L’anno del Faraone

Le tappe fondamentali dell'annata migliore nella carriera di Mohamed Salah.

Quello realizzato al Brighton è stato il quarantaquattresimo gol stagionale di Mohamed Salah, il trentaduesimo in Premier League. Una rete utile a far cadere un più che discreto numero di primati: nessuno prima d’ora aveva mai segnato tanto nella storia del massimo campionato inglese (superato il precedente primato di 31 appartenente a Suarez, Shearer e Cristiano Ronaldo, diventando l’ottavo giocatore di sempre a superare quota 30), così come nessuno era mai andato a segno contro 17 squadre diverse (in 23 gare e con una certa familiarità con le “ripetute”: un poker e cinque doppiette a referto) nella stessa stagione. L’egiziano, inoltre, è diventato il primo giocatore africano di sempre a realizzare più di 30 reti in Premier, oltre che il primo a superare quota 40 per una squadra inglese dal 2007/2008 e il terzo a farlo con la maglia del Liverpool (dopo Roger Hunt nel 1961/62 e Ian Rush nel 1983/84 e 1986/87), risultando comunque il più veloce a superare tale soglia con i Reds.

Dal gol al Watford alla prima giornata a quello contro il Brighton della trentottesima: in mezzo 32 partite e 30 reti alla media di una ogni 91 minuti. Questa la Premier League 2017/2018 di Momo Salah

Paradossalmente, però, per capire e misurare il tipo di impatto che l’ex romanista ha avuto sul campionato più importante del mondo, non bisogna necessariamente riferirsi ai numeri, alle statistiche, ai premi individuali che ha monopolizzato. In un’intervista rilasciata qualche settimana fa a ESPN, lo stesso allenatore del Brighton Chris Hughton ha chiarito questo concetto: «Non credo ci fosse qualcuno che non si aspettasse una stagione buona da parte sua: è sempre stato un ottimo giocatore e avrebbe giocato in una squadra adatta al suo stile di gioco. Quello che ha fatto, però, è stato assolutamente eccezionale. Quando, ad esempio, ha mancato quell’occasione contro lo Stoke tutti si sono meravigliati proprio a causa del livello che aveva raggiunto e delle aspettative che aveva generato». Il 2017/2018, quindi, è stato consacrato all’insegna di un continuo “vediamo cosa ha fatto Salah questo fine settimana”, nella tranquillità della ripetizione dell’ history in the making.

Per questo più che sulla quantità dei gol bisognerebbe concentrarsi sulla qualità degli stessi: alcuni, più di altri, sono particolarmente adatti a capire come Salah sia riuscito a rimodulare parzialmente il proprio stile di gioco in modo da adattarsi fin da subito ad un campionato profondamente diverso da quello italiano, implementando una serie di skills offensive che gli hanno permesso di risultare determinante anche in un contesto tecnico in cui le sue caratteristiche di base (esplosività nei primi metri ed allungo in campo aperto) avrebbero potuto relegarlo al ruolo di “uno dei tanti”. In tal senso, quello che ha maggiormente colpito del numero 11 nel suo anno di grazia, è stato il suo gioco off the ball e la lettura anticipata delle singole situazioni, con numerosi inserimenti dal lato debole effettuati sempre nei modi e nei tempi corretti talvolta ovviando anche ai suoi limiti fisici, come nel caso del gol al Leicester realizzato addirittura di testa:

Del resto il ribaltamento del fronte del gioco dopo il sovraccarico in zona palla è uno dei principi cardine del playbook di Klopp, estremizzato ancor di più in presenza di un tridente offensivo in cui ciascun elemento si è dimostrato perfettamente complementare all’altro. In questo pezzo su Undici Jacopo Azzolini ha scritto che «Salah, Firmino e Mané si completano tra loro alla perfezione con grande armonia di movimenti, in cui ognuno sa sempre dov’è e cosa fa il compagno. Mai effettuano il medesimo movimento, c’è costantemente uno che viene incontro (spesso Firmino, più capace a giocare spalle alla porta e a proteggere palla) mentre un compagno va subito ad aggredire la profondità»: spesso l’ultimo anello della catena è stato proprio l’egiziano, semplicemente letale quando si è trattato di inserirsi tra il terzino e il centrale di riferimento, dettando il tempo del passaggio in verticale. La rete a Wembley contro il Tottenham, al netto di una conclusione non proprio pulitissima, spiega più di tante parole:

Altro merito di Salah, inoltre, è stato quello di intuire fin da subito che in un calcio ad alti ritmi come quello inglese la fase di non possesso fosse importante tanto quanto quella di possesso, andando di fatto a nozze con i principi del gegenpressing e raccogliendo molto più di quanto effettivamente seminato in termini realizzativi: imparando a seguire sempre lo sviluppo dell’azione, sono stati tantissimi i gol segnati forzando l’errore del portatore di palla avversario nella propria trequarti o aggredendo le seconde palle fino al limite dell’area di rigore.

Che è esattamente ciò che è accaduto in occasione della rete contro il Chelsea ad Anfield

Ma non solo. Essendo il Liverpool attuale una squadra in grado di interpretare più spartiti dal punto di vista difensivo (si veda, in tal senso, la gara di ritorno dei quarti di Champions League contro il City di Guardiola) in funzione di un recupero della palla il più efficace e rapido possibile indipendentemente dall’altezza del baricentro, i contropiede in situazione di parità o superiorità numerica sembravano quasi cuciti su misura per esaltare le caratteristiche del dinamico trio in fase di transizione.

Quando, poi, ci si mette anche la difesa del West Ham… 

Dal punto di vista prettamente tecnico, poi, Salah si è dimostrato un cubo di Rubik praticamente insolubile. E se all’inizio poteva non esserci l’esatta contezza del meteorite che stava per abbattersi sulla Premier (entrando in dicembre i gol complessivi in tutte le competizioni ammontavano a 17 in 21 gare), con il passare delle partite la sensazione dell’ineluttabilità continuava ad essere quella prevalente: come se i difensori avversari, all’inizio sorpresi dalle qualità del nuovo arrivato, sapessero perfettamente a cosa stessero settimanalmente andando incontro, senza per questo trovare le giuste contromisure. Ammesso che ce ne fossero.

Il gol del pareggio contro il Burnley è la perfetta sintesi di come, nei primi mesi della stagione, I difensori della Premier League non sapessero cosa aspettarsi da Salah, pagando dazio praticamente in ogni situazione: in questo caso all’egiziano viene addirittura concesso di controllare un lancio lungo, lasciandogli lo spazio per preparare la conclusione a incrociare con il piede forte 

Non si spiegherebbero, altrimenti, i tanti momenti “messianici” nell’arco della stagione culminati nella quaterna al Watford del 17 marzo in totale delirio di onnipotenza:

A 0:03 Salah riserva a Britos lo stesso trattamento riservato a Boateng da Messi; a 1:04 quasi non tocca il terreno mentre ridicolizza l’intera difesa degli Hornets

Non deve quindi stupire che in un simile contesto Salah abbia sviluppato dei notevolissimi istinti da prima punta (il conversion rate si è attestato sul 30%) che si sono aggiunti al già noto campionario di soluzioni  con un mancino più prensile ed efficace che mai. Delle 32 reti in campionato ben 24 sono state realizzate con il piede sinistro (shot accuracy a un’irreale 65%) sfruttato in ogni sua singola parte: interno a giro sul palo lungo (vs Southampton), collo esterno in diagonale (vs West Ham), collo pieno (vs Stoke), tocco sotto a scavalcare il portiere, subito diventato nuovo marchio di fabbrica(vs WBA).

Il movimento preparatorio al secondo gol contro il Leicester ad Anfield dovrebbe appartenere a un centravanti di 1.85 e 90 kg, non ad un esterno offensivo che non arriva a pesarne 70

E poi c’è stato IL gol. Quello che ha racchiuso il senso di tutto nonostante sia stato uno dei primi in ordine di tempo. Nella fuga solitaria di quasi 80 metri in campo aperto contro un Arsenal sbilanciato e disperatissimo, era racchiusa tutta la manifesta superiorità di un singolo giocatore nei confronti del resto del mondo: vista dal tunnel di ingresso negli spogliatoi sembrava una di quelle gag accelerate tratte direttamente dal Benny Hill Show, con il protagonista inseguito per ore da chiunque senza poter essere preso mai. Una sorta di manifesto ideologico e pratico di quello che sarebbe stato nei nove mesi successivi sui campi di tutta Europa:

«Chiunque raggiunga risultati del genere sa perfettamente che la stagione successiva tutti saranno ad attenderlo al varco. La gente potrebbe uscirsene in qualsiasi momento con frasi del tipo “se si ferma Salah si ferma il Liverpool”. Bisogna sempre cercare di migliorarsi perché i tuoi avversari certamente faranno altrettanto: e non lo si può fare se non si è in grado di aggiungere un paio di cose al tuo repertorio». In questa intervista di Ian Rush alla ESPN dello scorso marzo, c’è molto di quel che attende Salah ben oltre la finale di Kiev e un Mondiale da vivere da protagonista: a 26 anni ancora da compiere e al netto delle suggestioni da “one season wonder”, la percezione è quella di un giocatore con ulteriori margini di miglioramento e dai limiti potenzialmente inesplorati.

Rispetto a quello che avevamo imparato a conoscere tra Firenze e Roma parliamo di un Salah diverso, non necessariamente più forte, certamente più completo ed efficace in termini di impatto sulle prestazioni di una squadra (primo giocatore della Premier a essere stato direttamente coinvolto in oltre 50 gol in tutte le competizione) che sembra essere stata costruita per aderire perfettamente alle sue caratteristiche vecchie e nuove. In realtà c’è molto altro e molto di più, in un do ut des reciproco che Klopp ha rivelato essere proiettato nel tempo: «Ha giocato in modo eccezionale per tutta la stagione ma è abbastanza giovane e ha abbastanza potenziale per migliorare ancora. Si tratta di una buona notizia per noi e per lui: c’è ancora del lavoro da fare e ne sono davvero felice. Lo vuole anche lui ed è già focalizzato sui prossimi obiettivi. Spetterà a me mettere tutto insieme».