Federica Pellegrini è un’atleta incredibile, una di quelle in grado di trasformare le iperboli della retorica giornalistica in semplice realtà. L’ultima si è concretizzata il 26 luglio, a 28 anni, con la vittoria della medaglia d’oro nei 200 stile libero ai campionati mondiali di Budapest: “Mai nessuno come lei” è stata la frase più utilizzata. Perché nessun nuotatore – né uomo né donna – era mai riuscito a salire sul podio della stessa gara per sette Mondiali di fila. Prima di partire per l’Ungheria, Federica era appaiata allo statunitense Ryan Lochte, capace di vincere sei medaglie iridate nei 200 misti tra il 2005 e il 2015. Ora invece è da sola in cima alla statistica, con 3 ori, 3 argenti e 1 bronzo, da Montréal 2005 a oggi. Più ancora delle precedenti, la gara trionfale di Budapest è stata costruita con la forza di volontà e con una fulminante rincorsa, a partire dalla bruciante – ma con il senno di poi necessaria – sconfitta rimediata dalla Pellegrini alle Olimpiadi di Rio de Janeiro dello scorso anno, per di più da portabandiera azzurra. Il quarto posto e la possibile medaglia sfumata le hanno fatto accantonare l’idea di un ritiro dall’attività agonistica preannunciato con largo anticipo prima delle Olimpiadi, in cerca dell’ennesimo riscatto della sua vita da nuotatrice.
«Un piccolo incubo»
«Mi sembra di vivere un piccolo incubo», ha commentato a caldo da bordovasca dopo quella gara, senza riuscire a spiegarsi i perché di una mancata prestazione che sentiva di avere dentro (e mesi dopo attribuita alla vicinanza del ciclo mestruale). «Non mi piace pensare che tutto debba finire così», ha aggiunto dopo qualche giorno, tra una staffetta olimpica e l’altra. «Se sono riuscita a passare su una delusione così grande come quella di Rio è perché sono ancora innamorata del nuoto come il primo giorno», ha detto invece a gennaio, con in volto lo stesso sguardo insoddisfatto con il quale si era presentata al pubblico italiano 12 anni prima, quando era salita sul podio di Atene, da sedicenne, per ricevere la sua medaglia d’argento appena conquistata. Quello che per molti ragazzi sarebbe stato un sogno – una medaglia olimpica alla prima partecipazione – per lei era un rammarico, dopo la beffa consegnatale in acqua dalla rumena Camelia Potec. Si era qualificata con il miglior tempo alla finale, ma peccò di inesperienza in vasca, non guardando oltre le avversarie più vicine e facendosi soffiare l’oro per 19 centesimi dalla seconda corsia. Dopo sono arrivate medaglie italiane, europee, mondiali e olimpiche, in vasca lunga e corta. Vittorie alternate a sconfitte mai banali e ingigantite dal suo essere diventata nel frattempo anche una diva da rotocalco, con le sue storie d’amore tormentate e chiacchierate, le sue manie e i suoi capricci.
«Ha curato la mia mente»
Così, dopo Rio, Federica Pellegrini ha deciso di arrivare fino a Tokyo 2020, la sua quinta Olimpiade, e ha ricominciato ad allenarsi con Matteo Giunta, suo tecnico da tre stagioni, dopo i cinque allenatori cambiati in altrettanti anni in seguito alla morte nel 2009 del suo mentore Alberto Castagnetti. Nel 2016 la Pellegrini era andata molto forte, riguadagnando posizioni nel ranking annuale per poi fallire l’appuntamento principale, e quindi occorrevano innanzitutto cambiamenti nel metodo di lavoro, a partire dalla gestione atletica.
Gli allenamenti sono così diventati più leggeri rispetto agli anni precedenti, mantenendo la predilezione per la velocità piuttosto che per il fondo osservata in seguito all’abbandono degli odiati 400 metri. È stato inoltre inserito di un po’ di dorso, uno stile che Federica ha sempre considerato una sorta di divertimento. Nel 2010, sui 200 metri, Federica nuotò il secondo tempo più veloce di sempre in Italia, a soli due centesimi dal record italiano stabilito da Alessia Filippi nel 2009. Dal 2013, invece, è primatista italiana della stessa distanza in vasca corta (2’03″75), record strappato proprio alla ex nuotatrice romana. Dopo averlo abbandonato per oltre un anno e mezzo, dall’autunno 2016 Federica ha ripreso a esercitare il dorso anche in gara, a Milano come a Indianapolis, sia sui 100 che sui 200 metri, con buoni riscontri in termini di prestazioni cronometriche e risultati.
L’operazione di recupero è stata però anche mentale, grazie al lavoro della mental coach Bruna Rossi, già psicologa in passato della Nazionale di pallanuoto e dell’Inter di Roberto Mancini. La Rossi, che segue la Pellegrini dal 2015, al riparo dai riflettori, ha aiutato la nuotatrice a ritrovare la tranquillità mentale per proseguire con l’attività. «Ha curato la mia mente», aveva scritto su Instagram lo scorso agosto, nel momento dell’annuncio che avrebbe continuato per un altro quadriennio.
«Per fortuna c’è il futuro»
I primi risultati sui più classici 200 metri stile libero sono arrivati già a dicembre 2016 durante i Mondiali in vasca corta, una competizione che non l’aveva mai vista protagonista, anche perché spesso snobbata (da lei come dagli altri grandi del nuoto, perché di solito fissata nel mezzo della preparazione verso i più prestigiosi eventi estivi in vasca lunga). A Windsor, in Canada, la Pellegrini è riuscita a conquistare l’unica medaglia d’oro che mancava al suo palmarès (a cui si è aggiunto l’argento nella staffetta 4×100 stile libero). E ha vinto alla sua maniera, con una rimonta spettacolare nelle ultime due vasche sull’ungherese Katinka Hosszu. «Gli ultimi 50 metri sono i miei 50 metri», ha dichiarato alla fine di una gara nella quale, con il crono di 1’51″73, ha ottenuto anche il suo record personale in vasca corta con costume in tessuto.
Ripartita la preparazione, un altro cambiamento importante ha riguardato il ritiro in altura, effettuato dopo il Sette Colli – tradizionale meeting internazionale che si svolge ogni anno a Roma al Foro Italico – e non prima come negli scorsi anni. Nonostante la forma non ottimale, al Sette Colli è arrivata una vittoria, ancora una volta in rimonta nell’ultima vasca, questa volta sulla svedese Michelle Coleman. E, soprattutto, dopo la gara una dichiarazione programmatica: «Non parliamo del passato. Per fortuna c’è il futuro». Dopo il Sette Colli, una settimana a Livigno e due e mezzo in Sierra Nevada, negli Stati Uniti, trascorse all’interno di un piccolo albergo («alla Shining», l’ha definito Giunta) con una routine ferrea. Infine, una settimana di scarico completo, prima delle gare mondiali.
«Chiudo casa mia»
A Budapest Federica è arrivata estremamente carica, sia fisicamente che emotivamente, e con l’intenzione di provare ad arrivare a medaglia. La sua avversaria principale, la giovane americana Katie Ledecky – vincitrice di tutto ciò che era possibile vincere negli ultimi anni, dai 200 ai 1500 stile libero – sembrava mostrare una piccola crepa già prima di scendere in vasca, secondo la Pellegrini: «Non mi sembra in difficoltà, ma l’ho vista meno veloce», suonava più come una speranza che come una certezza a orecchie esterne. E invece il 26 luglio, il solito sprint nel finale (“alla Pellegrini”, si dirà forse tra qualche anno) non ha lasciato scampo nemmeno alla Ledecky. Al tocco della piastra, il cronometro si è fermato su 1’54″73, lontano dal suo record mondiale (1’52″98) fatto registrare nel 2009 a Roma e ancora imbattuto, ma sufficiente per la medaglia d’oro.
Dopo la gara, al Corriere della Sera, Giunta ha provato a spiegare le motivazioni tecniche e psicologiche dietro l’ormai consueta rimonta nell’ultima vasca: «Federica sa nuotare facile i primi 150 con un misto di tecnica e costanza e quando arriva all’ultima vasca ha ancora il serbatoio bello pieno. Poi mettiamoci il fattore psicologico: le avversarie lo sanno e si preoccupano, mentre lei si galvanizza». La vittoria sulla “cannibale” Ledecky – che ha subito la prima sconfitta in una gara mondiale individuale dopo 9 medaglie d’oro consecutive – potrebbe suonare anche simbolica per Federica, che da tempo ha abbandonato l’obiettivo fissato da Castagnetti di diventare competitiva su varie distanze dello stile libero, dai 200 agli 800 metri, e proseguito per breve tempo anche dopo la sua morte, sentendolo come un “obbligo morale”. Un progetto che tuttavia, con il passare del tempo, le aveva creato grosse difficoltà, e che aveva deciso di abbandonare in seguito all’insuccesso delle Olimpiadi di Londra, nel 2012.
Pur essendo attualmente l’unica nata negli anni Ottanta nel gruppo delle migliori nuotatrici, subito dopo l’ennesima vittoria di una carriera apparentemente infinita, Federica ha annunciato che quelli di Budapest sono stati i suoi ultimi 200 stile. «Chiudo casa mia nel modo che non mi sarei mai neanche sognata, da padrona di casa», ha scritto il giorno dopo su Instagram.