Gli infiniti ritorni di Marco Reus

Un grande talento frenato dagli infortuni.

Se si dovesse scegliere un termine da associare alla carriera di Marco Reus, sarebbe senza dubbio “resilienza”: la sua capacità di affrontare circa 40 infortuni nelle ultime sette stagioni (per un totale di 68 partite saltate da quando è al Borussia Dortmund) è pari soltanto all’incompiutezza di un talento che, alla soglia dei 29 anni, rischia di non essere mai compreso fino in fondo. Tanto più che, prima che si comprendesse la reale entità dell’ultimo ko riportato nella finale di Coppa di Germania contro l’Eintracht Francoforte (starà fuori almeno sei mesi), sul sito ufficiale della Bundesliga era uscito un articolo in cui si parlava di lui come “The Comeback Kid”, il ragazzo dei ritorni in grande stile e dalle prestazioni strabilianti dopo il recupero dai problemi fisici che lo affliggevano di volta in volta.

Una narrativa che corrisponde al vero, soprattutto se si guarda alla stagione appena conclusa: 24 presenze in totale tra coppe e campionato (saltando 12 delle prime 18 gare di Bundesliga), condite da 15 gol (sette in campionato, di cui cinque nelle ultime sei gare dopo sei settimane di stop) cinque assist e 23 passaggi chiave, con lo spaventoso dato relativo alla precisione di tiro complessiva (67,5%) e i maggiori picchi prestazionali raggiunti nelle partite contro Legia Varsavia (in Champions) e Mönchengladbach, entrambe disputate al rientro da un problema fisico. Del resto, la sua importanza nel sistema del Borussia Dortmund era stata sottolineata da Tuchel alla vigilia della semifinale di Coppa di Germania contro il Bayern Monaco: «Marco ha già segnato due volte in campionato da quando è rientrato, oltre a essere andato a segno anche contro il Monaco. Sta realizzando gol importanti e sta mostrando quanto ci manchi nei momenti in cui è indisponibile. È cresciuto caratterialmente durante il recupero dall’infortunio di inizio stagione e sono convinto che sia pronto per realizzare grandi cose». Un dettaglio che il diretto interessato aveva confermato già in dicembre: «Ho impiegato un sacco di tempo per capire cosa potessi cambiare per migliorare questa situazione. Mettere su massa muscolare è stata una parte di questo processo. Mi sento un giocatore nuovo e diverso al cento per cento».

Quando si parla di Reus, però, l’altro filone da seguire è, inevitabilmente, quello delle occasioni mancate per legittimare il suo status di stella di prima grandezza nel panorama della Neue Welle del calcio tedesco, soprattutto per quel che riguarda gli appuntamenti con la Nazionale. Entrato in pianta stabile nel giro della Mannschaft agli Europei del 2012 (dove realizza contro la Grecia il suo primo e unico gol nelle fasi finali di una grande manifestazione), alla vigilia dei Mondiali brasiliani è lui il protagonista più atteso della spedizione in partenza per Rio: inevitabile dopo una stagione da 23 reti, 16 assist e 91 passaggi chiave, con tanto di doppietta agli ottavi di finale di Champions League contro un Real Madrid lanciato alla conquista della Décima e la benedizione di Beckenbauer che vede in lui e Götze «la miglior coppia di centrocampisti del mondo». Capita, però, che nell’ultima amichevole contro l’Armenia un contrasto gli procuri la lesione parziale dei legamenti della caviglia destra, costringendolo a guardare in tv Lahm e compagni alzare la coppa nel cielo del Maracanã. Dirà poi Reus: «Il sogno di una vita mi è stato strappato via nel giro di un secondo».

È l’inizio di un autentico calvario che prosegue nell’annata successiva: i ripetuti problemi ai legamenti della caviglia, oltre a frequenti affaticamenti muscolari causati da tempi di recupero talvolta troppo affrettati, lo tengono fuori per gran parte del girone d’andata della Bundesliga, limitandone l’apporto nella peggiore stagione dell’era Klopp, conclusa con il settimo posto in campionato e l’eliminazione agli ottavi di Champions per mano della Juventus (Reus segna nell’andata disputata allo Stadium). E non va meglio l’anno dopo ancora, quando un’infiammazione all’osso pubico riscontrata a fine maggio gli impedisce di prendere parte all’Europeo in Francia al termine di una stagione caratterizzata dal ritrovamento di una discreta continuità di rendimento.

Eppure il bilancio costantemente in attivo nel rapporto gol/assist/partite giocate (rispettivamente 11 e 6 – più 52 passaggi chiave – in 29 apparizioni nel 2014/15, 23 e 5 – e 54 passaggi chiave – in 43 partite nel 2015/16) racconta di un giocatore che, al di là delle indubbie qualità tecniche, possiede anche la necessaria forza mentale per incidere fin da subito nelle circostanze in cui viene chiamato in causa e fugare i dubbi di chi non vede in lui un elemento in grado di cambiare significativamente il volto di una squadra, anche in virtù di un onerosissimo rinnovo contrattuale da 10 milioni di euro netti a stagione firmato nel febbraio del 2015. In tal senso Tuchel non ha mai avuto dubbi: «Nessuno può anche solo immaginare cosa abbia significato per noi dover fare a meno di lui per così tanto tempo. La sua sola presenza rende migliori chiunque giochi attorno a lui».

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Reus è, probabilmente, unico nel suo genere, a partire dalla formazione calcistica. Nel 2010, quando Don Balón lo inserisce nella lista dei 100 prospetti giovanili più interessanti del mondo dopo la sua prima stagione completa in Bundesliga con il Borussia Monchengladbach (33 presenze e 8 gol), Stefano Chioffi sul Corriere dello Sport lo descrive così: «È elegante e veloce, non si limita soltanto a dettare i tempi della manovra e a svolgere compiti da regista: a volte punta il suo controllore e lo supera in dribbling. Ha enormi potenzialità e al primo esame vero non ha avuto indugi o difficoltà: l’ha superato a pieni voti. È chiaro che è alla ricerca di una maturazione anche sotto il profilo tattico. A cominciare dal ruolo: può fare il regista e la mezzapunta». Da mezzala con compiti di impostazione a seconda punta con il compito di svariare su tutto il fronte offensivo il passo è breve: l’allenatore Michael Frontzek capisce subito che un giocatore in grado di creare costantemente la superiorità numerica (nelle sue stagioni al Borussia Dortmund la percentuale di dribbling riusciti si attesta costantemente sopra il 50%) e dalla grande facilità di calcio con entrambi i piedi (prende la porta in almeno la metà delle conclusioni tentate), deve essere messo in grado di fare la differenza negli ultimi 30 metri. Le 40 reti in 107 presenze con la maglia dei “Puledri” della Renania certificano la bontà dell’intuizione del tecnico.

La top 5 dei gol realizzati da Reus con il Borussia Mönchengladbach: fin da subito si intuisce la grande capacità di centrare lo specchio della porta anche dalla distanza, la facilità di coordinazione quando si tratta di colpire al volo o di contro balzo, l’abilità nell’uno contro uno quando ci sono metri di campo da attaccare alle spalle del diretto marcatore

Sotto la guida di Jürgen Klopp, Reus completa la sua maturazione diventando un giocatore a tutto campo e segnalandosi per la grande versatilità nel ricoprire più ruoli con la stessa efficacia. Come ha scritto Sami Mokbel sul Daily Mail, l’attuale allenatore del Liverpool è stato il primo a «scoprire e alimentare il vero talento di giocatori come Marco Reus, Mario Götze e Robert Lewandowski», studiando per loro dei set offensivi che ne esaltassero le caratteristiche tanto in fase di possesso quanto in situazioni di transizione dopo il recupero palla. In particolare, Reus impara ad alternare ai movimenti da seconda punta classica quelli di trequartista sui generis che, partendo dall’esterno del campo, si accentra per agire tra le linee alla ricerca della miglior posizione in relazione al singolo momento della partita: con il centravanti in possesso palla e in visione dei due centrali di difesa, il numero 11 migliora nella lettura dello spazio da attaccare alle spalle del pivot, sfruttando l’inserimento senza palla e la naturale velocità in progressione che gli consente di prendere parecchi metri di vantaggio rispetto all’uomo chiamato alla scalata in recupero; con il numero 9 pronto ad inserirsi dal lato debole, invece, il compito di Reus diventa quello di innescarlo sul taglio alle spalle della line difensiva (dopo essersi abbassato sulla trequarti a ricevere palla) o creando lo spazio attraverso lo scambio con il secondo trequartista/esterno a chiamar fuori almeno un centrale.

Di fatto, Reus diventa una macchina offensiva totale, capace di agire in ogni ruolo di un sistema offensivo a tre o a quattro e di sfruttare l’ultimo terzo di campo tanto in ampiezza quanto in profondità, giovandosi del suo essere ambidestro naturale e di un miglioramento costante nelle situazioni di read and react. Prima dell’ultimo step, con Tuchel che lo mette al centro del suo 4-2-3-1 (che, in alcuni casi, diventa un 4-1-4-1 molto flessibile) a gestire tempi e spazi della manovra (più compassata e ragionata rispetto ai desiderata del predecessore e molto più orientata ai principi del gioco posizionale che non a quelli del Gegenpressing) alle spalle dell’unica punta, in un riuscitissimo connubio tra passato e presente.

Liverpool v Borussia Dortmund - UEFA Europa League Quarter Final: Second Leg

Eppure l’impressione è che manchi ancora qualcosa. Non tanto a livello di fortuna, quanto, piuttosto, di legittimazione nelle occasioni che contano: talvolta per proprie colpe, come in occasione della finale di Champions 2013 quando si è spento progressivamente alla distanza, talvolta per quella fragilità fisica che gli ha fatto saltare la finale di Coppa di Germania tre volte in quattro anni e che lo pone in quella sorta di limbo già conosciuto da Thomas Rosicky (idolo assoluto di Reus) e Sebastian Deisler (con cui ha in comune il passato al Mönchengladbach), talenti purissimi frenati da infortuni e treni persi e mai più ripassati. John Brewin su Espn ha scritto: «Se Reus fosse stato in piena forma durante le ultime stagioni, il calcio tedesco avrebbe avuto un giocatore ai livelli di Messi o Cristiano Ronaldo. Ha da poco passato i 27 anni, quando si suppone che i giocatori abbiano raggiunto l’apice della forma. E, invece, un calciatore che Franz Beckenbauer definì straordinario nel 2014, non ha ancora trovato la stabilità fisica per competere con continuità ad alti livelli».