L’involuzione dell’Olanda

Cosa succede all'Olanda, tra le difficoltà della Nazionale e un movimento in grave dissesto qualitativo e organizzativo.

C’è stato un tempo, pure abbastanza recente, in cui nessuno credeva che sarebbe finita così. Nessuno poteva neanche pensarlo, in verità. Del resto la promessa del futuro era ben diversa, era allettante, cristallizzata in due momenti precisi, distanti un anno, un giorno e 500 chilometri. Novi Sad, 15 maggio 2011; Lubiana, 16 maggio 2012. L’Olanda Under 17 batte per due volte la Germania in finale e vince due edizioni consecutive del Campionato Europeo di categoria. Su Youtube è possibile rivedere l’intero match del 2011, o solo il montaggio dei gol. Ci sono anche gli highlights della sfida del 2012, finita ai rigori. I nomi dei marcatori sono una finestra sul domani: Tonny Vilhena, Memphis Depay, Terence Kongolo, Leon Goretzka. Nella prima finale Vilhena realizza una doppietta, e dopo il secondo gol esulta ballando con i compagni. Sempre nel 2011 Depay mette a segno una rete che è un manifesto primordiale del suo stile: tre dribbling in area, una giravolta, diagonale di destro. In campo, tra le due partite, ci sono anche Timo Werner, Karim Rekik, Emre Can, Max Meyer, Julian Brandt, Riechedly Bazoer. È l’adolescenza dei calciatori che oggi rappresentano il passaggio tra il presente e il futuro, della generazione che sta vivendo il suo lancio definitivo, l’attesa della sua consacrazione.

Netherlands' Arjen Robben (R) and Wesley Sneijder take part in a training session of the Dutch national football team on March 22, 2017 in Katwijk. The Netherlands will play against Bulgaria in a FIFA World Cup 2018 qualification match on March 25. / AFP PHOTO / ANP / Koen van Weel / Netherlands OUT (Photo credit should read KOEN VAN WEEL/AFP/Getty Images)

Il tempo ha disatteso questo racconto di speranza, perché l’Olanda del 2017 è un sistema calcistico in crisi profonda: l’Eredivisie vive enormi difficoltà tecniche e progettuali, la Nazionale Oranje è reduce da un’incredibile qualificazione mancata agli Europei. Anche il cammino verso il Mondiale 2018 è parzialmente compromesso: sabato sera la squadra allenata da Danny Blind ha perso per 2-0 in Bulgaria ed è ora quarta in classifica nel girone A, alle spalle di Francia, Svezia e Bulgaria. L’autore dei due gol del match di Sofia, Spas Delev, gioca nel Pogoń Szczecin, in Polonia. Il suo carrer-high risale all’annata 2010/2011, 13 gol col Cska Sofia. Non aveva mai segnato in nazionale.

Bulgaria-Olanda 2-0

Henk Spaan, direttore di Hardgras rivista sportiva di punta nei Paesi Bassi -, ha provato a spiegare cosa non funziona nel sistema olandese: «Non abbiamo più i calciatori di una volta, ma sono ancora convinto che il nostro settore giovanile sia tra i migliori a livello continentale. Lo sviluppo dei ragazzi dai 10 ai 18 anni è incredibilmente buono, però poi qualcosa va storto nella fase successiva, tra i 18 e i 21 anni. Probabilmente, i nostri allenatori non sono in grado di trasformare alcuni tra i più grandi talenti d’Europa in stelle di primo livello». I risultati di questi ultimi anni e la carriera interlocutoria o incompiuta disegnata dai campioni Under 17 2011/2012 confermano che queste parole sono imbevute di realismo. Gertjan Verbeek, oggi alla guida del Bochum ed ex di Feyenoord ed Az Alkmaar, è ancora più severo e laconico: «La scuola olandese non esiste più». Anche le sue parole fanno riferimento agli allenatori.

La quote di Verbeek è utilizzata in un pezzo pubblicato da Undici un anno e mezzo fa, durante le fallimentari qualificazioni europee. Il tecnico di Deventer, splendida cittadina dell’Overijssel che ha dato i natali anche a Bert van Marwijk – il ct olandese vice-Campione del Mondo a Sudafrica 2010 – ha spiegato che questa mancanza di evoluzione tattica è l’inevitabile risultato di un tempo in cui «la nostalgia e il pregiudizio della Federcalcio hanno preso il sopravvento su strategia, pianificazione, logica e competenza». Alec Cordolcini, autore del testo, scrive che «la crisi non è tanto tecnica, quanto progettuale», e che l’intero movimento è caratterizzato da una «retromania tipica della nostra epoca».

Sweden v Netherlands - 2018 FIFA World Cup Qualifier

Il voetbal, dunque, vive essenzialmente di ricordi. Di un passato che oggi non può più esistere, in campo come per la gestione economico-sportiva di club e federazione. Il primo livello è quello tattico, riguarda le basi del gioco, proprio quel luogo ideale in cui le idee provenienti dai Paesi Bassi hanno rappresentato il primo input per lo sviluppo del calcio moderno. David Winner, in una lunga analisi su FourFourTwo, ha scritto dell’obsolescenza della proposta olandese, di come gli allievi europei siano stati in grado di superare gli innovatori del vecchio Calcio Totale. Anzi, di doppiarli e ridoppiarli: «Oggi molti tecnici utilizzano ancora elementi tipici dello stile olandese, però adattati alla nostro generazione. Il gioco è cambiato, ma nei Paesi Bassi pare non se ne siano accorti; alcuni contratti tra allenatori e club della Eredivisie hanno delle clausole che impongono il rispetto dei vecchi principi tattici.

Parliamo del 4-3-3, dell’utilizzo di due ali larghe e molto offensive, del possesso palla. Sistemi superati dall’evoluzione dei terzini e dal gioco posizionale, ad esempio quello del Bayern e del Barcellona. La costruzione della manovra è lenta, c’è assenza di ritmo e quindi di rischi. È un contesto completamente diverso rispetto al tiqui-taca o alla sua variante tedesca, discendenti diretti di quel total voetbal che è stato inventato proprio qui da noi. Ma che oggi è come un cordone ombelicale, e ha letteralmente atrofizzato il calcio olandese».

Olanda-Repubblica Ceca 2-3: la notte in cui gli Oranje hanno perso matematicamente gli Europei 2016

Michiel de Hoog ha costruito sul De Corrispondent una vera e propria letteratura di articoli sul “ritardo tattico” del movimento olandese. I titoli sono autoevidenti, come ad esempio “Le quattro lezioni che i Paesi Bassi potrebbero trarre dal calcio tedesco“; oppure “Dovete perdere la palla, altrimenti non si può segnare“. Il secondo pezzo analizza quel possesso palla che ancora oggi è una specie di dogma nei Paesi Bassi, c’è un confronto generazionale con il Gegenpressing tedesco. La parte finale del testo è costruita intorno a una quote di Pepijn Lijnders, assistente di Klopp al Liverpool: «In realtà, l’idea della pressione alta per recuperare velocemente il pallone l’abbiamo inventata noi, con l’Arancia Meccanica ai Mondiali del 1974. Solo che poi abbiamo dimenticato tutto». Pepijn Lijnders è nato a Venray, comune olandese a metà tra Duisburg e Eindhoven: è un altro esponente dell’autonarrazione distruttiva del settore tecnico olandese.

Il pezzo più completo di Michiel de Hoog è però un altro, perché le argomentazioni sono corredate da statistiche approfondite, perché la Eredivisie viene praticamente vivisezionata dal punto di vista numerico e tattico. E poi perché la penna diventa ispiratissima, dipinge letteralmente il voetbal attraverso frasi e termini suggestivi, come ad esempio «Noi siamo i panda del calcio europeo» oppure «Siamo sovrani in campo neutro». Il corpo del testo, la parte che spiega come si gioca in Erediviise, si compone così: «Il possesso delle squadre olandesi è assolutamente innocuo. Perché noi abbiamo la palla, ma non la giochiamo verso la metà campo avversaria, la facciamo ruotare tra difesa e centrocampo. È la nostra cultura, mentre l’idea radicata nel calcio europeo è quella di ricercare la profondità. Siamo svogliati, non c’è movimento, la nostra è un’eccitazione gratuita. Le squadre olandesi praticano un calcio di buona qualità tecnica, cercano a tutti i costi la costruzione dell’azione, ma questo finisce per essere un processo senza il risultato fattivo: il gol».

Dutch national players Matthijs de Ligt, Rick Karsdorp and Bas Dost practice during a training session ahead of the friendly football match Netherland vs Italy in Alkmaar, on March 27, 2017. / AFP PHOTO / ANP / Koen van Weel / Netherlands OUT (Photo credit should read KOEN VAN WEEL/AFP/Getty Images)

I dati a supporto di questa tesi: in Cambuur-Feyenoord, Eredivisie 2014/2015, il 67% dei passaggi riusciti nel primo tempo sono stati effettuati tra portiere e difensore; la posizione media in campo dei passaggi dell’intero campionato olandese si attesta intorno ai 54 metri. È il dato più basso d’Europa, inferiore anche al Brasileirão e alla Mls. Negli altri tornei, la media è superiore ai 56 metri. «Due metri possono sembrare una differenza minima, ma la differenza relativa è enorme», scrive de Hoog. Che, pure in questo caso, sceglie un titolo forte: “Questo è il motivo per cui il calcio olandese rappresenta così poco (e la Nazionale gioca così male)”.

Un’analisi video del possesso palla dell’Ajax di de Boer, montata su una base karaoke di Viva la vida dei Coldplay

Nel video appena sopra, esplicativo perché mostra la miglior squadra d’Olanda nella sua essenza di gioco, ci sono pezzi di partita tratti dall’Eredivisie. La sensazione, guardando e riguardando le azioni, è quella della facilità assoluta nella ricerca del gol. Si percepisce che all’Ajax basta accelerare per aprirsi gli spazi giusti, il pressing avversario non esiste se non nella zona a ridosso della loro area di rigore, il possesso lento e gli scambi ripetuti – di palla e posizione – sono agevolati, quasi assecondati. È l’espressione sul campo di un torneo in cui la mancata evoluzione tattica, legata come detto a una mentalità storica, definitiva e inviolabile, viaggia accanto a un inesistente upgrade strutturale. Le due cose, invero, si influenzano reciprocamente, compromettendo di fatto la competitività e la forza d’attrazione dell’intero movimento. Che, quindi, fa ancora più fatica ad assorbire il secondo livello della crisi, quello legato a dinamiche economiche e gestionali.

In un pezzo pubblicato su Undici a dicembre 2015, Alec Cordolcini spiega che «a parte lo stesso Jean-Marc Bosman, è noto come la principale vittima della famosa sentenza emessa dalla Corte Europea di Giustizia il 15 dicembre 1995 sia stata proprio l’Ajax, società simbolo di tutte quelle realtà calcistiche che sopperivano al gap economico con le big attraverso lo sviluppo e la valorizzazione di talenti». Questo concetto è espandibile a tutta la Eredivisie, ma il problema è anche indotto: la gestione finanziaria della Federcalcio olandese viene ritenuta penalizzante dagli analisti di economia sportiva perché troppo restrittiva nei confronti delle società.

Dutch national soccer team head coach Danny Blind arrives at Schiphol Airport in Amsterdam on March 26, 2017 a day after the FIFA World Cup 2018 qualifying group A football match between Bulgaria and the Netherlands in Sofia. / AFP PHOTO / ANP / Robin van Lonkhuijsen / Netherlands OUT (Photo credit should read ROBIN VAN LONKHUIJSEN/AFP/Getty Images)

Nel libro “The Organisation and Governance of Top Football Across Europe“, il capitolo dedicato al campionato dei Paesi Bassi è estremamente dettagliato: «La Federazione olandese (KNVB), nel 2010, ha deciso di aumentare la pressione economica sui club professionistici. Prima di questo provvedimento, i bilanci venivano integrati con l’inserimento del valore potenziale di trasferimento di un calciatore, una strategia azzardata che paga solo in caso di rendimento positivo, della squadra e del singolo giocatore. Che però, al tempo stesso, permetteva di investire qualcosa in più soprattutto nel monte stipendi. La supervisione della Knvb, attraverso un irrigidimento nell’iter per la concessione delle licenze, si è posta come obiettivo il risanamento dei conti e l’abbassamento dei costi strutturali. Evitare questo tipo di rischi, quindi, è diventato fondamentale per la sopravvivenza di tutti i club».

Il risultato economico è assolutamente positivo: il salario medio della Eredivisie è effettivamente sceso dai 355mila euro annui del 2010 ai 266mila dell’edizione 2015/2016. Dal punto di vista sportivo, però, questo aumento delle restrizioni ha ulteriormente compromesso la competitività sul mercato dei club olandesi, in entrata come in uscita. Il dato più significativo, che fotografa perfettamente il rapporto con gli altri tornei europei, è quello dello stipendio medio nella nostra Serie A: 1,3 milioni di euro. Cinque volte quello del massimo torneo olandese. La quote più eloquente, che spiega al meglio le conseguenze di questo tipo di gestione, è di Henk Ten Cate (secondo di Rijkaard a Barcellona ed ex tecnico di Ajax, Sparta Rotterdam e Panathinaikos): «Una volta i top club facevano la fila per i nostri gioielli. Oggi Clasie gioca nel Southampton e De Vrij è alla Lazio».

Vincent Janssen, video skills della stagione 2015/2016. È stato nominato Voetbal Talent van het Jaar dell’ultima Eredivisie

Il titolo di un racconto ambientato nella Eredivisie del nostro tempo potrebbe essere “La fuga obbligata del talento”. È una situazione che leggi nei fatti, nei numeri: due dei tre calciatori sul podio dei cannonieri 2015/2016, Vincent Janssen e Arkadiusz Milik, sono finiti all’estero poche settimane dopo la fine del torneo; i diciotto club dell’organico 2016/2017, nelle ultime due sessioni di mercato, hanno speso 53 milioni per incassarne 166. con 113 milioni di guadagno netto (fonte Trasnfermarkt); il Feyenoord, la sola squadra in rosso dell’intero lotto, si è esposta per soli 900mila euro.

In un pezzo pubblicato su Squawka, Elko Nato parte proprio da questi concetti chiave per spiegare il fallimento dell’ultima generazione calcistica: «È un circolo vizioso: come è sempre accaduto negli ultimi trent’anni, i migliori prospetti lasciano i Paesi Bassi per guadagnare di più all’estero. Di conseguenza i club olandesi non riescono a essere competitivi su scala internazionale, e i calciatori sono spinti ad abbandonare l’Eredivisie ad un’età relativamente giovane. Per questo, la loro carriera nei tornei stranieri necessiterà di più step intermedi per raggiungere i top club, con un maggior rischio di bruciare il talento». L’articolo, scritto nell’estate del 2015, citava in questo senso esempi come Ousmane Bouy, Oussama Assaidi, Vurnon Anita e Siem de Jong; Memphis Depay, invece, veniva identificato come «successore di Wesley Sneijder, Arjen Robben e Robin van Persie in un percorso diretto dalla Eredivisie ai grandi club». L’autore del testo non poteva prevedere che l’ex Psv sarebbe entrato nello stesso, identico circolo vizioso.

Netherlands v Czech Republic - UEFA EURO 2016 Qualifier

Nell’ultima parte del pezzo, si parla delle conseguenze a lungo termine di questa serie di dinamiche. C’è una parte riferita alla Nazionale olandese: «I calciatori che hanno rappresentato l’Olanda durante l’ultima Coppa del Mondo forniscono un caso di studio interessante. In Brasile, la squadra Oranje si componeva di due gruppi: i veterani, come Robin van Persie, Dirk Kuijt e Arjen Robben, e i giovani, come Stefan de Vrij e Bruno Martins Indi. Le differenze generazionali sono evidenti: mentre il primo gruppo aveva accumulato tantissima esperienza in campionati come la Premier League e la Bundesliga, i calciatori del secondo gruppo avevano un pedigree misero, quasi indegno rispetto a quello dei loro compagni». È il resoconto di una crisi generazionale del talento che, come scritto da Simon Kuper, «è destinata a ripetersi ciclicamente per un paese da 16 milioni di abitanti»; ma è anche un racconto figlio di una gestione miope e non aderente alle dinamiche economiche e sportive del nostro tempo.

L’Olanda che questa sera affronterà l’Italia è una squadra figlia di questi equivoci storici. Da poche ore non ha più un selezionatore: Danny Blind è stato esonerato dopo 7 vittorie, 3 pareggi e 7 sconfitte in 17 match sulla panchina Oranje. Michiel Jongsma, editor di BeNeFoot.ne, ha parlato così al Guardian della scelta della Knvb: «Questa situazione vive su due ordini di problemi: da una parte ci sono i rischi che Blind si è assunto durante la sua avventura da commissario tecnico, come ad esempio il lancio in prima squadra di Matthijs de Ligt in un match delicato come quello contro la Bulgaria. Una scelta diversa, un calciatore con più esperienza, anche se meno dotato dal punto di vista tecnico, penso a Ron Vlaar, avrebbe potuto offrire maggiori garanzie».

Netherlands v Czech Republic - UEFA EURO 2016 Qualifier

Digressione necessaria: de Ligt è il più giovane esordiente in nazionale del dopoguerra, 17enne difensore centrale dell’Ajax con 267′ in Eredivisie e 360′ in Europa League. Anche per Jongsma, ovviamente, il punto focale non è l’utilizzo di un calciatore così giovane, ma il senso di questa scelta nell’attuale scenario del movimento: «È un po’ triste che un ragazzino sia diventato il simbolo del fallimento di un tecnico. Anche perché l’altro ordine di problemi riguarda la percezione del Blind selezionatore: mai prima d’ora un allenatore della Nazionale era stato tanto criticato e osteggiato dall’opinione pubblica olandese. La realtà, però, è ben diversa: il calcio dei Paesi Bassi vive un’assoluta carestia di allenatori di talento. Che ricade anche sui calciatori, perché molti di loro non sono abituati al calcio internazionale».

De Ligt non sarebbe neanche tanto male, in prospettiva

La sensazione, riguardando i video e rileggendo le quotes di questa analisi, è quella dell’avvitamento su sé stessi. Da una parte c’è una difficoltà reale nello scovare e nel costruire nuovi talenti – come scritto anche da David Winner su FourFourTwo: «L’Olanda ha smesso di produrre geni del pallone. Ora crea solo buoni giocatori» -. Dall’altra, però, c’è anche «la tendenza alla pigrizia di un sistema calcistico che ha smesso di pensare, di rinnovarsi» (Simon Kuper, su Espnfc). La sintesi perfetta di questa duplice percezione sta nell’ipotesi e nel giudizio di Alec Cordolcini, che nel suo pezzo “La scomparsa dell’Olanda” ha schierato un possibile undici Oranje per il prossimo Mondiale: Cillessen; Tete (Karsdorp), De Vrij, Riedewald, Willems; Klaassen, Blind (Bazoer), Strootman (Wijnaldum); El Ghazi, Luuk de Jong, Depay. Poi scrive: «Ci sono nazionali messe peggio». A questi nomi è realistico aggiungere altri Under 23 di buona qualità: Vincent Janssen, Tonny Vilhena, Terence Kongolo, Bart Ramselaar. Sì, effettivamente esistono nazionali messe peggio. E in più c’è De Ligt, che rappresenta l’esperienza più fresca e futuribile. E in pratica ricrea la speranza dei due trionfi europei dell’Under 17, anni 2011 e 2012. Quando la promessa del futuro si è cristallizzata.

L’Olanda ha quasi bruciato quella generazione, ora sembra decisa a costruire diversamente il suo futuro. A provarci, almeno. Secondo il De Telegraaf, Louis Van Gaal «potrebbe aiutare Hans van Breukelen, direttore tecnico della Knvb, nella scelta del nuovo allenatore della Nazionale». Ma il tentativo non si ferma qui: dal 2014 si discute di un piano federale di ristrutturazione dell’intero sistema calcistico, basato sulla formazione dei tecnici e sull’upgrade dei settori giovanili. Il progetto ha preso il nome di “Hollandse School 2.0“. Potrebbe essere la «rivoluzione costante» invocata da Simon Kuper per provare quantomeno a ridurre il gap con i movimenti più ricchi e sviluppati. Nelle sue parole è disegnata una speranza: «Oggi gli olandesi hanno bisogno di guardare soprattutto alla Germania, il paese in cui è stato inventato il calcio di nuova generazione». L’Olanda del total voetbal che guarda gli odiati vicini tedeschi. C’è stato un tempo in cui nessuno credeva che sarebbe finita così. È solo che in realtà non era abbastanza recente per essere davvero attuale, è un tempo finito perché il calcio va veloce. Per capirlo, forse, non è ancora troppo tardi.