Come rinasce Dybala

Quale il miglior modo per esaltare l'argentino nel 4-3-3 di Allegri? Il secondo tempo di Verona ha dato indicazioni preziose.

Prima della doppietta risolutiva al Verona (entrambi i gol di destro, pareggiando in cinque minuti lo score dell’intera carriera in Serie A con il piede debole), Paulo Dybala, con appena 121 minuti disputati nelle precedenti quattro gare di campionato (in un trittico che ha compreso i tre scontri diretti contro Napoli, Inter e Roma), poteva tranquillamente essere considerato una riserva della Juventus. Una circostanza che ha dell’incredibile se si considera un inizio di stagione da 10 gol nelle prime sei partite (12 in sette prendendo anche la finale di Supercoppa Italiana contro la Lazio), meno se si pensa che, negli ultimi due mesi, la “Joya” aveva trovato la via delle rete appena due volte in Serie A e una in Coppa Italia, oltre a un girone di Champions League oggettivamente sottotono caratterizzato dallo zero alla casella gol/assist in 502’ complessivi di gioco.

Al di là del mero aspetto realizzativo, a colpire era soprattutto la difficoltà di collocazione del numero 10 nel sistema bianconero e la conseguente perdita della centralità nello stesso. Allegri sembrava aver trovato la quadra grazie ad un 4-3-3 spurio in cui, oltre al consueto apporto in fase di non possesso di un Mario Mandzukic ormai da considerarsi un esterno atipico a tutti gli effetti, è risultato determinante l’inserimento in pianta stabile di un terzo centrocampista sul lato sinistro del campo (principalmente Matuidi) per coprire meglio lo spazio in ampiezza e recuperare quell’equilibrio difensivo che sembrava smarrito (dodici le reti subite in otto partite fino a metà novembre, prima di otto clean sheets consecutivi tra campionato e coppe). Le possibilità di impiego di Dybala, quindi, sembravano essere limitate al ruolo di falso nueve in un tridente offensivo completato da due esterni puri come in occasione della gara di Coppa Italia contro il Genoa («in questo modulo Dybala può giocare solo lì», ha confermato Allegri) o di trequartista sui generis nel 4-3-2-1 visto a Napoli, quando, in combinazione con Douglas Costa, ha costruito la rete da tre punti di Higuaín. Il secondo tempo della gara del Bentegodi, invece, ha dimostrato come l’argentino, in questa fase storica della sua carriera, riesca a dare il meglio di sé quando può agire, fronte porta, immediatamente a ridosso della prima punta di riferimento nel 4-2-3-1: un sistema, però, che la Juventus non è ancora in grado di sostenere dal punto di vista fisico per tutti i 90’.

Le heatmap di Dybala nella gara contro il Verona mostrano chiaramente come la qualità del rendimento vari a seconda della posizione in campo: nel primo tempo (a sinistra), agendo da trequartista di destra e dovendo dividere con Mandzukic lo spazio alle spalle di Higuain, l’argentino ha faticato molto ad entrare in partita, vedendosi costretto ad arretrare a metà campo per ricevere palloni giocabili. Nei secondi 45’, invece, l’ingresso di Bernardeschi ha riportato Dybala nel suo ruolo naturale, permettendogli di agire una decina di metri più avanti e di disporre a piacimento della trequarti offensiva: doppietta a parte, sono arrivate altre due conclusioni nello specchio (per un totale di 4 su 5), tre dribbling riusciti su quattro e un’ulteriore occasione creata, con una pass accuracy dell’88%

Il rebus che Allegri è chiamato a risolvere non è semplice: da un lato c’è un giocatore in grado di esaltarsi a piacimento in un modulo che gli ha permesso di crescere in maniera esponenziale nell’ultimo anno; dall’altra c’è una condizione fisica perfettibile che mal si sposa con le attuali esigenze di compattezza di una squadra ancora alla ricerca di un’identità di gioco definita e fluida, soprattutto per quel che riguarda la manovra offensiva, ancora poco organica e fin troppo legata alle intuizioni dei singoli. L’analisi delle ultime prestazioni può costituire, quindi, un’efficace chiave di lettura di quel che potrà essere il suo apporto nella seconda parte della stagione, alla ricerca del giusto compromesso tra l’esaltazione delle caratteristiche di base del singolo e le necessità di equilibrio del collettivo, in attesa che la condizione fisica generale della squadra consenta la riproposizione in pianta stabile del 4-2-3-1 e che l’esame da falso nueve venga superato al cospetto di avversari maggiormente probanti rispetto al Genoa di Coppa Italia.

FBL-ITA-SERIEA-VERONA-JUVENTUS

Proprio in occasione della sfida di Coppa contro i rossoblù, gol dell’1-0 a parte, Dybala ha fortemente condizionato l’intera manovra offensiva della squadra in relazione alla sua personale interpretazione del ruolo di centravanti: di fatto, con il numero 10, impegnato a “svuotare” l’area di rigore abbassandosi sulla linea dei centrocampisti per ricevere il pallone tra le linee, sono stati Marchisio e Sturaro, mezzali di corsa e inserimento sgravati dai compiti di prima costruzione grazie alla presenza di Bentancur, i giocatori offensivamente più pericolosi dei bianconeri nella prima mezz’ora, lasciando progressivamente il proscenio a Douglas Costa e Bernardeschi che hanno cominciato ad attaccare con più convinzione la profondità nel momento in cui i movimenti di Dybala hanno creato parecchi spazi da sfruttare alle spalle della linea difensiva genoana. Si è trattato, quindi, di un parziale ritorno alle origini quando, agendo da primo e unico riferimento offensivo, il ventiquatrenne di Laguna Larga si consacrò nel Palermo di Beppe Iachini (13 gol in 37 partite nel 2015/16). Con una sostanziale differenza: nel 3-5-1-1 del tecnico ascolano, dalla natura fortemente reattiva, il ruolo di raccordo tra centrocampo e attacco era affidato a Franco Vazquez, con Dybala che poteva gestirsi liberamente l’ultimo terzo di campo, creando per sé e per gli altri (10 assist e 64 passaggi chiave complessivi), affinando contestualmente le sue doti di finalizzatore puro (oltre il 60% delle sue conclusioni arrivavano negli ultimi sedici metri).

La partita del San Paolo, di contro, ha mostrato la nuova predisposizione dell’argentino in fase passiva, vera conditio sine qua non prodromica al suo impiego, almeno in questa fase della stagione, contro squadre proattive e naturalmente portate al controllo del palleggio come il Napoli di Maurizio Sarri: al di là del passaggio vincente a Higuain, Dybala si è segnalato per aver schermato l’azione di Jorginho, ostruendogli le principali linee di passaggio in costruzione bassa, sacrificando molto del suo apporto in fase di rifinitura/finalizzazione (appena una conclusione e un’occasione creata in 90’) e provando ad offrire contestualmente un appoggio con palla in uscita per favorire la risalita del campo. Una prestazione che, pur non rubando l’occhio, è stata molto sottovalutata nella sua efficacia complessiva, per quanto migliorabile nella continuità dell’azione in entrambe le fasi.

I numeri relativi alle prestazioni di Dybala contro Napoli (a sinistra) e Genoa (a destra) sembrano raccontare di un giocatore molto più incisivo quando ha potuto agire da fulcro di un sistema offensivo parametrato alla suo essere centravanti atipico. In realtà anche contro gli azzurri l’argentino ha trovato il modo di risultare decisivo, dimostrandosi particolarmente recettivo in relazione alla particolare interpretazione del ruolo di trequartista richiesta da quella partita: segno di come Allegri stia cercando di accentuare la multidimensionalità e la capacità di read and react del suo numero 10

È stata invece accantonata l’ipotesi di impiego come esterno destro à la Messi pre insediamento di Valverde. Non solo per l’ancora scarsa attitudine di Dybala a tagliare il campo per vie interne in conduzione («Non so se e quanto questo confronto gli pesi, ma sono due giocatori fisicamente diversi», ha detto Allegri), rientrando sul piede forte per crearsi lo spazio per la conclusione o l’assist, ma anche per l’assenza di un terzino alla Dani Alves che faciliti lo scambio e la creazione della superiorità numerica e posizionale pur in situazioni di sovraccarico della zona palla: tanto De Sciglio quanto Lichtsteiner, infatti, offrono un’interpretazione piuttosto scolastica del ruolo, optando prevalentemente per la sovrapposizione per essere serviti in situazione dinamica piuttosto che provare a sincronizzarsi con l’esterno e la mezzala di riferimento, magari partendo da fermo per poi accentrarsi attaccando lo spazio liberatosi alle spalle di questi ultimi.

Ma, come detto, è da trequartista nel 4-2-3-1 che la Joya è riuscito ad esprimersi al massimo delle sue possibilità, oltre a mostrare ulteriori margini di miglioramento nel prossimo futuro. Se qualche mese fa scrivevamo che «il Dybala 2016/17 è una mezzapunta che, sacrificando qualcosa in fase realizzativa, ha imparato a fare la differenza negli ultimi trenta metri, indipendentemente dal set offensivo utilizzato», l’inizio di 2017/18 ci ha consegnato un giocatore ugualmente totalizzante ma molto più consapevole dei propri mezzi, che ha ulteriormente avanzato il proprio raggio d’azione (con la crescente influenza di Pjanic in fase di prima costruzione che, già nella scorsa stagione, aveva permesso all’argentino di ricevere palla tra le linee e molto più fronte porta rispetto al 3-5-2), raddoppiando il numero di tiri presi (dai tre di media dell’anno scorso agli oltre sei attuali: ad oggi siamo già a 52 conclusioni complessive nella sola Serie A, contro le 65 dell’ultimo campionato: è il giocatore che tira di più in porta da fuori area dei cinque maggiori campionati europei), aumentando la qualità degli stessi (come dimostra una shot accuracy cresciuta di oltre dieci punti percentuali, dal 48 al 57), attestandosi sugli stessi standard dell’ultima annata per le occasioni create (al momento siamo a 42, contro le 73 dell’ultima stagione) e mostrando la varietà di soluzioni tipica dell’attaccante moderno, all’interno di un contesto che sembrava essere stato cucito su misura per massimizzare l’impatto delle sue prestazioni. Tradotto: più Dybala è vicino alla porta (sgravato dal dover essere costruttore prima e finalizzatore poi), più il suo indice di pericolosità aumenta in maniera esponenziale. L’ultimo e definitivo salto di qualità era sul punto di compiersi.

Il folgorante inizio di 2017/18 di Dybala

Come detto, però, contestualmente al calo di rendimento, è arrivata la scelta di Allegri di derogare, non si sa quanto momentaneamente, dal modulo che aveva portato la Juventus a scoprire una nuova e insospettabile dimensione offensiva. Il motivo è stato spiegato alla vigilia della partita casalinga contro il Barcellona: «Analizzando la prima parte della stagione, diciamo che c’è da migliorare la fase difensiva. Bisogna trovare equilibrio per concedere meno tiri. Non è questione di sistemi di gioco ma di atteggiamento. Dobbiamo predisporci al sacrificio quando hanno palla gli avversari». E per quanto ancora il tecnico livornese abbia provato a gettare acqua sul fuoco dopo la terza panchina consecutiva patita contro la Roma («È un momento dove ci sono altri che meritano di giocare di più. Faccio delle scelte e Paulo è intelligente: ci sono tante partite, tornerà a farcele vincere»), appare evidente come l’argentino sia attualmente il sacrificato principale sull’altare della ritrovata compattezza di squadra.

Questo non vuol dire, però, che la Juventus debba prescindere dal suo fuoriclasse, tanto più che il background di Dybala è quello di un giocatore che, da quando è in Italia, ha saputo adattarsi molto rapidamente ai diversi ruoli ricoperti nei vari contesti tattici in cui si è trovato ad operare, in ossequio a quel potenziale da giocatore offensivamente totale che il suo attuale gli ha sempre riconosciuto («Non deve pensare solo al gol, perché non sarà mai uno da trenta gol in campionato, deve pensare a giocare e anche a fare assist»). Al momento, comunque, la soluzione ideale sembra essere quella che lo vede impiegato come trequartista di destra a tutto campo nel 4-3-2-1: in questo modo l’equilibrio collettivo verrebbe a conciliarsi con le esigenze del numero 10 di trovarsi più vicino all’area di rigore per poter incidere in prima persona (tanto più che l’intesa e i sincronismi con Higuain continuano a migliorare) e creare spazi e linee di passaggio sfruttabili dai compagni chiamati ad inserirsi senza palla dal lato debole. A patto che si riescano a bilanciare le energie da spendere nelle due fasi senza che l’una risulti troppo pregiudizievole per l’altra e che finalmente venga raggiunta quella continuità di rendimento che continua a fargli difetto in alcuni momenti della stagione.