L’estate delle carte

Non è solo tempo di mare, campagna e vacanze: anche di tornei di scopone scientifico.

«E una partita di carte giocata sotto l’ombrellone d’estate». Se è vero che Tommaso Paradiso comprende il senso del tempo (per me è vero), allora basta questa canzone dei suoi Thegiornalisti (non fate finta, la sapete: “Il tuo maglione mio“) a raccontare questo revival generazionale: i cari vecchi giochi con le carte, in spiaggia e mica solo lì. Prima era venuta la balera, trasformata in un culto hipster, oggi sembra che i giovani metropolitani vogliano imitare pure i vecchietti al circolino. Questo se vogliamo credere – come sempre crediamo – alle mode di stagione.

Io sono tornato a giocare a carte in tempi non sospetti, ben prima di questo rispolvero vintage. Ho in corso da mesi (no, anni) un torneo di scopone scientifico, siamo due coppie di amici scientemente separate sul campo (mai giocare insieme al partner, si creerebbero in un paio di mani tutti gli estremi per un eventuale divorzio), ci si incontra la domenica sera apposta per giocare, pizza fatta in casa e il sogno di fare napola. Tra noi ci diciamo: come siamo diventati vecchi. Forse è vero: i trent’anni, che poi sono l’età cantata da Tommaso Paradiso, sono quel momento della vita in cui non vuoi più organizzare roba a tutti i costi, far incrociare le agende degli amici con settimane di anticipo, quella sera di carte diventa sacra ed è un alibi sociale favoloso, ci si vede in quattro e stop, non possiamo accettare nessun altro nel club. (So che vi interessa molto saperlo: nella classifica generale, io e il mio socio siamo nettamente in vantaggio).

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Al di là del dato autobiografico, c’è appunto la moda del momento. Il gadget estivo di Now Tv sono le carte di House of Cards. Sarà una scelta didascalica, ma quando ho scartato il pacco ho fatto un salto di gioia. Ovviamente c’è l’illustrazione di Frank Underwood sulle carte del re, Claire è la regina, Doug Stamper il jack. Nella prima puntata (o seconda: è così brutto che non me lo ricordo) di Gyspy, la serie appena caricata su Netflix con Naomi Watts, la protagonista e il marito fanno un giochino stupidissimo con le carte dopo cena. Qui c’è pure un sottotesto assai pedante: la moglie borghese e insoddisfatta è in cerca di stimoli erotici fuori dalla coppia perché a casa può giusto spaccare il mazzo. Forse è anche colpa di questa scena se la serie mi è stata subito antipatica.

I film sulle carte sono tendenzialmente inutili, a parte Lo scopone scientifico di Luigi Comencini (anno 1972), con doppia coppia extralusso: i poveri Alberto Sordi e Silvana Mangano che sfidano i ricchi Bette Davis e Joseph Cotten. Pure per via di questo film quello è oggi il mio gioco d’elezione. (Cristina, figlia del regista, ha tentato il quasi-remake con Due partite, scritto per il teatro e poi portato al cinema nel 2008 da Enzo Monteleone: inutile dire che il sommo cult non è stato replicato.) L’Italia si difende bene anche sul poker con Regalo di Natale di Pupi Avati (1986, con sequel La rivincita di Natale diciott’anni dopo), ma poi da lì è un attimo che si va sull’azzardo-casinò, La stangata e via dicendo, e lì è tutta un’altra storia. A un pranzo di produttori romani durante l’ultimo Festival di Cannes ho sentito parlare di un certo Burraco fatale, il titolo è già epocale, lo stanno girando adesso. Nel cast ci sono Claudia Gerini e Carla Signoris, a quanto ho capito è la classica storia di amiche che si trovano per giocare, ma ci scappa il morto. Ne potrebbero trarre una serie in venti puntate, secondo me avrebbe un grande seguito.

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L’altro giorno, in una chat su WhatsApp, scrivevo appunto di questo ritorno dei giochi con le carte, e un’amica mi fa: «Ma guarda che non sono mai scomparsi, io per dire giro sempre con un mazzo nella borsa». Forse ha ragione, forse io me ne accorgo solo ora perché sono nel pieno del mio torneo privato. Però mi piaceva dire di no, sostenere con argomentazioni infallibili le mie tesi lucidissime. La prima: i giochi con le carte sono una chiara risposta all’individualismo come unica chiave sociale della nostra epoca. La seconda: le generazioni più giovani (adesso, giovani: l’ho detto che ormai siamo dei vecchi) rispolverano i giochi di una volta per ripudiare anni e anni di videopoker collettivo. Ma mi sa che – soprattutto quest’ultima – è una stronzata. Tant’è che, anche se è vero che ormai non si gioca più a soldi, come premio per la prima tranche del nostro torneo ci siamo regalati ottanta euro di gratta e vinci. Venti euro a testa, e visto che le coppie sono mischiate ciascuno di noi ci avrebbe guadagnato qualcosa. Ovviamente abbiamo perso tutto, fino all’ultimo centesimo. Meglio tornare a giocare con i fagioli.

L’altr’anno in Grecia, sulle spiagge e sui traghetti, non giocavamo soli: un sacco di gente si sfidava a carte. Allora è vero: è moda! È febbre! È trend! Una mano di scopa, anche quando si è solo in due, non fa mai male (non si accettano battute cretine). «Ho nel cuore questa cosa / Distese infinite d’acqua, il sole, il caldo, il mare». Le carte si capisce che poi vengono da sé.

 

Immagini Getty Images