Operazione rilancio

Sanches, Janssen, Jovetic e Maksimovic, quattro storie di annate negative ma con uno sguardo a un futuro diverso.

Scorrendo la rosa del Bayern campione di Germania sorprende non poco guardare il minutaggio e scoprire che Renato Sanches è l’ultimo, tra i giocatori di movimento, per quantità di minuti giocati. Fanno peggio solo i due sostituti di Neuer, Starke e Ulreich. È un dato che lascia basiti, in particolare se pensiamo a come il ragazzo ex Benfica è entrato nelle nostre menti dopo un Europeo concluso da vincitore, in cui ha vinto il premio di miglior giovane della competizione. Un gol contro la Polonia, una quantità di giocate di qualità e una forza dirompente difficilmente riscontrabile altrove. Ma allora cosa non ha funzionato? Ancelotti lo aveva paragonato, per qualità generale del calciatore, a ex campioni come Falcao e Platini, mostrando immediatamente un apprezzamento importante. Lo scorso ottobre il Bayern è primo ma a caccia di prestazioni che soddisfino anche il presidente Rummenigge. Durante un allenamento Ancelotti comincia a marcare stretto Sanches, mostrandogli come dovrebbe essere l’atteggiamento di un calciatore del suo calibro durante un match. Il portoghese è uno di quelli che per il tecnico italiano sta crescendo con troppa calma, cullato dalla sicurezza che in Germania come in Europa la sua squadra ha un ruolo dominante.

Negli ultimi giorni si è ripreso a parlare di una possibile cessione dell’energetico centrocampista del Bayern, nonostante le voci di una possibile partenza fossero state smentite solo qualche mese fa dallo stesso Ancelotti. Arrivato in Germania per una cifra introno ai 30 milioni di euro più una serie di bonus, Sanches è stato impossibilitato ad esprimersi, chiuso da un modulo che prevede solo due centrocampisti centrali: uno d’impostazione (Xabi Alonso) e un altro di duttilità imprescindibile come Kimmich. Eppure, in gare come la vittoria casalinga contro il Darmstadt, Sanches ha portato a termine partite di livello. I suoi dati parlano di 3,5 interventi difensivi ogni 90 minuti, 2,3 intercetti, 1,2 recuperi, 2,9 uno contro uno vincenti. Sono numeri migliorabili ma che, presi singolarmente, lasciano intendere il livello a cui può tendere un talento come Sanches. Con l’addio di Xabi Alonso bisognerà capire come intenderà impostare Ancelotti il proprio centrocampo, magari inserendo un centrocampista muscolare e box to box come l’ex Benfica: anche se la presenza di Kimmich lascerebbe intendere la necessità dell’arrivo di un giocatore di palleggio con Sanches ancora una volta ridotto a rincalzo di lusso, ma con un minutaggio superiore a quello dell’ultimo anno. A soli 19 anni è necessario che il ragazzo e il club decidano in fretta che futuro avere: sarebbe un peccato perdersi un altro anno della muscolarità e l’energia che Sanches sa portare nelle partite.

Carroarmato

Vincent Janssen è arrivato al Tottenham in estate con un obiettivo preciso: riuscire a dare un cambio di qualità a Pochettino nei momenti in cui toccava far rifiatare Harry Kane – mai assente nelle 38 gare della Premier 2015/16. Reduce da una stagione scintillante con l’AZ Alkmaar, un’annata da 32 reti in 49 partite, il 9 olandese portava in dote qualità nel gioco aereo, capacità di far risalire la squadra tenendo palla tra i piedi e una discreta capacità di dialogare con i compagni anche a dispetto di una struttura fisica da totem. Noto per l’energia e la qualità tecnica del proprio gioco, Janssen ha vissuto una prima annata londinese al di sotto delle aspettative, con alcuni errori talmente evidenti da far imbarazzare i tifosi Spurs. Lo scorso febbraio Pochettino lo ha lasciato in tribuna nella sfida di Europa League contro il Gent, evidenziando come ci fosse assoluto bisogno di una maggiore applicazione dal parte dell’olandese.

Janssen ha chiaramente risentito del passaggio verso un campionato molto più fisico e competitivo come la Premier League, ma l’involuzione in fase realizzativa è spiegabile con uno scarso minutaggio e una necessaria fase di adattamento ad una realtà più complessa come la Premier. Su Espn, Ben Pearce si domanda se non sia il caso di dare all’ex AZ Alkmaar una seconda occasione, pur consapevole dell’incertezza mostrata dalla tifoseria: Janssen ha comunque dato idea di avere una buona capacità di gestione del pallone spalle alla porta e molto del suo potenziale offensivo è ancora da scoprire. A 22 anni potrebbe comunque avere la capacità di gestire da solo il peso dell’attacco degli Spurs, impegnando fisicamente i centrali avversari. Nelle gare migliori, per Pearce, «ha mostrato forza e visione di gioco incoraggianti». A meno che Pochettino non decida di spendere una cifra vicina ai 30 milioni per un nuovo vice Kane, aspettare il completo sviluppo di un “nove” ancora potenzialmente impattante potrebbe essere una soluzione a cui affidarsi senza paura.

Impossibile dimenticarsi di come si segna

L’altalena della carriera di Stevan Jovetic sembra non volersi fermare. Scossa da un moto continuo si muove tra successo e oblio in maniera costante. «Ho lavorato duro, ero pronto a giocare ma non mi è mai stata data l’opportunità», ha detto della sua esperienza all’Inter, che ha lasciato dopo due anni difficili. Era arrivato al City a 26 anni, nel pieno di una carriera che sembrava doverlo solo accompagnare verso i gradini più alti del calcio, ed è invece iniziata la storia di Jovetic-equivoco-tattico, metà trequartista ma con un fisico che negli anni lo ha trasformato in un nove molto più muscolare del ragazzo esile e dai capelli folti visto a Firenze. Lui stesso aveva detto in una vecchia intervista a Undici che «quel ruolo (di trequartista) non esiste più. Ma mi piace comunque tornare indietro». E allora, come in una storia scritta per amanti passionali e romantici, Jovetic è stato accolto da Jorge Sampaoli in quel Siviglia che sembra Cocoon, capace di rigenerare il talento perso.

In 19 apparizioni, Jovetic ha collezionato 6 reti e 4 assist, mostrando solo a sprazzi il talento associativo, capace di creare superiorità decisiva, che gli appartiene. In un articolo di Ecos del Balon Jovetic viene definito «delantero mentiroso», un’etichetta affascinante che definisce quella che è la realtà del calciatore Jovetic oggi, capace di mostrare grandi giocate per poi astrarsi, e infine scomparire. In una squadra che Simone Donati definiva “mistica”, Jovetic ha recitato la parte dell’aurora che appare per poi nascondersi ancora. Con l’addio di Sampaoli e i tentennamenti del montenegrino sulle possibilità di rimanere in Spagna, il club starebbe pensando di investire su Batshuayi o Darío Benedetto del Boca. Stevan invece potrebbe continuare nel suo percorso di presenza in assenza, allontanandosi ulteriormente da una vetta che sembra non poter mai raggiungere.

Pochi equivoci, stavolta

Spesso il calcio come lo conosciamo oggi ci spinge ad avere idee definite e definitive rispetto ai giocatori, alla loro qualità e all’impatto che possono avere in determinati contesti di squadra. Tutto però si rivela quanto mai complesso e fallace se si è costretti a entrare in un sistema di gioco dogmatico e strutturato come quello di Sarri a Napoli, così come è stato per Maksimovic. Me lo conferma anche una veloce chiacchierata con Alfonso Fasano, firma di Undici e maestro di cerimonie se si ragiona di Napoli e calcio: «La situazione di Nikola è estremamente semplice: non è pronto per Sarri. Probabilmente è l’unico limite/difetto di campo del nostro allenatore: il suo sistema è talmente strutturato e mandato a memoria che non si può evitare un lungo apprendistato prima di entrare nei meccanismi. Soprattutto se sei difensore». È per questo che quest’anno il tecnico gli ha preferito anche Chiriches – soltanto Tonelli ha giocato meno dell’ex Torino: «Ogni situazione difensiva è provata e riprovata nella lettura della linea. E uno che arriva a fine agosto senza aver fatto preparazione e senza un’idea di questo tipo di gioco finisce in coda».

Ma la qualità del difensore è indubbia, un centrale con qualità tecnica ma ancora troppa voglia di avanzare con la palla tra i piedi. Voluto fortemente da Sarri e Giuntoli, Maksimovic sembrerebbe ancora molto considerato dal tecnico che ha dichiarato di vederlo in futuro come pilastro della difesa partenopea: «In questa stagione ci dà una garanzia in meno rispetto ai due titolari, la linea difensiva più solida è con Albiol e Koulibaly e devo tenerne conto, ma la mia stima verso di lui non cambia. Ha grande fisicità ma anche rapidità di gambe, impostazione da dietro, addirittura tecnicamente ricorda Albiol e per velocità Koulibaly, quindi lo immagino come grande giocatore». Allora rimane solo il tempo, la possibilità di dare a Nikola modo di apprendere appieno il calcio di Sarri, fare sue le letture difensive e la tenuta strenue della linea che sono fondamentali per il mister. L’anno prossimo potremmo vederlo in campo più spesso, sempre in maglia Napoli, parte di un turnover che diventerà realtà anche per lui.

Cose che chiede Sarri: maggiore personalità nell’uscita della palla. Prendendosi pure qualche rischio