La qualità che c’è

Certo che bisogna ripartire, ma l'impasto di base, quello fatto di talento e giovane età, è ben presente.

I tre fischi di Mateu Lahoz, lunedì sera, non hanno segnato soltanto la fine della partita di San Siro tra Italia e Svezia, con la mancata qualificazione degli Azzurri ai Mondiali di Russia 2018: hanno aperto ufficialmente uno dei periodi più difficili della storia recente dell’Italia calcistica. Al termine della partita il primo a comparire davanti alle telecamere è stato Gigi Buffon. Oltre a raccontare il rammarico per quel che avrebbe potuto essere, il capitano della Nazionale – all’ultima presenza ufficiale in maglia azzurra – ha provato ad analizzare il momento, visto inevitabilmente come una cesura storica, un punto delicato che divide un prima e un dopo sulla linea del tempo. È sembrato lucido, oltre che commosso: «Lascio una Nazionale in gamba, fatta di ragazzi che faranno parlare di sé», ha detto Buffon, «compresi Donnarumma e Perin che non mi faranno rimpiangere». Più che una frase fatta, disegnata ad arte per accompagnare l’intervista verso l’uscita, quella di Buffon è la consapevolezza di chi sa che l’Italia ha, già oggi, il potenziale per tornare grande in poco tempo.

Il primo segnale positivo arriva da quei giocatori che dovranno essere i pilastri della Nazionale di domani. Accanto ai Donnarumma e Perin già citati da Buffon ci sono Verratti, Insigne, Rugani, Florenzi, El Shaarawy, un gruppo che da diverse stagioni si impone in formazioni come Paris Saint-Germain, Juventus, Napoli, Roma lottando per i vertici dei campionato. Accanto a loro, dovranno esserci quelli che troveranno la giusta continuità nelle squadre di club, ma anche coloro che si dimostreranno più compatibili con lo zoccolo duro della squadra. Difficile capire chi sia più adatto a fare da supporting cast ora il discorso tecnico e tattico che non ruoterà più attorno nucleo dei Buffon, Chiellini, Barzagli, De Rossi. Ma tra il palleggio ritmato di Jorginho, le schermature difensive di Gagliardini, le cavalcate di Spinazzola e Conti, le letture in area di Caldara e la ferocia offensiva di Zaza, Immobile, Verdi, Belotti, Bernardeschi, l’Italia avrà la possibilità di declinare il suo stile di gioco in forme e stili diversi, perché di materia da modellare ce n’è molta.

Spain v Italy - FIFA 2018 World Cup Qualifier

Non è solo un gioco di somme di talenti. Buffon ha la legittima sensazione di aver lasciato la Nazionale in buone mani perché negli ultimi anni ha avuto davanti, e contro, questa schiera di calciatori italiani centinaia di volte. La Serie A è cambiata nell’ultimo decennio, e nonostante la perdita – temporanea – di appeal commerciale e di grandi investitori ha imparato a puntare sui giovani più di quanto non facesse all’inizio del nuovo millennio. Tra i tanti possibili candidati a una maglia azzurra ce ne sono alcuni che calcano i campi della nostra Serie A da diversi anni, nonostante la giovane età. Forse il caso di Donnarumma non può essere un esempio per la sua condizione di caso più unico che raro, ma c’è chi può quanto meno reggere il confronto, come El Shaarawy, che a 16 anni ha esordito in Serie A con il Genoa e a 20, per la prima volta, è stato protagonista sempre con la maglia del Milan per un’intera stagione (22 presenze e 2 gol in rossonero). Rugani, oggi alla Juventus, non ha saltato neppure una partita nel campionato 2014/15 dell’Empoli, e aveva appena compiuto vent’anni. Alla stessa età Jorginho conquistò un posto da titolare nel Verona, stagione 2011/12: con lui nella stanza dei bottoni gli scaligeri trovarono la strada per tornare in Serie A nel giro di un paio di stagioni, prima di cederlo al Napoli nel mercato di gennaio 2014. Vent’anni li aveva anche Belotti quando ha esordito ai vertici del calcio italiano con la maglia del Palermo, o Benassi quando iniziò la sua traiettoria con la maglia del Torino (poco dopo sarebbe diventato capitano del club granata, a 22 anni).

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Se la Nazionale maggiore deve aver necessariamente chiuso un ciclo dopo la sconfitta nel doppio confronto con la Svezia, un maggiore ottimismo deve filtrare dalle rappresentative giovanili. Il salto dalla tag di “Azzurrini” a quella di “Azzurri” è sempre un punto interrogativo, perché troppi fattori entrano in gioco contemporaneamente offuscando ogni velleità di previsione. Ma negli ultimi anni le Nazionali giovanili dell’Italia stanno toccando punte di rendimento altissime per la categoria, arrivando a lottare per le prime posizioni in tutte le competizioni. I piccolissimi dell’Under 19 hanno raggiunto la medaglia d’argento nell’Europeo del 2016 in Germania, sconfitti solo da una Francia che schierava Mbappé e Augustin in attacco. L’Under 20 è reduce dal brillante Mondiale giocato in Corea del Sud la scorsa primavera, terminato con il terzo posto. Nella rosa dell’ex selezionatore Evani c’erano calciatori giovanissimi eppure già pronti per trovare spazio in Serie A, come Pezzella (24 presenze tra Palermo e Udinese), Romagna (tra i migliori nel difficile inizio di stagione del Cagliari), Mandragora (già diventato capitano anche dell’Under-21, protagonista con la maglia del Crotone negli ultimi mesi), e Orsolini (devastante nell’ultima stagione in B con l’Ascoli). L’Under 21 di Luigi Di Biagio, invece, ha appena chiuso un ciclo importante con la semifinale agli Europei dello scorso giugno, ed è già qualificata per il torneo del 2019. Nella formazione eliminata dalla Spagna di Asensio e Saúl Ñíguez c’erano Bernardeschi, Caldara, Rugani, Pellegrini e Gagliardini: loro sono già entrati nel giro della Nazionale maggiore e potranno fare da apripista per altri, come Chiesa, Locatelli, Conti che erano con loro, a dimostrare che quello che manca, nell’Italia del presente e del prossimo futuro, non è il talento.

 

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