La carriera e il racconto di Federico Chiesa sono imbevuti allo stesso momento di coerenza, diversità, consapevolezza: tutto sembra essere differente eppure perfetto, ogni cosa è insolita ma anche al posto giusto, ed è impossibile non rendersene conto. È un discorso composito che riguarda il suo impatto sul nostro calcio, il suo modo di giocare e di stare in questo mondo, ma anche la percezione rispetto alle sue qualità e alla sua figura. In un’intervista rilasciata un mese fa al Corriere dello Sport, Federico dice: «Non ti fanno giocare perché sei figlio d’arte, ti fanno giocare se sei forte. Il calcio è uno dei luoghi della vita in cui non ci sono, non ci possono essere, raccomandazioni o titoli ereditari. Conta il merito, solo il merito». La coerenza sta nel fatto che tutto questo è vero, soprattutto nel suo caso. La consapevolezza e la diversità stanno nel fatto che Federico sa e dice di essere forte, esattamente come lo sappiamo e lo diciamo noi. Questo tipo di convergenza, assoluta e trasversale, non si verifica molto spesso.
Anche l’esplosione di Chiesa sembra corrispondere a questo senso di compiutezza, a questa richiesta di perfezione e di novità: Federico esordisce in Serie A a 19 anni da compiere, in casa della Juventus, dando il via a un miglioramento progressivo e apparentemente inarrestabile, senza intoppi; oggi ha vent’anni e mezzo, è un giocatore centrale nel progetto della Fiorentina e stasera potrebbe disputare la sua prima partita in Nazionale. Un viaggio breve eppure già consistente, con il suo debutto l’Italia si avvicinerebbe alle rappresentative di riferimento – almeno per quanto riguarda il rapporto con i giocatori più promettenti. Già dopo la fallimentare esperienza al Mondiale brasiliano del 2014, James Horncastle scriveva di come il calcio italiano facesse fatica a «costruire una cultura in grado riconoscere, sviluppare e lanciare i suoi giovani». A novembre 2017 è venuta la mancata qualificazione alla Coppa del mondo in Russia, con una squadra fondata sul primato dell’esperienza (nel match di San Siro contro la Svezia, l’età media degli undici titolari era di 30 anni esatti). Ora sembrano esserci dei segnali di cambiamento, e Chiesa ha già un ruolo importante nella possibile svolta, è un protagonista affidabile di un futuro che è già cominciato – e che appartiene anche a Donnarumma, Rugani, Pellegrini, Barella, Cutrone.
Federico Chiesa compilation
Il contesto in cui Chiesa sta edificando la sua carriera è in continuità con un profilo tecnico non convenzionale. Non è esagerato, né declassante, pensare e scrivere che la sua affermazione sia da attribuire all’esuberanza fisica e all’etica del lavoro, piuttosto che alla raffinatezza dei fondamentali. Paolo Bandini, sul Guardian, ha descritto così il gioco e l’atteggiamento di Chiesa: «La costruzione del calciatore non è ancora terminata, per esempio ha la tendenza a mantenere la testa bassa in fase di possesso palla. Ma il suo impegno e la sua fiducia sono già molto convincenti, anche ad altissimi livelli». Anche questa è una condizione alternativa rispetto alle tradizioni del calcio italiano, di solito i nostri prospetti più interessanti hanno un talento chiaro ma sono acerbi dal punto di vista atletico e/o psicologico. Il percorso di formazione di Chiesa è iniziato e sta proseguendo in senso opposto: una struttura muscolare portentosa gli ha permesso di imporsi nella Primavera della Fiorentina, e di affacciarsi alla prima squadra; all’impatto con la Serie A si è presentato come un giocatore ipercinetico, naturalmente incline al sacrificio, con una tecnica percettibile ma ancora da razionalizzare.
La dimensione tattica dell’evoluzione di Chiesa è stata descritta così in un pezzo pubblicato da Undici a dicembre 2017: «Dopo l’esordio come spalla sui generis di Kalinic, Paulo Sousa decide di sfruttarne le capacità di resistenza, corsa e dribbling come esterno di destra nel suo 3-4-2-1 asimmetrico. Durante questa stagione, Pioli ha deciso di ricostruirlo come ala pura (a destra, ma anche sulla fascia mancina) nel suo 4-3-3. E potrebbe non essere finita qui, visto che il tecnico dell’Under 21 Di Biagio lo vede come “uno che può fare tutto, dall’esterno di centrocampo alla mezzala”. Una trasformazione ulteriore che richiederà tempo e, soprattutto, una maggiore associatività nelle scelte e nelle giocate – magari incanalando l’esplosività e l’istintività su tracce più interne allo sviluppo della manovra». È il prossimo step della crescita di Chiesa, e passerà necessariamente per il miglioramento delle statistiche qualitative. In questa prima stagione da esterno offensivo puro, la precisione nelle conclusioni (36% su 84 tiri, il peggior dato tra i calciatori che superano gli 80 tentativi) e la quantità di occasioni create (2 assist decisivi e 36 passaggi chiave in 27 partite, Biraghi e Veretout arrivano a quota 45) sono ancora lontane dall’eccellenza. Chiesa ha un gioco impulsivo, diretto, elettrico come il suo atteggiamento in campo, possiede un portfolio importante ma ancora in fase di indicizzazione, soprattutto dal punto di vista puramente tecnico. Non è irrealistico pensare che questo suo approccio emotivo al calcio finisca per limitare la sua cifra di qualità. Lo ha ammesso anche lui, in un’intervista al Corriere della Sera: «Devo migliorare la gestione della palla».
Federico Chiesa, gol in due tocchi: definizione dell’istintività
Nella stessa intervista, Chiesa riconosce l’eccezionalità della propria storia. La domanda riguarda il calcio italiano, la ritrosia al lancio dei giovani, e Federico risponde netto: «Io sono l’esempio contrario». In questo modo si materializza il discorso fatto in precedenza sulla carriera controculturale di Chiesa, sulla diversità e sulla velocità della sua affermazione rispetto ai tòpoi del nostro movimento. Probabilmente, Federico non ha ancora la caratura necessaria per sostenere un ruolo da leader tecnico, per essere un riferimento assoluto in una squadra come la Fiorentina – quindi neanche in Nazionale. Allo stesso tempo, però, il suo percorso racconta una nuova forma possibile della realtà, dice che è possibile lanciare prima il talento per cercare poi di coltivarlo, che è sensato perseguire la maturazione dei giovani all’interno di un contesto competitivo. Anzi, probabilmente è la strada migliore per intercettare e far crescere i campioni del futuro.
Chiesa è rappresentante e rappresentazione di una nuova cultura giovanile, già metabolizzata in altre nazioni e che è in via di affermazione anche da noi: è uno dei 16 calciatori Under 21 ad aver giocato più di 1000 minuti in un club di Serie A – 10 di questi sono italiani. Si tratta di una cifra bassa rispetto ad altre leghe (in Bundesliga si tocca quota 34, la Ligue 1 arriva a 42), in linea con il campionato spagnolo (16) e con quello inglese (20), ma in netto miglioramento rispetto alla tendenza più recente. Basti pensare che un anno fa appena 10 Under 21 di Serie A superavano questo minutaggio; nella stagione 2015/16 si toccava quota 5. Forse qualcosa sta cambiando per davvero, e Chiesa può essere individuato e percepito e raccontato come un esempio virtuoso, come un vero e proprio benchmark, nonostante la sua storia sia appena agli inizi e il suo gioco non sia privo di punti deboli.