L’Udinese con Sánchez, Cuadrado e Muriel là davanti. Il Palermo deluxe di Cavani, Dybala e Pastore. Bonucci, Lavezzi e Milito al Genoa. Tra i malati di pallone ultimamente va di moda un divertissement: immaginare le formazioni delle squadre se non avessero venduto i loro campioni. Il giochino è divenuto quasi un genere giornalistico a sé e può essere esportato anche ad altre latitudini. Cosa ne pensereste, ad esempio, di una squadra composta da Alex Sandro, Allan, Calleri e Willian José? Perché ci sono loro e molti altri nell’undici ideale del Club Deportivo Maldonado.
Fondato nel 1928, è la squadra della principale città del Dipartimento di Maldonado nel sud-est dell’Uruguay. A fidarsi di Wikipedia, qui transitarono Giuseppe Garibaldi in fuga dal Brasile e Charles Darwin, che si concesse un periodo di studio e relax nei locali che oggi appartengono a uno snack-bar. La società, una polisportiva, milita nella seconda serie nazionale, dove debuttò per la prima volta nel 1995 e in cui è ritornata nel 2004 dopo sei anni tra le grandi. La nuova stagione del Deportivo Maldonado doveva partire agli inizi di aprile, ma la prima giornata è stata rinviata perché le società del campionato celeste ancora aspettano i soldi dei diritti tv dell’anno precedente. Il clima non è dei migliori e persino la firma per il Central Español del Loco Abreu, che va per i 41 e ha prestato servizio presso 23 squadre in carriera, è stata accolta con immeritata freddezza.
Il Deportivo Maldonado affronta la competizione con un gruppo in larga parte fatto in casa. Ci sono Brian Posse Hernandez, Walter Horacio Peralta Saracio e Bruno Henrique Turco. Perfetti sconosciuti, a differenza dei colleghi che negli ultimi anni da qui sono passati. Senza vestire la maglietta rossoverde nemmeno per un minuto. Il più celebre è Alex Sandro. Nel 2010 l’esterno sinistro della Juventus, allora diciannovenne, fu acquistato dall’Atletico Paranaense per due milioni e mandato per una stagione in prestito al Santos. Definitivamente esploso, passava al Porto, che staccava un assegno da quasi dieci milioni di euro alla società uruguaiana. C’è poi Allan, oggi al Napoli. Preso nel 2011, fu mandato in prestito al Vasco da Gama e poi ceduto al Granada con una plusvalenza di quasi 2 milioni e mezzo. Il club è tornato a fare affari con la famiglia Pozzo nel 2014, quando ha girato all’Udinese il difensore paraguaiano Ivan Piris.
L’ex Fiorentina Hernan Toledo fu invece scovato al Lanus e oggi è tornato in patria al Lanus. E ancora un’altra conoscenza del nostro calcio: Marcelo Estigarribia, che fu comprato nel 2011 e che da allora, tra Juventus, Sampdoria, Chievo e il Chiapas, è stato spedito in prestito sei volte senza mai giocare per la squadra che detiene il suo cartellino. C’è poi il caso di Willian José da Silva, venticinquenne attaccante brasiliano. Autore di una buona stagione con la Real Sociedad, che lo ha pagato sei volte tanto il milione sborsato nel 2011 dal club uruguaiano, aveva a sua volta girovagato in prestito tra sei diverse società in passato. Tra queste anche il Real Madrid, con cui ha fatto il suo esordio in Liga nel 2014. Suo compagno di squadra a San Sebastián è il portiere argentino Geronimo Rulli, che il Deportivo si assicurò nel 2014 per 800 mila euro e che firmò per il City prima di raggiungere la Spagna.
Non tutte le operazioni vanno a buon fine: sei anni fa il club spese 2 milioni di euro per l’estroso Zezinho della Juventude, ma il ragazzo si è perso e l’investimento non sarà recuperato. Non ha avuto sin qua grande fortuna nemmeno l’attaccante paraguaiano Brian Montenegro. Lui nel Deportivo Maldonado giocò per davvero: 12 minuti in tutto. Finì giovanissimo in prestito al West Ham, ma non si ambientò e oggi è tornato in patria. Gli Hammers hanno un ruolo tutt’altro che secondario in questa vicenda. Nell’East End londinese oggi è sbarcato Jonathan Calleri. Un anno fa il 23enne attaccante, allora al Boca Juniors, sembrava a un passo dall’Inter, invece preferì la B uruguaiana. Lo schema si ripeteva: Calleri andava in prestito al Santos e da lì in Inghilterra.
Il Deportivo Maldonado, però, questa volta ha alzato troppo il tiro. Calleri è uno dei prospetti più interessanti dell’Argentina, con cui ha disputato le ultime Olimpiadi, ed è stato pagato la bellezza di 11 milioni di euro. Come è possibile che una sconosciuta società uruguaiana, che secondo i dati di Transfermarkt nelle ultime stagioni ha avuto una media di 300 spettatori a partita, metta le mani su un pezzo così pregiato? Il Guardian, seguito da altri quotidiani, iniziava a indagare. Andava a ripescare un articolo apparso su Bloomberg nel 2014 e spiegava perché il Deportivo Maldonado non fosse un club come tutti gli altri.
Dal 2004, anno in cui terminò l’esperienza nella Primera División, il club precipitò in una crisi economica apparentemente irreversibile. Il fallimento era una prospettiva concreta. Nel 2010 la salvezza arrivava per mano di un gruppo inglese. La presidenza fu affidata a Malcolm Caine, imprenditore residente nel Principato e grande appassionato di cavalli da corsa, affiancato da Graham Shear. Avvocato legato al prestigioso studio londinese Berwin Leighton Paisner, in passato aveva rappresentato gli interessi di Media Sports Investments, il fondo creato da Kia Joorabchian che aveva creato un putiferio nel mondo del calcio con la cessione di Carlos Tévez al West Ham. La Premier League scopriva l’esistenza e il modus operandi delle Third Part Ownership (Tpo), soggetti terzi che finanziano operazioni di mercato ed entrano in possesso di diritti e percentuali sulla futura vendita di un calciatore. Sarebbe coinvolto nel progetto anche Jonathan Barnett, finanziatore del Deportivo Maldonado tramite la sua società Stellar. Agente sportivo britannico, è l’uomo che ha orchestrato il milionario trasferimento di Gareth Bale al Real Madrid. Tra gli advisor del club, riporta il quotidiano La Nación, figurava anche Gustavo Arribas, proprietario di un ricco fondo di investimento e oggi capo dei servizi segreti argentini.
Profili alti, del tutto incompatibili con il livello della competizione. A questo gruppo, già protagonista di alcuni dei casi di calciomercato più opachi degli ultimi anni, si deve l’intuizione del Deportivo Maldonado. Un grande gioco delle tre carte tra i continenti, capace di aggirare norme e regolamenti e massimizzare i profitti con rischi contenuti. Il club uruguaiano è una società calcistica off-shore e funge da appoggio e ponte per i trasferimenti dei talenti sudamericani in Europa. Gli atleti sono acquisiti dal campionato argentino piuttosto che da quello brasiliano e sono parcheggiati in Uruguay, dove le tasse sono molto basse per le società anonime. Infine sono rivenduti a una cifra superiore al prezzo di acquisto oppure mandati in prestito per fare lievitare il valore. Grazie a questo stratagemma i procuratori e le società beneficiano di un regime agevolato. Tre anni fa circa Montevideo, sotto pressione da più parti, ha alzato le imposte sulle compravendite dei calciatori dal 4 al 12,5%. In Argentina le aliquote oggi sono tra il 24 e il 35%.
Dalle parti di Buenos Aires, inoltre, le maglie sono decisamente più strette: negli anni passati club come Central Cordoba, Independiente, Racing e Rosario Central sono stati multati per aver agevolato il trasferimento all’estero di calciatori mai inseriti nella rosa. Il Deportivo Maldonado per ora rimane impunito, nonostante sia marcato da anni dalla Fifa. Ma la sua architettura è sofisticata, geniale, e a Zurigo non hanno ancora trovato il modo per sanzionare la società. Tutto avviene sul crinale del regolamento, secondo cui a ciascun giocatore è concesso di essere tesserato per tre società nel corso della stagione. Già dal 2007, dopo che la Premier League aveva sollevato la questione, la Fifa aveva provato a mettere fuori legge le Third Part Ownership e a ostacolare l’ingerenza di società di capitali e agenti nelle trattative. Il provvedimento, emanato negli anni successivi e più volte modificato, non ha però risolto il problema. I margini per aggirare le norme rimangono e sono perlustrati ogni giorno da decine di spregiudicati professionisti, nonostante il Tas di Losanna negli scorsi giorni abbia riconosciuto la validità del divieto Fifa sulle Tpo sulla base delle leggi europee.
A fare scoppiare il bubbone fu il caso Tévez, che risale al 2006. Dopo i Mondiali tedeschi l’Apache e Javier Mascherano, connazionali e compagni di squadra, furono ceduti al West Ham dal Corinthians, che pare fosse all’oscuro del trasferimento. La quota di maggioranza dei due cartellini, così come di altri calciatori del Timao, apparteneva a Kia Joorabchian e alla sua creatura Msi, sede legale alle Isole Vergini. Il club paulista era in crisi da tempo e il fondo di investimento, sui cui reali finanziatori si è speculato per anni, corse in soccorso: in cambio dei soldi per risanare le casse, fece firmare al Corinthians un accordo sui diritti economici dei principali calciatori. Operano così le Tpo: individuano una società in difficoltà, non poche in Sud America, la rimettono in sesto e finiscono per disporne a proprio piacimento. La vicenda andò a finire male, con gli stracci che volarono tra Kia e la dirigenza del club, e le barricate della Federcalcio inglese per bloccare il contagio da parte dei fondi. Secondo il regolamento federale il cartellino di un giocatore deve appartenere a lui stesso oppure a un club, non ad altri. Il West Ham, multato per 8 milioni di euro, quell’anno si salvò all’ultimo.
Le triangolazioni sono una passione irrefrenabile per la società londinese, oggi di proprietà dell’ex re del porno britannico David Sullivan. Lo dimostrano i recenti casi di Montenegro e Calleri dal Deportivo Maldonado: un inganno con cui dribblare la legge, quasi sempre costretta a inseguire, si trova sempre. Le modalità di azione delle Tpo sono differenti a seconda del contesto. A volte le compravendite di giocatori avvengono tramite fondi, a volte singoli agenti diventano proprietari di parte del cartellino di un giocatore. Il business è stato intuito per tempo dai grandi dominus del calciomercato. Oltre a Kia, che avrebbe incassato quote anche dal trasferimento dalla Russia alla Premier del brasiliano Jo, e al suo socio Pini Zahavi, che aveva nella sua scuderia l’ex Chelsea Ramires e molti altri, c’è Jorge Mendes, corrisposto dal Porto per il contributo dato all’acquisto di Anderson dal Gremio.
Allo stesso tempo la pratica delle società ponte, sul modello del Deportivo Maldonado, non è mai stata abbandonata. In passato fu aperta un’inchiesta sul trasferimento dal Boca alla Fiorentina di Facundo Roncaglia, transitato per gli uruguaiani del Fenix. Osvaldo invece arrivò al Porto per tramite dell’Institucion Atletica Sud America. Clamorosa fu la cessione del 50% del cartellino di Gonzalo Higuaín al Locarno, vicino al solito Zahavi. Parte delle tasse argentine così furono bypassate, subito prima di vestire il Pipita con la camiseta blanca del Real Madrid. In quell’estate del 2007 il club elvetico, allora in seconda serie, acquisì da un River Plate alla canna del gas anche parte dei cartellini di Fernando Belluschi, Augusto Fernández, oggi all’Atlético, Mateo Musacchio e dell’ex Samp Juan Ignacio Antonio. In Canton Ticino, come nel sud dell’Uruguay, ci si diverte un mondo con gli undici ideali mai scesi in campo.