I limiti di Belotti

Quali sono i motivi della stagione sotto le attese di Andrea Belotti?

Con la rete realizzata contro il Napoli, la quarta del suo campionato, Andrea Belotti ha interrotto un digiuno che durava dallo scorso 20 settembre (vittoria esterna – l’ultima – del Torino a Udine): in mezzo, un fastidioso infortunio al ginocchio che l’ha tenuto fermo quasi un mese (e che lo ha condizionato pesantemente anche in occasione dello spareggio mondiale contro la Svezia) e uno scadimento del rendimento generale perfettamente esemplificato proprio dalla sfida con i partenopei. Gol a parte, infatti, la coppia formata da Albiol e Koulibaly ha avuto ben poche difficoltà ad arginare il centravanti granata, impedendogli di puntare direttamente la porta e costringendolo a girare al largo dell’area di rigore: una situazione simile a quella verificatasi in occasione del pareggio interno contro l’Atalanta, probabilmente la peggiore gara stagionale di Belotti, con Mattia Caldara che ha trovato costantemente l’anticipo sul numero 9 avversario, rendendo di fatto nullo il suo apporto alla manovra offensiva dei padroni di casa.

Le heatmap di Belotti in occasione delle sfide contro Atalanta (a sinistra) e Napoli (a destra) mostrano come il centravanti granata sia facilmente disinnescabile se costretto a giocare spalle alla porta e al di fuori dell’area di rigore: in 180’ sono stati appena 96 i palloni toccati (poco più del 10% quelli all’interno degli ultimi 16 metri) e due le occasioni create, con una pass accuracy di poco superiore al 60%

Il tutto a un anno di distanza dall’introduzione nel contratto della clausola rescissoria da 100 milioni di euro (valevole solo per l’estero). Chiedersi se il Gallo valga davvero quei soldi è legittimo; farlo ponendo i necessari disclaimer tecnico-tattici che influenzano lo sfruttamento o meno delle sue doti lo è altrettanto. Senza contare che, a 23 anni e con dei margini di miglioramento che appaiono momentaneamente cristallizzati, appare difficile non essere d’accordo con Christian Vieri che, in occasione di un’intervista a Sky Sport, gli ha consigliato «andare il prima possibile in una grande squadra per compiere un ulteriore salto di qualità».

Di base, Belotti è un centravanti vecchio stampo che ha nell’associatività delle sue giocate (sette assist e 63 passaggi chiave da agosto 2016 ad oggi) e nella grande partecipazione in fase di non possesso (a eccezione di Mario Mandzukic – che però gioca spesso da esterno adattato – e Mauro Icardi, è l’attaccante puro con più azioni difensive di media in Serie A) i caratteri di una modernità che gli hanno permesso di trovare una notevole continuità di rendimento dopo un inizio di carriera tra alti e bassi. Parliamo, però, di un giocatore che, per rendere al meglio, ha bisogno di godere di ampia libertà d’azione per quel che riguarda i movimenti (tanto in ampiezza quanto in profondità)  da effettuare sull’intero fronte offensivo: affiancargli una seconda punta o, peggio, un omologo (come accaduto con Immobile contro la Svezia) con cui condividere l’ultimo terzo di campo significherebbe costringerlo a sincronismi di coppia e scambi sul lungo-corto che non sono, e presumibilmente non saranno mai, nelle sue corde.

Non è un caso, quindi, che la svolta sia arrivata quando Belotti ha incontrato per la prima volta un allenatore che gli ha affidato il ruolo di primo e unico riferimento offensivo, con due ali a tutto campo schierate sul piede invertito con il compito di creare gioco e superiorità numerica sugli esterni. Una delle chiavi dell’iniziale successo del Torino di Mihajlovic versione 2016/17, risiedeva, infatti, nella capacità del 4-3-3 di mettere Belotti in grado di fare la differenza sempre e comunque, sfruttando al meglio la sua fisicità fronte e spalle alla porta e una notevole capacità di attacco della profondità, in un movimento che, come ha scritto Francesco Paolo Giordano su queste pagine, «si accorcia e si allunga in previsione dei movimenti della difesa avversaria, in modo da assicurare sempre profondità e agevolare l’inserimento in area dei compagni». A un certo punto della stagione, inoltre, il Gallo era arrivato a realizzare il 40% delle reti della squadra (dopo le prime 17 giornate i gol erano già 11, con una precisione di tiro che sfiorava un irreale 65% e il numero di tiri complessivi passato dai 2,40 dell’ultima gestione Ventura a quasi 4 di media a partita). A fine stagione le realizzazioni sono state 26 in 35 presenze, con un’ampia varietà di soluzioni (cinque reti di sinistro, undici di destro e dieci di testa) a certificare l’ingresso tra i centravanti più prolifici del continente.

Lo spettacolare 2016/17 di Andrea Belotti in maglia granata

I problemi sono cominciati quando, complice la cessione di Benassi alla Fiorentina negli ultimi giorni di mercato, Mihajlovic ha scelto di passare al 4-2-3-1, inserendo un uomo tra le linee (Ljajic, con Berenguer esterno alto a sinistra) per facilitare lo sviluppo della manovra per vie centrali. Dopo un inizio incoraggiante (11 punti in cinque partite), il ko contro la Juventus ha messo a nudo i limiti di una squadra che ha progressivamente perso certezze (due sconfitte nelle successive quattro gare) e fluidità e nemmeno il ritorno al 4-3-3 ha migliorato le cose. Belotti ha continuato ad essere servito poco e male: tra le prime dieci della classifica, il Torino è quella che tira di meno negli ultimi 16 metri, con poco meno di sei conclusioni a partita (poco per chi può contare su un centravanti che ha realizzato il 95% dei suoi gol in area), oltre a risultare la decima totale per occasioni create e l’undicesima per cross tentati (e Belotti ha nel gioco aereo il punto forte, con il 30% dei gol dell’ultima stagione arrivati da queste situazioni). Di fatto è come se i granata si fossero privati della loro principale arma offensiva, con il rigore sbagliato nell’1-1 interno contro il Chievo a sancire un’involuzione pesante anche dal punto di vista mentale. Al di là di una crisi certificata dai numeri (quattro gol in 14 presenze, appena il 10,3% di conversion rate), l’impressione è quella di un giocatore che, a dispetto della fiducia incondizionata dell’ambiente, appare schiacciato dal peso delle responsabilità, al punto da esporsi poche volte in prima persona per provare a spiegare questo momento particolare della sua carriera. E anche lo stesso Mihajlovic, pur avendolo invitato a più riprese a «allenarsi, giocare e stare sereno», non ha potuto fare a meno di sottolineare, alla vigilia dell’impegno contro il Napoli, come al Torino «manchino i gol degli attaccanti».

Lo straordinario gol in acrobazia contro il Sassuolo alla seconda giornata: uno dei pochi lampi di Belotti in questa stagione

Fino a che punto, quindi, il pagamento della clausola sarebbe giustificabile per un giocatore che necessita di un determinato sistema di gioco per massimizzare l’impatto delle sue prestazioni? Ancora una volta è il tecnico serbo a fornire un’efficace chiave di lettura: «Il valore di un giocatore lo fa il mercato. Tutte le cifre che ci sono adesso sono esagerate, per chiunque. Non penso che un giocatore possa valere 90-100 milioni, neanche Pogba o Higuaín. Se fosse così dovrebbero fare 4 gol a partita e vincere da soli». In un momento storico in cui, a un calciomercato “drogato” dai soldi provenienti dalla Premier e/o dagli sceicchi di turno si aggiunge una carenza di prime punte di livello ancora appetibili dalle grandi d’Europa, la valutazione che Cairo ha dato al suo centravanti non appare del tutto fuori dal mondo, soprattutto considerando quel potenziale upgrade che Belotti promette di compiere da un momento all’altro.

Non si tratta, però, di un dettaglio scontato, anzi: il reale potenziale del Gallo rischia di restare inesplorato, vincolato com’è ad una realtà, non solo tecnica, che comincia ad andargli stretta. Se da un lato, infatti, non si può non concordare con Roberto Mussi quando, all’indomani del rinnovo contrattuale, dichiarava di non vedere in Belotti «doti da top player ma solo grandi margini di miglioramento», dall’altro la sensazione è quella di un giocatore che ha già espresso il massimo delle sue possibilità in relazione all’attuale contesto tecnico dei granata, con un’ulteriore crescita a medio-lungo termine che appare improbabile in caso di permanenza. Il fatto, poi, che nessun club di prima fascia abbia bussato con convinzione alla porta di Cairo è il segnale che Belotti rappresenta un rischio ancora troppo poco calcolato, anche per chi avrebbe la disponibilità economica per poterselo permettere. E questo nonostante l’endorsement di Ronaldo che, non più tardi di qualche mese fa, aveva dichiarato alla Gazzetta dello Sport: «Ho visto il suo gol contro il Sassuolo: chi segna in quel modo non ha semplicemente talento ma anche grande fiducia in se stesso. Ed è quello di cui ha bisogno l’Italia calcistica in questo momento: qualcuno che abbia il coraggio di provare qualcosa di incredibile».

 

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