Qualcosa di storico, il Girona, lo aveva già fatto nel 2015: dopo il pari-beffa clamorosamente subito dal Lugo nei minuti di recupero della 42esima giornata che aveva negato la promozione diretta, la squadra catalana si era fatta estromettere dai play-off dopo aver espugnato per 3-0 il campo del Saragozza nel match di andata. Il successivo 4-1 casalingo è ancora oggi qualcosa che in tanti non si riescono a spiegare. Per trovare la meritata redenzione i blanquivermells hanno dovuto aspettare due anni: uno 0-0 in casa sempre al cospetto del Saragozza è valso il primo storico pass per l’approdo in Liga, addirittura con un turno d’anticipo. Nelle ore seguenti il raggiungimento del traguardo non è tardato ad arrivare il messaggio di felicitazioni dell’attuale direttore sportivo del Manchester City, Txiki Begiristain, che nell’occasione ha ribadito la volontà di continuare ad aiutare il Girona.
Per superare un periodo economicamente difficile, a partire dalla primavera del 2015, l’80% del club catalano è passato nelle mani dei francesi di Tvse Futbol, anche grazie al ruolo fondamentale svolto da Pere Guardiola, fratello di Pep e agente ben conosciuto di calciatori, capace di muoversi con maestria dietro le quinte, in particolare grazie ai rapporti con Jaume Roures (socio di Mediapro) e Ignacio Mas-Bagà. Il rapporto tra Manchester City e Girona è decisamente differente da quello che il City Football Group ha instaurato negli ultimi anni con Melbourne City, New York City, Yokohama Marinos e, recentemente, anche con gli uruguaiani dell’Atletico Torque: una sorta di colonizzazione in nome del re-branding. Nel biennio appena trascorso gli inglesi si sono adoperati nei confronti del Girona prima saldando il conto negativo, poi parcheggiando in Catalogna una serie di giocatori (Maffeo, Sobrino, Nwakali e Angelino) e talvolta addirittura comprandoli appositamente (Lejeune), in modo da sviluppare una rapporto sempre più stretto e meno informale, che comprenderà anche il restyling dell’Estadio Montilivi e chissà, anche il ruolo dello stesso Pep Guardiola, che secondo alcuni rumors circolati di recente potrebbe trasferirsi proprio a Girona terminata la sua esperienza in Premier League.
Nel 2017 le connessioni tra club di Paesi differenti sono senza dubbio uno degli aspetti più frequenti e meno regolamentati, destinato a crescere ulteriormente. Nel panorama europeo, soltanto negli ultimi due mesi, si è assistito almeno a tre grosse acquisizioni che possono rientrare nel fenomeno di multi-club ownership: l’As Monaco ha rilevato le sorti di una squadra storica ma decaduta come il Cercle Brugge, il Leicester sta perfezionando l’acquisto di un altro team di seconda serie belga, l’Oh Leuven, mentre il magnate greco Evangelos Marinakis, già proprietario dell’Olympiacos, ha deciso di comprare il Nottingham Forest. Si tratta di tre operazioni differenti ma con un grande comune denominatore, ovvero lo scopo finale: crescere, espandersi in nuovi mercati, fare affari, differenziare gli interessi, valorizzare i giovani sfruttando la propria attività di scouting e, nello stesso tempo, il bacino e le strutture altrui. Quello dei feeder teams infatti non è affatto un fenomeno recente: come ha raccontato bene Giuliano Giubilini nel libro 91º minuto, uno dei primi a riuscire a sperimentare un sistema di questo tipo fu un megalomane come Gaucci a cavallo degli anni 2000, quando riuscì ad assicurarsi, oltre al Perugia, anche Catania e Viterbese.
Un’esperienza per certi versi esemplare, è quella della famiglia Pozzo, ritrovatasi ad essere contemporaneamente proprietaria di tre squadre in massima serie in Italia (Udinese), Spagna (Granada) e Inghilterra (Watford): un vero e proprio miracolo sportivo costruito con pazienza negli anni, capitalizzando al meglio il lavoro degli osservatori prima e dei dirigenti poi, muovendo i cartellini dei giocatori da un Paese all’altro in maniera vorticosa per aggirare così le regole sui trasferimenti e sul numero degli extracomunitari in rosa. Se pensiamo che prima dell’arrivo dei Pozzo il Granada era in terza serie ed il Watford in seconda, ci rendiamo conto di come questo si stia rivelando un business ben riuscito, tanto da essere considerato quasi un caso studio. Nella scelta della squadra da inglobare, però, Portogallo e Belgio risultano essere senza dubbio le realtà più ambite da chi vuole espandersi; questo perché permettono di procedere ai tesseramenti senza sottostare ad alcun limite, favorendo così l’approdo in Europa di tanti giovani prospetti sudamericani.
Non tutte le affiliazioni tra club si sono rivelate delle grandi mosse dal punto di vista finanziario: pensiamo ad esempio al tracollo del Parma, che ha pagato a caro prezzo la sinergia di mercato con Gubbio e Nk Gorica, oppure all’avventura americana del Rayo Okc, la filiale statunitense del Rayo Vallecano durata appena una stagione. Storicamente, il fenomeno delle squadre satellite ha comunque riguardato molto spesso i grandi club, capaci di sottomettere o dirigere altri minori esercitando una posizione subordinata: talvolta in maniera del tutto legale, con benefici comuni ad entrambi (lo storico rapporto tra l’Ajax e le accademie in Sudafrica); talvolta in maniera più torbida, con conseguenze tutt’altro che rassicuranti per gli equilibri generali. La storica collaborazione tra Chelsea e Vitesse, ad esempio, sorta nel 2010 e tutt’ora vigente, nel 2015 è entrata nel mirino della Federazione Olandese a causa della poca trasparenza di alcune operazioni interne: è senz’altro vero che il club olandese ha beneficiato di continui apporti tecnici da parte della Loan Army dei Blues, divenendo una vera e propria succursale (più di 20 giocatori hanno giocato con entrambe le maglie), ma, come testimoniano le parole dell’ex coach Rutten riportate in questo articolo del Guardian, nel 2013 ha anche dovuto “rinunciare” a competere nel campionato olandese per scongiurare una qualificazione in Champions League che avrebbe sicuramente compromesso il rapporto tra i club, attualmente presieduti da due ottimi amici, Abramovich e Chigirinsky.
Dopo il precedente sorto nei primi anni 2000, quando Tottenham, Rangers, Basilea, Vicenza, Slavia Praga e Aek Atene appartenevano allo stesso gruppo d’investimento (Enic) e alle ultime due fu impedito di potersi scontrare in Coppa Uefa, le Integrity Rules dell’organo amministrativo del calcio europeo, infatti, vietano espressamente la partecipazione di due squadre del medesimo proprietario alla stessa competizione: un ostacolo non da poco per il signor Mateschitz, il patron dell’impero calcistico di Red Bull. Due squadre di sua proprietà, Lipsia e Salisburgo, si sono qualificate alla prossima Champions League e per mesi una delle due ha rischiato di venire estromessa dalla competizione, anche se dalla Germania si sono sempre detti sicuri di trovare un escamotage per eludere il problema posto dall’art. 5, a garanzia dell’integrità della competizione. Questa situazione di incertezza ha infatti costretto il massimo organo di governo del calcio europeo ad esprimersi, facendo finalmente giurisprudenza sul caso in questione, che potrebbe costituire un precedente unico: scongiurata una squalifica ad hoc per modellare simili conflitti di interessi futuri, la Uefa ha stabilito con chiarezza i contorni della situazione, garantendo la partecipazione di entrambe le “sorelle” in virtù di un’analisi approfondita degli articoli 34 (del corpus di procedura governativo del Financial Control Body dell’Uefa), 62 e 63 dello Statuto. Insomma, una pronuncia storica che sarà definitiva se entro dieci giorni nessuno deciderà di appellarsi alla Corte di Arbitrato dello Sport.
Che ulteriori evoluzioni aspettarsi nei prossimi mesi? Il ricco businessman belga, Roland Duchatelet, continua a essere accostato all’acquisto di nuove squadre: dopo aver ceduto lo Standard Liegi, ne possiede comunque ancora cinque (St. Truiden, Carl Zeiss Jena, Alcorcon, Charlton e Ujpest), anche se non tutte le sue gestioni stanno riscuotendo il successo che si augurava, e stanno vivendo fortune alterne. Anche in questo caso, a pagarne le spese, sono in primis i tifosi. L’Atletico Madrid, invece, sta stringendo sempre più i patti con il colosso cinese Wanda Group (che sponsorizzerà il nuovo stadio) e con nuovi soci azeri, espandendosi sempre più verso nuovi mercati: prima assicurandosi una filiale indiana creata a sua immagine e somiglianza (Atletico Kolkata), poi prendendo possesso della gloriosa accademia francese del Lens, adesso provando ad entrare nel florido mercato messicano attraverso l’acquisizione del 50% dell’Atletico San Luis. A proposito di mercati orientali, è lecito aspettarsi qualche grande movimento dal gruppo Suning, che dopo avere preso le redini dell’Inter ha tutte le potenzialità per espandersi ancora, e pare sia alla ricerca di un’altra filiale europea dove poter investire. Senza ricorrere ad ulteriori esempi di situazioni simili venutesi a creare nell’ultimo decennio, è chiaro, dunque, che se proviamo ad immaginare come sarà il calcio del futuro, le multiproprietà saranno un tratto sempre più marcatamente distintivo.