Lo scandalo sessuale che sta scuotendo i Dallas Mavericks

Ci sono molte accuse di molestie nei confronti di Terdema Ussery, l’ex presidente e Ceo della squadra.

L’onda lunga degli scandali sessuali nel mondo dello sport americano ha travolto anche il basket. Dopo la decisione della Ncaa di revocare il titolo vinto dai Louisville Cardinals nel 2013 a causa dei metodi di reclutamento di Andre McGee (un ex membro dello staff che, tra il 2011 e il 2015, per convincere i giocatori ad entrare nella squadra avrebbe organizzato spettacoli di spogliarelli e atti sessuali in un dormitorio del campus), un’inchiesta condotta da Jon Wertheim e Jessica Luther per Sports Illustrated ha rivelato come anche in casa dei Dallas Mavericks (campioni Nba nel 2011) si siano consumati per anni comportamenti discriminatori e sessisti (spesso sfociati in vere e proprie molestie o richieste sessuali esplicite) nei confronti delle donne che lavorano o hanno lavorato per l’organizzazione.

Protagonista della vicenda l’ex presidente e Ceo Terdema Ussery, che per 18 anni ha ricoperto ruoli importanti all’interno della franchigia texana prima del suo addio nel 2015. Nei suoi confronti sono state raccolte numerose testimonianze di  impiegate che hanno raccontato il dietro le quinte di una vicenda dai contorni inquietanti: «Era come essere dentro ad Animal House. E parlo al passato solo perché non lavoro più lì: sono certa che certe cose continuino ancora», ha spiegato una donna che ha lavorato cinque anni nei Mavs. Sono stati dozzine i racconti di chi ha dichiarato di aver lasciato quell’ambiente di lavoro a causa di una struttura che le lasciava «deboli, vulnerabili ed esposte continuando, nel contempo, a proteggere e dare incarichi di responsabilità ad uomini che si sono comportati in maniera poco consona».

Il proprietario dei Dallas Mavericks Mark Cuban (Kevin C. Cox/Getty Images)

«La mancanza di supervisione e controllo a tutti i livelli era preoccupante . Non ti senti più sicura quando vai al lavoro e non passa molto tempo prima che subentri la necessità di cercartene un altro in un settore diverso. E poi ci si chiede perché ci siano poche donne che lavorino nel mondo dello sport», ha dichiarato un’altra testimone. In molte, poi, hanno confermato che i comportamenti di Ussery erano noti da tempo e che, alle nuove arrivate, veniva raccomandato dalle altre dipendenti di «fare attenzione al presidente ed evitare di restare sole in ascensore con lui». Ma, evidentemente, non bastava: «Mi sentivo terrorizzata, in trappola. Lui era il capo e nessuno avrebbe mai fatto nulla per mandarlo via» ha raccontato una ragazza, sottolineando come, negli anni, tutte le lamentele espresse ad altri dirigenti e al responsabile delle risorse umane Buddy Pittman siano cadute nel vuoto. Gli unici momenti  in cui le impiegate potevano dirsi al sicuro erano quelli trascorsi con i giocatori: «Lo spogliatoio era un rifugio. Ho avuto a che fare con tantissimi giocatori per molto tempo e non ho mai avuto un singolo problema con loro. Poi, però, tornavo in ufficio ed era come essere allo zoo: la mia ansia diminuiva quando stavo con i giocatori ed aumentava quando sedevo alla mia scrivania», ha rivelato un ex membro dello staff.

Raggiunto da Sports Illustrated nella giornata di martedì, Ussery ha negato ogni cosa: «Sono accuse false e denigratorie. Nei miei quasi vent’anni ai Mavericks non sono mai venuto a conoscenza di reclami nei miei confronti riguardanti molestie sessuali o altri comportamenti inappropriati. Anzi in numerose occasioni sono stato il primo a mettere in guardia l’organizzazione su altri dipendenti che tendevano ad avere condotte inappropriate: nessuno, però, si è mai occupato fino in fondo di questa storia e credo che tutto questo sia un tentativo di darmi la colpa dell’incapacità altrui di rimuovere chi ha creato un ambiente di lavoro simile». Eppure, nonostante la franchigia abbia già annunciato, tramite comunicato ufficiale, l’apertura di un’indagine interna per fare chiarezza, il proprietario Mark Cuban si è detto «allibito e disgustato. È sbagliato e ripugnante: si tratta di un qualcosa di fronte alla quale non possiamo far finta di non vedere. In passato erano state riferite certe cose ma ogni volta che andavo dal nostro responsabile delle risorse umane lui mi diceva che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Per questo ho subito provveduto a licenziarlo. Non posso tollerare quello che ho letto, mi sento come se avessi un forte mal di stomaco».

Cosa è successo a Dallas?

I guai per il proprietario, però, potrebbero non essere finiti. Ulteriori ombre sulla vicenda arrivano dalla storia di Earl K. Sneed, giornalista per il sito ufficiale della squadra, accusato nel 2014 di violenza domestica nei confronti della compagna, dopo aver patteggiato due anni prima un’accusa simile per atti violenti nei confronti della ex fidanzata. Nonostante questo, però, Sneed ha mantenuto il suo posto di lavoro, confermando in una nota inviata a ESPN di aver firmato un contratto in cui gli era fatto divieto di fraternizzare o avere contatti di alcun tipo con le altre impiegate donne dell’organizzazione. Anche Sneed, così come Pittman, è stato licenziato dopo la pubblicazione dell’inchiesta, con Cuban ha voluto comunque sottolineare come lui fosse all’oscuro di tutto, occupandosi quasi esclusivamente della gestione sportiva e finanziaria della franchigia. Tuttavia la lega ha già informato di “seguire da vicino la vicenda” e sono in molti a credere che anche la posizione del proprietario possa essere in discussione: la costituzione della Nba, infatti, dà pieni poteri al commissioner Adam Silver di sanzionare pesantemente chiunque si sia reso protagonista di comportamenti che abbiano minato l’immagine e la credibilità della Nba stessa. L’ultimo precedente in tal senso è quello di Donald Sterling, costretto nel 2014 a cedere i Los Angeles Clippers a causa dei toni razzisti utilizzati in una telefonata privata.