La notte di Higuaín

La finale di Champions come bivio della carriera, dopo una stagione in cui, partita dopo partita, il Pipita ha accresciuto il suo peso in squadra.

Quando, lo scorso 26 luglio, la Juventus esercitò la clausola rescissoria da 90 milioni di euro per acquistare Gonzalo Higuaín dal Napoli, la candidatura a legittima pretendente al trono d’Europa fu giustificata da un assunto fin troppo superficiale: se alla squadra pentacampione d’Italia veniva data la possibilità di schierare l’uomo dei 36 gol in campionato, l’approdo alla finalissima di Cardiff doveva rappresentare poco più di una formalità. Del resto, come scriveva Tom Adams su Eurosport, «la Juventus sarà uno dei migliori club in Europa la prossima stagione e potrebbe realmente competere per assicurarsi il suo primo trofeo dal 1996».

Il fatto che i bianconeri siano effettivamente giunti all’appuntamento del 3 giugno per contendere la coppa al Real Madrid non può comunque considerarsi la dimostrazione del teorema estivo, soprattutto in considerazione dell’effettivo apporto del Pipita in Champions League: cinque le reti in 11 presenze, di cui tre nella fase a gironi (due al fanalino di coda Dinamo Zagabria e una, su rigore, al Lione nell’1-1 dello Stadium) e due al Monaco nella semifinale d’andata, interrompendo un digiuno nella fase ad eliminazione diretta che durava addirittura dal 2013, per uno score complessivo di quattro gol in 26 presenze nei knockout games. Numeri non proprio in linea con le aspettative, soprattutto se confrontati con quelli di un Cristiano Ronaldo che, oltre ad aver sfondato il numero delle 100 reti nella massima competizione continentale, è andato a segno nella stessa 10 volte (in 12 apparizioni), di cui otto tra quarti e semifinali contro Bayern Monaco e Atlético Madrid. Per il portoghese sarà la finale numero 23, con una percentuale di vittorie del 68% (tre su quattro in Champions: in rete sia a Mosca che a Lisbona, oltre al rigore decisivo dell’anno scorso a Milano).

Tutti i gol di Higuaín nel suo primo anno in bianconero

Dal punto di vista realizzativo, la stagione dell’argentino è stata eccellente: 32 gol (eguagliando il record Del Piero e Trezeguet per numero di reti in una singola stagione e a meno sei dal suo primato personale di 38), di cui 24 in campionato (60 nelle ultime 73 gare di Serie A, primo juventino dai tempi di Sivori e Charles a segnare più di 20 volte nel primo campionato in maglia bianconera) e tre in Coppa Italia, tutti nel doppio confronto con il Napoli (il bilancio contro la sua ex squadra racconta di quattro gol in altrettanti incontri), oltre ad essere andato a bersaglio in alcune delle sfide storicamente più delicate per la Vecchia Signora, come quelle contro Fiorentina, Torino, Roma e Lazio.

Eppure la sensazione diffusa è che solo entrando nel tabellino dei marcatori della finale in terra gallese potrà essere dato un senso compiuto a questi primi dieci mesi sotto la Mole. Mark Doyle lo ribadì fin da subito su Goal.com: «Si tratta di un investimento colossale per un ventottenne che ha la fama di fallire nelle partite importanti, ma se Higuain condurrà la Juventus alla gloria in Champions League sarà stato denaro ben speso». La spiegazione è molto semplice: se la Juventus aveva già dimostrato di poter vincere in Italia senza Higuaín, con il suo arrivo l’asticella veniva inevitabilmente alzata verso l’alto in direzione Europa. Questo al netto delle fisiologiche difficoltà di inserimento di un giocatore che, da accentratore e finalizzatore ideale del calcio offensivo di Maurizio Sarri, ha dovuto mettere le sue qualità al servizio del collettivo di Massimiliano Allegri, in un sistema di gioco meno tracimante ma più equilibrato.

La stagione dei record con il Napoli

Si può dire, in un certo senso, che il rendimento personale di Higuaín sia lo specchio ideale della stagione della Juventus, sia per le incertezze iniziali che per il deciso cambio di rotta (e di modulo) imposto da gennaio in poi. L’ottimo inizio da sette reti nelle prime dieci partite di campionato (che diventano otto in 14, considerando anche le coppe) non basta a nascondere le difficoltà bianconere della prima parte dell’annata, con Allegri alla ricerca di un modo per far rendere al meglio i nuovi arrivati mantenendo inalterati gli equilibri e i movimenti del 3-5-2. In questa fase il Pipita, in assenza di una fluidità di manovra che ne esalti le caratteristiche (nel ko di San Siro contro il Milan non riuscirà nemmeno una volta a concludere verso la porta, attestandosi al minimo storico di 2.25 tiri di media a partita), deve fare di necessità virtù, perfezionandosi nella nobile arte dello “one shot one kill” e capitalizzando al massimo ogni singolo pallone che riesce ad indirizzare verso lo specchio avversario, con una shot accuracy complessiva di poco sotto il 58% (una statistica in linea con i parametri registrati nei mesi successivi, fino all’attuale 54% ): le reti contro Napoli, Torino e, soprattutto, Roma rappresentano, contemporaneamente, l’importanza di avere a disposizione un giocatore del genere quando nell’economia di squadra qualcosa non funziona e il rammarico per non riuscire a sfruttarne al massimo le capacità.

Nella rete dell’1-0 alla Roma c’è tutto il meglio di Gonzalo Higuaín: la strapotenza fisica nel resistere alla carica di De Rossi, la tecnica nella fase preparatoria della conclusione, la facilità di calcio con entrambi i piedi: è un gol fondamentale che vale il primo allungo stagionale della Juventus in campionato

Appare comunque evidente che Higuaín, centravanti moderno che si esalta nella ricerca dello spazio da attaccare tanto in ampiezza quanto in profondità, non si trovi a suo agio in un 3-5-2 dai movimenti di squadra fissi e codificati, non essendo abituato a dividere con un compagno (che si tratti del tandem “pesante” con Mandzukic o di quello più “classico” con Dybala, cambia poco) gli ultimi venti metri di campo. La sua è una crisi di rigetto che coinvolge l’intera squadra e che culmina nella sconfitta di Firenze (nella quale Higuaín va comunque a segno), costringendo Allegri ad anticipare il cambio di modulo che meditava da tempo: si torna ad una difesa a quattro che non ha paura di affrontare le transizioni avversarie in condizione di parità/inferiorità numerica, Pjanic e Khedira chiamati a tenere il baricentro alto e ad innescare il quartetto offensivo, con i due argentini liberi di cercarsi la posizione più congeniale sincronizzando i rispettivi movimenti. Rimesso al centro dell’attacco con piena libertà d’azione, il Pipita e la Juve si ritrovano: cinque gol nella serie di sei vittorie consecutive (sei su sette, considerando il recupero con il Crotone) tra fine gennaio e inizio marzo e un contributo determinante in fase di sviluppo della manovra (chiuderà la stagione con tre assist e 43 passaggi chiave), aiutando la risalita del campo nei momenti di massima pressione avversaria ed aprendo spazi invitanti e alternativamente sfruttati da Dybala e Khedira.

Nella vittoriosa trasferta di Cagliari i tifosi della Juventus si rendono conto di cosa significhi davvero avere Gonzalo Higuaín in squadra: una capacità unica di dettare il passaggio per il taglio in profondità alle spalle del diretto marcatore, mantenendo la necessaria lucidità per battere il portiere in uscita

È il momento della stagione in cui i dubbi iniziali sull’effettivo impatto del franco-argentino vengono spazzati via gara dopo gara, fino all’escalation dei 12 gol in 12 partite fatta registrare il 14 febbraio. In quest’articolo di Bleacherreport Adam Digby sottolinea come «anche in incontri difficili disputati davanti ad un pubblico ostile, i bianconeri giocano con la libertà e la spensieratezza derivanti dalla consapevolezza che al numero 9 basti il minimo spazio per decidere». Con il diretto interessato che conferma la bontà dell’intuizione allegriana: «Questo nuovo sistema permette a tutti noi di esprimerci al meglio delle nostre possibilità. Allegri ha dimostrato coraggio, mostrandoci che era possibile giocare in modo diverso. Mi sento benissimo ed è tutto più facile quando i tuoi compagni lavorano duramente come nell’ultimo periodo. Adesso dobbiamo proseguire su questa strada e seguire la nostra nuova predisposizione a creare il maggior numero possibile di occasioni da rete».

Si materializza, così, quell’evoluzione sul modo di essere centravanti della Juventus, in un ideale passaggio di consegne con quel David Trezeguet di cui Higuaín è la trasposizione nel calcio degli anni 2010: non più (solo) animale d’area di rigore, ma anche facilitatore della manovra con sponde, tocchi (il gol decisivo di Cuadrado a Lione nasce da un suo cambio campo a tutta gamba) e movimenti a portare via i centrali avversari, uomo a tutto campo sul primo pressing e nei ripiegamenti (in stagione siamo a 10 intercetti e 14 recuperi: nono attaccante della Champions League per azioni difensive di media a gara, oltre che top 30 in Serie A nella specialità), spauracchio da agitare contro le difese avversarie anche nelle giornate in cui qualche granello di sabbia sembra infilarsi nell’ormai rodato meccanismo del 4-2-3-1. Come nel derby di ritorno allo Stadium, in cui gli basta la mezz’ora finale per lasciare il segno:

Movimento ad uscire per non intasare l’area, corsa in parallelo per facilitarsi il controllo, torsione perfetta per imprimere forza e precisione al pallone incrociato con il destro: per il Toro l’ennesima beffa nel recupero di un derby, per la Juve un punto che sa di scudetto

Tenendo conto della perenne spada di Damocle di doversi continuamente dimostrare all’altezza dell’investimento, oltre che della quantità e del peso specifico di ogni singolo gol e dell’oggettiva irripetibilità di un campionato con più reti che partite giocate, il giudizio sulla prima stagione juventina di Higuaín non può che essere positivo: ha vinto, ha segnato tanto e fatto segnare altrettanto, mettendosi completamente al servizio della squadra e sposando in toto il nuovo corso tecnico, agevolandone anzi la riuscita attraverso le sue superiori capacità di lettura delle singole situazioni di gioco. Un dettaglio non da poco e che non poteva essere dato per scontato, visto che l’inserimento di una personalità così ingombrante (dentro e fuori dal campo) in un contesto che si fonda sull’idea di squadra e di collettivo non è mai semplice.

Adesso, però, manca l’ultimo passo. Il più importante per il giocatore e per la squadra, nuovamente legati a doppio filo dal rapporto idiosincratico con le finali. È come se si fosse venuto a creare una sorta di paradosso in cui per fare la differenza nella partita in funzione della quale è stato acquistato, Higuaín debba liberarsi della pressione della sua valutazione. Un passaggio non semplice, soprattutto per chi alle ultime tre finali importanti disputate in carriera (quella del Mondiale del 2014 e le due consecutive di Copa América del 2015 e 2016) vede associati altrettanti errori decisivi ai fini del risultato finale. In un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport e poi ripresa da FourFourTwo, Daniel Passarella ha sottolineato come sia fondamentale che «Gonzalo si dimentichi la cifra per la quale è stato acquistato. Il calcio e i suoi protagonisti cambiano di continuo e presto ci sarà qualcuno che pagherà un calciatore molto più del Pipita. Il suo prezzo non deve costituire un peso, così come gli errori del 2014: è stato semplicemente poco fortunato», ponendosi, quindi, in una sorta di continuità con quanto Massimiliano Allegri ha sempre dichiarato in relazione all’ansia da prestazione che spesso è costata cara alla Juventus nell’atto conclusivo di un grande torneo: «Le sei finali perse? Io preferisco parlare delle otto finali disputate».