Sta arrivando Luan

Tra Ronaldinho e Messi, si dice: chi è il prossimo talento brasiliano di cui parleremo a lungo.

Luan, il ponte

Qualche mese fa, stimolato a commentare le performance del Brasile olimpico, Tostão, per certi verti in maniera controintuitiva, allargava gli orizzonti e bypassava le stelle più riconoscibili della amarelinha come Neymar e Gabriel Jesus, accendendo le luci dei riflettori su un altro giocatore, meno appariscente, ma considerato tra i più funzionali della squadra capace di mettersi al collo la medaglia d’oro davanti al pubblico di Rio de Janeiro: Luan Guilherme de Jesus Vieira. La leggenda verdeoro, uno dei cinque assi contemporaneamente in campo nel memorabile Brasile campione del Mondo a Messico ’70, ne tratteggiava l’identikit tecnico così: «È come un ponte, congiunge due parti». Nella campagna che la amarelinha ha concluso nell’unico modo logicamente possibile, ovvero con il trionfo, ponendo così fine ad un tabù storico, Luan ha rivestito un ruolo tutt’altro che marginale: la sua è stata l’interpretazione acerba e rivelatrice a un tempo del primattore al debutto artistico: beneficiando dell’inspiegabile sterilità offensiva dei verdeoro fino a quel momento, l’attaccante di Rio Preto ha scelto il più convincente dei biglietti da visita per presentarsi al mondo, segnando tre reti e fornendo due assist nelle cinque partite disputate durante la rassegna a cinque cerchi.

Eppure, la convocazione di Rogério Micale per l’Olimpiade è stata sorprendente, in un certo senso anche inaspettata se consideriamo il momento storico in cui è arrivata, sicuramente non il periodo più esaltante della giovane carriera di Luan. Dopo essere esploso l’anno prima, aiutando il Gremio a qualificarsi in Copa Libertadores, nella primavera del 2016 i tifosi dell’Imortal lo considerano il principale responsabile dei risultati negativi della squadra, definita time pipoqueiro, che nel gergo brasiliano deve significare qualcosa tipo “poco valoroso”. Solo qualche mese prima un drappello di loro lo aveva avvicinato all’uscita del centro d’allenamento, lanciandogli un pugno di pop corn, pipocas appunto, all’interno dell’auto: «Questa storia dei popcorn non mi turba. Non sono preoccupato, risponderò sul campo», ha risposto, trattenendo a stento un sentimento più simile alla delusione che alla rabbia. È stato di parola: dopo essersi tolto la soddisfazione di vincere l’oro olimpico da protagonista con il Brasile, e quella di debuttare con la Seleção, l’ultima stagione è stata quella della definitiva consacrazione: ha segnato otto reti in Copa Libertadores ed è stato assieme ad Arthur il motore del Grêmio di Renato Portaluppi appena incoronatosi campione del Sudamerica, risultando con merito il miglior giocatore di questa edizione.

Cruzeiro v Gremio - Copa do Brasil Semi-Finals

La madre

Sarà pure abituale in tempi come il nostro, dove l’informazione è liquida e la caccia al sensazionalismo è se possibile più spietata che mai, ma fa sempre uno strano effetto setacciare il web alla ricerca di informazioni su un calciatore la cui parabola è relativamente breve, per di più quasi sconosciuta in Europa, e scoprire come in realtà abbia già una letteratura piuttosto ricca, anche se distante da quella agiografica infarcita di cliché e favelas che inconsciamente ci aspetteremmo in rapporto ad un talento brasiliano. Ma alla fine, comunque, mi sono reso conto di come tutte le narrazioni di Luan che ho trovato ruotino intorno allo stesso punto: la morte del padre João Marcos, deceduto in un incidente motociclistico quando aveva cinque anni, e il profondo legame con la madre Márcia Cristina de Jesus, che ha mandato avanti la baracca spaccandosi la schiena come donna delle pulizie. È proprio in virtù di questo senso di riconoscenza filiale, esacerbato fino quasi alla venerazione, che si può spiegare il perché a ogni traguardo raggiunto Luan si senta in obbligo, non solo morale, di rivolgere un pensiero alla madre. L’essersi affermato come calciatore, in questo senso, più che motivo d’orgoglio personale nell’intimo di Luan deve rappresentare un modo come un altro per ripagarla dei sacrifici: «Sono cresciuto senza un padre. È complicato, mia madre faceva sempre del suo meglio, mi incoraggiava sempre. Essere al Grêmio oggi è motivo di orgoglio per lei», ha detto nel 2013 quando gli osservatori dell’Imortal lo hanno scovato assieme agli amici Kairon e Guilherme Amorin in un torneo giovanile a San Paolo. Dopo essersene invaghito calcisticamente Júnior Chávare, ex scout della Juventus all’epoca coordinatore del settore giovanile del Grêmio, ha deciso di aprirgli le porte della scuderia gremista, accettando la scommessa ben sapendo che non sarebbe stato immediatamente abile e arruolabile: «Aveva giocato pochissimo su un campo da calcio. Non sarebbe stato in grado di sostenere gli esercizi. Dovevamo scommettere su di lui».

Come preventivato, l’adattamento alla nuova realtà non è stato dei più facili. Fino a quel momento Luan si era dedicato prevalentemente al futsal, il primo sport a cui si è avvicinato da ragazzino: «Non avevo una buona base. Col Grêmio ho partecipato tre volte alla settimana al Lapidar. E questo mi ha aiutato molto», ha spiegato in un’intervista, riferendosi al progetto in cui l’Imortal lo ha coinvolto per favorirne l’ambientamento. Oltre a somministrare nozioni tecnico-tattiche, nei sei mesi del Progetto Lapidar, il lavoro dello staff nerazzurro è stato anche quello di accompagnarlo nell’evoluzione psico-fisica, irrobustendone la struttura muscolare, magari buona per il futsal, ma troppo gracile e leggerina per farsi strada nella giungla del calcio brasiliano: «Sapevamo che aveva bisogno di un club con più strutture per crescere fisicamente», ha dichiarato Wagner Diolin, direttore tecnico della Cataduvense (uno degli ultimi porti di Luan prima dell’approdo a Porto Alegre), con quella soddisfazione tipica di chi si compiace di averci visto lungo. Solo un anno più tardi, dopo aver guadagnato 3,5 kg di massa muscolare, debuttando da professionista nel torneo statale, già si ritrovava appiccicata addosso l’etichetta di giocatore rivelazione del Gauchão.

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L’eredità del futsal

Ademir Correa, il responsabile del progetto Toque de Bola/Smel, uno dei primi ad averlo avuto alle dipendenze, lo ricorda come un “salonista” nato: «Non mi ha mai dato problemi. Non è mai stato espulso, e non ha mai saltato un allenamento: è sempre stato la soluzione ai miei problemi. Anzi, dribblava pure gli arbitri». Non è soltanto un caso, quindi, se, osservando giocatore Luan, si ha la sensazione di un giocatore polifunzionale con una sensibilità superiore alla norma, cioè con un tocco più vellutato della media, e dal controllo pressoché impeccabile, lascito tangibile di quella palestra del futsal da cui è stato plasmato. Arrivato al Grêmio da centravanti puro, è stato Roger Machado ad assecondarne l’indole associativa, arretrandone il raggio d’azione e schierandolo da mezza-punta o, tutt’al più, da falso nove in grado di rimbalzare tra le linee e mandare in tilt i radar difensivi avversari, preparando il terreno per le incursioni delle mezzali: «Mi piace dribblare, stare lì davanti. Ma non amo i confronti: ho il mio stile di gioco», ha spiegato il diretto interessato a chi gli chiedeva di paragonarsi a qualcuno. Senza grossi dubbi, come forse normale per un ex salonista, il pezzo forte del repertorio comunque variegato di Luan è il dribbling: l’elevata velocità di pensiero e l’ampio set di giocate di cui dispone, oltre ad un repentino cambio di direzione tipico di chi è abituato a destreggiarsi in spazi angusti, poi, ne aumentano l’imprevedibilità, rendendo praticamente impossibile per gli avversari possedere la chiave per decifrarne le intenzioni quando vengono puntati e avvertono il rischio concreto di fare la figura dei birilli.

Il cucchiaio in Libertadores contro il Lanús

Pur essendo un giocatore incantevole, in grado di tirare fuori dal cilindro giocate lussureggianti come lo scavino di zucchero filato esibito col Lanús in finale di Copa Libertadores, Luan non ha le doti paranormali di Messi, come qualcuno ha avventatamente alluso chiamandolo “Luanel”, né tantomeno ricorda l’istrionismo funambolico di Ronaldinho a cui altri lo hanno paragonato altrettanto incautamente: ma appartiene piuttosto a quella categoria di giocatori superiori in un senso quasi intellettuale, in grado di interpretare al meglio le fasi di una partita, condizionandone per certi versi anche l’andamento, pur non possedendo il potere tipico dei grandi fuoriclasse di sottometterla alla propria volontà. Anche se nell’ultima Libertadores è andato a segno otto volte, soltanto una in meno del capocannoniere del Lanús Pepe Sand, e si è guadagnato con merito la palma di miglior calciatore della competizione, Luan non è un giocatore che «vince le partite da solo», a voler usare un luogo comune sempre troppo spesso frequentato nel racconto calcistico: piuttosto ricalca l’archetipo di quello in grado di cambiarle, senza avere però la proclività pantocratica di dominarle. È come una stella di per sé brillante, ma con un grado di magnitudine non sufficiente, seppur elevato, ad illuminare di luce riflessa i pianeti che gli orbitano intorno.

Il meglio del 2017 di Luan

Nonostante questo, però, qualcuno lo inserisce già nell’élite del calcio verdeoro: «Oggi Luan è tra i cinque calciatori brasiliani più forti», ha assicurato, forse esagerando, Tostão.

Non deve meravigliare, quindi, se le big d’Europa hanno posato gli occhi sull’attaccante gremista: in estate prima la Sampdoria, e poi lo Spartak Mosca, sono sembrate ad un passo dal chiudere l’affare. Ma, per quanto la corte possa essere stata serrata, alla fine Luan ha preferito restare in Brasile, prolungando il contratto col Grêmio fino al 2020. Se prima poteva essere legittima l’ambizione di rimanere per sollevare la Libertadores col Grêmio, adesso, però, magari dopo aver sfilato lo scettro iridato al cannibalismo del neo Pallone d’oro Cristiano Ronaldo, il grande salto nel calcio europeo appare improcrastinabile: il rischio concreto, altrimenti, è quello di rallentare ulteriormente, e forse fatalmente, una carriera partita già in ritardo.

 

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