È il 14 luglio e, mentre a Parigi Emmanuel Macron e Donald Trump assistono alla parata per commemorare la presa della Bastiglia con la banda militare francese che suona un medley dei Daft Punk, Leonardo Bonucci arriva a Milano a bordo di un suv, e qualche centinaio di tifosi, nell’intenzione di esprimere sentimenti gioiosi, non riesce a trattenersi dal colpire i finestrini dell’auto con schiaffi ripetuti. L’operazione di calciomercato più incredibile di questo luglio 2017 – il passaggio di uno tra i più forti difensori del mondo dalla Juventus campione d’Italia e vicecampione d’Europa al Milan in procinto di giocare il terzo turno preliminare di Europa League – si è conclusa in meno di 48 ore dalla comparsa delle prime voci sulla stampa. È una cosa sorprendente e, nel vero senso della parola, incredibile.
Mi sono interrogato spesso – a volte ne ho anche scritto – su come il calcio ci porti ad assumere comportamenti consapevolmente assurdi: inventiamo squadre di fantasia da seguire ogni fine settimana per nove mesi l’anno, investendo anche soldi reali, ad esempio; per tre mesi ogni anno seguiamo siti dalla grafica orribile e antiquata, leggendo “articoli” di poche centinaia di battute scritti in modo peggiore che trattano, beh, non trattano di niente.
Per anni avevo smesso di frequentare i siti di calciomercato, o i rispettivi profili Twitter fatti di indiscrezioni del tipo «Incredibile: sta per comprare quel grande attaccante francese», con volontari omissis sia del soggetto che dell’oggetto. Ma c’entrava, me ne rendo conto, la mia fede calcistica milanista, che mi rendeva consapevole delle poche possibilità di arricchimento, all’epoca, della squadra per cui tifavo. Se guadagni cinquecento euro al mese, insomma, non ti va di passare ogni giorno davanti alla vetrina di Hermès per guardare, dentro, quelli che se lo possono permettere. Come è invece noto, l’estate 2017, per un tifoso del Milan, sta scorrendo in modo piuttosto piacevole – e surreale, in un certo senso. Allora, oltre a tornare sui siti di calciomercato, ho ricominciato a chiacchierare di calcio, e di mercato calcistico, con gli amici, al bar, al parco, in chat. Molti di questi amici sono vecchi compagni di tifo e gradinata – lo stadio è un romanzo di formazione – e una certa eccitazione è impossibile da nascondere. Sono discorsi leggeri e rinfrescanti, con il caldo che fa, ma, quando mi capita di razionalizzare, tutto il niente di queste conversazioni viene a galla.
Recentemente, un articolo del New York Times descriveva il calciomercato come la cornucopia originale di tutte le fake news: esistono centinaia (migliaia?) di siti che macinano centinaia di migliaia di clic (o utenti unici, basta guardare i dati Audiweb di maggio 2017) ogni giorno semplicemente scrivendo notizie false. Ci sono anche decine di quotidiani che lo fanno, e che in questo modo vendono centinaia di migliaia di copie. Mi sono spesso chiesto come devono lavorare le redazioni “calcistiche” nei mesi estivi: certamente c’è uno sparuto gruppo di addetti ai lavori che, incessantemente, fa del giornalismo investigativo: fonti anonime, giornate passate al telefono, e via dicendo. Ma dev’esserci anche chi fa a meno di questi accorgimenti professionali. Mi ha ad esempio sempre fatto insospettire, nello stanco e stretto vocabolario giornalistese dei grandi quotidiani sportivi, la parola «suggestione»: solitamente accompagna le notizie di calciomercato più strambe e instabili. Quando leggo titoli come «Inter, suggestione Iniesta», insomma, mi sembra che la suggestione sia esclusivamente quella di chi scrive.
È una cosa che il giornalista irlandese Declan Varley – l’ha raccontato sempre Rory Smith, Chief Soccer Correspondent per il New York Times, autore dell’articolo citato poco sopra – ha provato a estremizzare: nell’estate del 2008, nove anni fa, ha inventato un giocatore. Ha inventato il suo passato, il suo presente, il suo curriculum, e il suo nome. Si chiamava Masal Bugduv. Ha iniziato a gettare in rete – nei forum, ad esempio – indizi su Bugduv, giovane talento moldavo, costruendo un passato di news asciutte, brevi e solide. Ha attirato i pesci a galla, insomma, prima di calare la rete, rappresentata dalla fake news più potente, eppure in un certo qual modo verosimile: Bugduv stava per firmare per l’Arsenal – un club allenato da un allenatore, Arsène Wenger, che ha in passato messo sotto contratto giovanissimi talenti sconosciuti al resto del continente. Funzionò, e il nome di Bugduv iniziò a circolare. Prima nei luoghi più periferici di internet, poi sui siti calcistici, poi sui quotidiani più importanti del panorama internazionale: in una lista dei 50 talenti più promettenti d’Europa pubblicata dal Times, alla posizione numero 30 si sedeva il giovane Bugduv.
David De Gea, nel settembre 2015, al villaggio Las Rozas del Real Madrid, prima di tornare a Manchester
L’operazione di Declan Varley, in fondo, non è così diversa da quella messa in pratica ogni giorno, singolarmente, da ognuno di noi – noi che ci ritroviamo, chi volentieri e chi meno, a perdere consistenti periodi di tempo sui siti di calciomercato, o a commentarli. La differenza è che noi scegliamo dalla lista dell’anagrafe – o della Fifa – calciatori che effettivamente esistono. Dopodiché ci adoperiamo, sicuri delle nostre affermazioni o più investigativi, a immaginarci una psicologia, anzi una biografia, che possa giustificare le loro scelte, o possa anticiparne i movimenti futuri. È una cosa che con gli atleti sportivi, così vicini eppure così lontani, succede sempre, e mi era capitato di parlarne con l’ex firma di Grantland Brian Phillips; in una vecchia intervista uscita su Studio, mi aveva detto: «È una delle caratteristiche del giornalismo sportivo moderno: abbiamo un accesso “intimo” agli atleti che non si è mai verificato prima, e il risultato di questa vicinanza è che siamo sempre più tentati di trattarli come fossero personaggi di un romanzo. Mario Balotelli è un essere umano, con opinioni e problemi e ricordi suoi, ma lo trasformiamo in MARIO BALOTELLI!!!, questo personaggio da cartone animato un po’ stereotipato incomprensibilmente pazzo e divertentissimo. È una questione morale con cui non ho spesso voglia di confrontarmi però. Cancellare l’umanità di qualcuno soltanto per “entertainment” è ovviamente sbagliato, ma anche con questa consapevolezza è molto difficile dire come potrebbe esistere una cultura sportiva senza questa specie di mitizzazione. L’eroe sportivo vecchio stampo è un’altra forma di caricatura, alla fine, e allo stesso modo falsa nei confronti della vera natura dell’individuo. E in più va detto che gli atleti (e i loro agenti) sono perfettamente coscienti di questo processo e anzi provano spesso a manipolarlo. E questo ci porta, in quanto appassionati, in una specie di zona grigia».
Sta succedendo, in queste ore, anche con il caso di Leonardo Bonucci: c’è chi è sicuro che abbia lasciato la Juventus a causa di un litigio con Massimiliano Allegri, l’ormai ex allenatore; chi aggiunge che ci fossero altri problemi, anche di spogliatoio; chi è sicuro che Leonardo Bonucci non volesse trasferire la famiglia lontano dall’Italia, e via dicendo. Abbiamo bisogno di trovare un perché, anzi, non solo un perché, un motivo, ma anche un intrigo. Una delle regole per cui il calciomercato ci affascina tanto è, in un certo senso, la sua somiglianza con la cronaca nera: non accade mai nulla senza un motivo taciuto e nascosto, a suo modo scandaloso. Inventiamo retroscena di cui ci convinciamo, o li ascoltiamo da qualcuno e, in una conversazione successiva, li facciamo nostri. Creiamo fiction, anzi fan-fiction, di personaggi reali in carne e ossa. Creiamo narrazioni, creiamo letteratura. Naturalmente, il vero motivo per cui Leonardo Bonucci ha deciso di diventare un dipendente dell’Associazione Calcistica Milan, dopo sette anni alla Juventus, non interesserà davvero nessuno. Probabilmente è semplice: perché aveva voglia, perché era economicamente vantaggioso, perché Milano è una bella città, e San Siro un bello stadio, perché “perché no?”.
La famosa frase di Vladimir Nabokov sulla nascita della letteratura – «La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui» – si applica anche alle apparentemente banali chiacchiere estive sul calcio. La differenza è che il mezzo – l’invenzione – viene utilizzato senza un fine apparente. È meglio, è peggio? Entrambe le cose, da diversi punti di vista. È priva di uno scopo e di un obiettivo “impegnato”, da un lato. È invenzione per il puro gusto di inventare, dall’altro, che è quello che preferisco: è una capacità straordinaria ed estremamente umana, quella dell’invenzione, ed è forse quella che, insieme alla coscienza di noi stessi, ci rende davvero umani.
In un certo senso piuttosto romantico, la fine delle vacanze estive coincide, giorno più, giorno meno, con la fine del calciomercato, e la fine degli intrighi e delle invenzioni. Si torna in ufficio, a scuola, in officina – si torna in campo. Le centinaia di migliaia di righe spese nelle settimane precedenti per delineare ambizioni e progetti delle squadre spariscono, e le ipotesi devono lasciare il campo alla realtà. Per alcuni sarà piacevolmente sorprendente, per pochi sarà la conferma di alcune certezze, per molti sarà deludente. Probabilmente è anche per questo che il calciomercato affascina così tanti: è assenza di calcio, è assenza di realtà. È onirico e, in un certo qual modo, è più sicuro.