato a diventare un fenomeno, ma assolutamente incompatibile con la Juventus e ciò che rappresenta. Vuole fare il ribelle, stupire, non stare alle regole, andare contro corrente. Contro il potere, contro quegli inquadrati (qualcuno direbbe “i soldatini”), contro la Juve. Come quel fine partita in cui si lascia andare con un «bravi noi, asini loro». “Loro” sarebbero gli juventini, sconfitti per 1-0 in una sfida finita in 9 contro 9, con Di Livio e Crippa che si picchiano dal primo minuto, papera decisiva di Peruzzi e Buffon migliore in campo. Si scusa subito, capisce di avere esagerato. Ma non credo sogni un futuro dalle nostre parti. L’ultima col Parma coincide con la partita di Roma che consegna lo scudetto ai giallorossi. Proprio quel giorno, probabilmente, la Juve decide che è ora di rifare la squadra (e che Van der Saar ha fatto il suo tempo), mettendo in atto la campagna acquisti più clamorosa che si ricordi. Così nasce l’incredibile storia bianconera di Buffon. Storia, perché carriera non rende abbastanza. Storia, perché leggenda suona troppo retorico e quando si parla di lui lo usano già in troppi.
L’inizio della storia
Del suo primo anno alla Juve ricordo l’inizio e la fine. La fine la ricordano tutti, juventini e interisti: il 5 maggio 2002. Per noi no, ma per lui è il primo scudetto, arrivato in quel modo inverosimile, dopo una rimonta senza senso, e appare incredibilmente felice. Più raramente, però, si ricorda l’inizio. Il portiere più pagato del mondo: «Hanno fatto una follia: nessun portiere può valere quella cifra», tutto il carico di pressioni viene fuori la sera in cui si sfidano le due squadre in testa alla terza giornata di campionato, la ricca Juve che ha comprato mezzo mondo contro il piccolo Chievo. Su un calcio d’angolo Buffon esce sicuro, blocca il pallone e invece no, gli sfugge, gli passa sotto le gambe e torna in gioco, proprio sui piedi di Marazzina che segna quasi senza accorgersene. C’è Corradi voltato dall’altra parte, dopo avere visto Buffon agguantare il pallone in uscita. Il portiere più pagato del mondo resta a terra per diversi secondi, tra lo sguardo incredulo di tifosi e compagni. «Nessun portiere può valere quella cifra», ripetono rinvigoriti diversi addetti ai lavori. Noi, invece, cominciamo ad amarlo proprio lì.
Juventus-Chievo 2001/02, e quell’errore grossolano
L’anno successivo, in semifinale di Champions, nella miglior partita europea della Juve, para un rigore a Figo contro il Real dei Figo Ronaldo Raúl e Zidane tutti insieme. Ma siamo pur sempre in quella competizione, e Buffon impara presto che lì per noi il lieto fine non è così frequente: non prende gol durante i novanta minuti e para due calci di rigore quando si arriva ai tiri dal dischetto. Ma Dida fa anche meglio, o meglio: i nostri rigoristi fanno decisamente peggio. Avrà altre occasioni, pensiamo. Pensiamo male, almeno per un bel po’.
2006
Ormai è un idolo assoluto, già una bandiera, probabilmente il miglior portiere al mondo: con noi ha conquistato altri due scudetti (in 5 anni con noi ne ha vinti 4), mentre in Europa la Juve di Capello, con una serie di campioni che va da Thuram e Cannavaro a Ibrahimovic e Trezeguet, passando per Emerson e Nedved a centrocampo, si ferma ogni volta che trova una inglese. A un tratto, arriva l’estate che gli cambia la vita. La squadra imbattibile si trova denigrata pubblicamente, processata da tutta Italia e giudicata colpevole dai giornali prima che dagli organi federali, privata di due scudetti e retrocessa in serie B con penalizzazione. Siamo completamente spaesati, ci lasciano tanti big, ma il migliore del mondo nel suo ruolo resta da noi. Sì, allora un portiere poteva valere quella cifra.
Arrivano i Mondiali, ma il clima è quello, l’Inquisizione è appena agli inizi: la Gazzetta dello Sport afferma che portare Lippi, Buffon e Cannavaro è un rischio. Buffon, per la rosea, è il ragazzo ricco «che cade demone del gioco». Sai che rischio portarlo ai Mondiali, con quegli altri due tipacci? La storia non serve raccontarla, gli azzurri trionfano senza prendere gol praticamente mai: Lippi non sbaglia niente, Buffon e Cannavaro ancora meno. La parata in finale su Zidane è probabilmente la più famosa di sempre. Arriva secondo al Pallone d’oro (e per tanti avrebbe dovuto vincere lui), dietro il suo compagno di squadra. Personalmente, in quell’estate prevale la rabbia per Calciopoli, ma una parte importante la assume anche la gioia per il trionfo dei nostri. Valeva la pena, probabilmente, correre il rischio di portarli ai Mondiali. Gli anni successivi, la B e il ritorno in A, sono vissuti con straordinaria dignità e professionalità, mentre l’Inter fa la Juve e capiamo che uno scudetto, noi, lo rivedremo chissà quando.
Le parate al Mondiale 2006
Quella notte
Arriva Andrea Agnelli, poi Marotta e Conte, lo stadio nuovo che è già una magia, le prime partite in cui la Juve è travolgente, l’obiettivo è entrare in Europa, veniamo da due settimi posti, lo ripetiamo come un mantra. Pare davvero l’anno buono, arriviamo al finale senza neanche una sconfitta in campionato e una sera, un mercoledì, a Juve-Lecce, stiamo per conquistare lo scudetto.
Roba da non crederci. Segna subito Marchisio, ci fermiamo un po’, rallentiamo, fatto sta che stiamo arrivando. Non ci possiamo credere, sta succedendo davvero. Siamo quasi al novantesimo, gestiamo il pallone, forse con troppa paura ma senza correre alcun rischio. Il tempo non passa, continuiamo col giro palla difensivo, retropassaggio a Buffon. Stoppa male. No! Buttala via! No! Bertolacci si avvicina, ormai capisce che può arrivarci. No! Pallone rubato, contrasto vinto, gol del Lecce. Silenzio. Gelo assoluto. In campo, allo stadio, a casa. «Che cavolo ha fatto?». So che non è bello. So che siamo qui anche per lui. So quanto gli dobbiamo. Ma oggi no, in quel momento non si poteva.
Lui è affranto, a fine partita chiede scusa più volte, saluta i rivali e si scusa ancora. Lo maledico, ma lì capisco quanto sia sempre stato una sicurezza per tutti noi, sconvolti per un suo errore. Quella notte non dorme nessuno. La grande fortuna, sua e nostra, è che a Cagliari-Juve manchino solo 4 giorni, perché 7 non li avremmo sopportati. Quello scudetto è fantastico per tanti motivi, ma anche e soprattutto per quanto abbiamo vissuto noi tifosi negli anni precedenti e per quei 5 eroi che sono rimasti a farsi la B tra Mantova e Frosinone, scommettendo che un giorno sarebbero tornati a festeggiare. C’era un patto, dicono, e i patti vanno rispettati.
Il capitano
Mi accorgo, proprio da quella sera, che negli anni Buffon è diventato un vero capitano, prima senza fascia e da lì in poi con, perché chiede scusa, si assume le responsabilità, è l’uomo che parla sempre quando le cose vanno male. Accade anche in Nazionale, quando si scatenano le voci sulle scommesse, Criscito perde l’Europeo per un avviso di garanzia e lui si arrabbia con giornali e pm per le fughe di notizie, per le sentenze emesse prima dei giudizi. Dal giorno dopo – vedi a volte il destino – si trova in prima pagina su tutti i giornali perché «avrebbe effettuato puntate vietate per 1,5 milioni». “Avrebbe effettuato”, ma non era così. E Criscito, qualche mese dopo, viene prosciolto da ogni accusa.
Vince uno scudetto dopo l’altro, sempre da protagonista, finché non fa fuori il Real in semifinale, come a quei tempi, e può giocarsi un’altra finale. Contro un Barcellona stellare, e allora perde anche stavolta, dopo una partita in bilico fino all’ultimo secondo. Ma è tornato a giocarla, come eravamo certi che sarebbe accaduto, dopo Manchester 2003. E così, quando qualche mese dopo, dopo 4 scudetti consecutivi e una carriera leggendaria, la sua Juve parte male e perde anche a Sassuolo, lui fa un discorso perfetto davanti alle telecamere. Non vuole scuse, parla di primo tempo indecoroso, figure da pellegrini. Gli chiedono se lo scudetto è possibile. Lui risponde che al momento è quattordicesimo, meglio pensare al tredicesimo posto. Vince anche quello, forse grazie a quella sera, quelle parole e quella rabbia.
Le migliori dieci parate in carriera
Di uno che ha fatto mille partite, vinto cento trofei, ha smentito coloro che da anni lo danno per finito, risposto sempre a testa alta a chi lo accusa, ridicolizzato la mia sensazione iniziale sulla incompatibilità con la Juve, reso ridicolo il Pallone d’oro che non lo mette neanche in lista tra i papabili. È per tutto questo e molto altro, che ora ci viene da ridere, ripensando a chi diceva che era una follia, «perché nessun portiere può valere quella cifra».