I miracolati del Mondiale

Quattro anni fa erano le rivelazioni del torneo brasiliano: dove sono finiti?

Per entrare nella storia di un Mondiale può bastare un gol, o una mano aperta che toglie il pallone dall’incrocio dei pali, e persino uno sguardo spiritato. Il difficile, però, arriva dopo, quando bisogna confermarsi su alti livelli. Per questo è sempre rischioso muoversi sul mercato durante la Coppa del mondo. Troppo alto il rischio di trovarsi a strapagare un giocatore, troppo basse le probabilità che il suo rendimento resti constante anche al di fuori di una competizione in cui l’emotività gioca un ruolo fondamentale. Un concetto che Monchi ha eletto a pilastro su cui costruire il suo “metodo”. D’altra parte, a quattro anni di distanza, basta misurare la strada che hanno fatto alcune delle rivelazioni di Brasile 2014. Perché per un James Rodriguez che ce l’ha fatta, c’è un folto gruppo di talenti che ha deluso e che si è ritrovato a percorrere i sentieri in salita della periferia del calcio.

Proprio come Guillermo Ochoa, il portiere messicano che, dopo due Mondiali passati in panchina, ha vissuto il suo momento di gloria nel 2014. È la sera del 17 giugno quando il Brasile ospita la Tricolor in quello che sembra un match a senso unico. Sembra, appunto. Perché Ochoa compie quattro parate miracolose che inchiodano il risultato sullo 0-0. E mentre qualcuno si prende la briga di modificare la sua pagina Wikipedia definendolo “El gobernante de la humanidad”, Barcellona, Espanyol e Atlético Madrid telefonano al suo agente. Anche perché il portiere, che nel frattempo si ripete agli ottavi contro l’Olanda, non ha rinnovato il suo contratto con l’Ajaccio (retrocesso proprio alla vigilia del Mondiale) e si trova svincolato. Alla fine si accasa al Málaga che, dopo due anni con più bassi che alti, nel 2016 lo cede al Granada. Ma l’esperienza in biancorosso è deludente. E non solo perché gli andalusi chiudono all’ultimo posto con 15 punti di ritardo dalla zona salvezza. Con 82 reti incassate in 38 partite, infatti, Ochoa diventa il portiere più battuto in una singola stagione della Liga, peggiorando il primato stabilito dal Salamanca nel 1995/96.

La serata di grazia di Ochoa contro il Brasile

Non è andata meglio a Divock Origi, attaccante belga cresciuto guardando i filmati di Henry su YouTube, che a 17 anni e 239 giorni finisce in prima pagina grazie a un gol contro la Russia che qualifica i Diavoli Rossi agli ottavi. Una fama così improvvisa da trarre in inganno anche la regina Matilde che, al momento di complimentarsi con l’autore della rete, si confonde e stringe la mano a Lukaku. A luglio il Liverpool lo strappa al Lilla per 10 milioni di sterline, ma Brendan Rodgers decide di lasciarlo ancora un anno in Francia. Non un’idea straordinaria, visto che dopo una stagione fatta di 8 reti in 33 presenze, la punta entra di prepotenza nella flop XI della Ligue 1. Nell’ottobre del 2015 Jurgen Klopp si siede sulla panchina dei Reds e spende parole importati per l’attaccante: «Quando ero al Dortmund ho provato ad acquistarlo ma era troppo costoso. Sono felice di poter lavorare con lui». Ma l’idillio dura poco. Nel suo primo anno in Inghilterra, Origi segna 5 reti in 16 presenze, che diventano 7 in 33 gettoni l’anno successivo. Troppo poco per restare ad Anfield. Così nell’estate del 2017 viene girato in prestito al Wolfsburg. E in Bundesliga le cose sembrano migliorare, almeno all’inizio. Poi, dopo aver segnato 4 gol in 9 presenze, la punta viene risucchiata in un gorgo nero insieme al resto della squadra. E mentre i biancoverdi precipitano in classifica, il belga contribuisce con appena 2 reti in 22 giornate. Per restare nella massima serie c’è bisogno dello spareggio contro l’Holstein Kiel, terzo nella 2.Bundesliga. I tifosi non gradiscono e appendono buste piene di pannolini sporchi davanti al centro sportivo del Wolfsburg. Alla fine Origi sblocca la gara di andata, ma non potrà evitare il primato di giocatore flop in tre campionati diversi.

Il gol di Origi alla Russia

Una parabola non poi così diversa da quella vissuta da Enner Valencia, uno che ha messo a segno tutti e tre i gol dell’Ecuador in Brasile. Dopo il Mondiale il West Ham brucia sul tempo Tottenham, Everton e Newcastle e lo acquista dai messicani del Pachuca per 12 milioni di sterline. L’attaccante risponde segnando 3 gol in 10 partite prima di prendersi una lunga pausa. Anche perché, a marzo, Valencia cammina sopra i cocci di una tazza da tè e si procura una ferita profonda all’alluce che lo tiene fermo per diverse settimane. Dopo un’altra deludente annata con gli Hammers (4 gol in 19 presenze), passa all’Everton, dove Koeman gli concede appena 5 match da titolare prima di far sapere di non voler pagare i 14 milioni di sterline per il suo riscatto. Anche perché nell’ottobre 2016 il suo nome trova di nuovo spazio sui giornali. A Quito, Ecuador e Cile si affrontano nelle qualificazioni ai Mondiali russi. A 10’ dalla fine, Valencia accusa un malore dovuto all’altitudine e chiede il cambio. E mentre l’ambulanza lo trasporta fuori dallo stadio, la polizia ecuadoregna fa sapere che si tratta di una clamorosa messinscena per evitare l’arresto. Sull’attaccante, infatti, pende un mandato di cattura per il mancato pagamento degli alimenti all’ex moglie (poi revocato nel corso del pomeriggio).

Uno dei tre gol di Valencia al Mondiale brasiliano

Sono bastate invece tre presenze in Brasile per far vestire la maglia del Tottenham a DeAndre Yedlin. Dopo un anno in prestito ai Seattle Sounders, da gennaio a giugno 2015 si trasferisce a White Hart Lane, racimolando appena una presenza prima di essere girato in prestito al Sunderland. A dicembre 2016 i biancorossi perdono contro il Watford, e il ragazzo viene sostituito dopo appena 19’. Un colpo che avrebbe steso chiunque, ma DeAndre, si convince di dover cambiare qualcosa. Una ricerca su Google lo porta a un libro, Maximum Achievement di Brian Tracy. Il terzino lo acquista per 10 sterline su Amazon e intravede la svolta. «Avevo capito che dovevo essere più forte mentalmente», ha raccontato, «così ho letto quel libro e fortunatamente tutto è andato per il meglio». Dopo un anno in Championship con il Newcastle, Yedlin è riuscito a confermarsi su buoni livelli anche in Premier League, diventando un elemento importante per la squadra di Benitez. Il Mondiale è stato anche il trampolino di lancio per Charles Aranguiz, centrocampista cileno soprannominato “Cha cha cha” per il ritmo che impone alle partite. Le sue prestazioni con la maglia dell’Internacional gli valgono il titolo di regista più bravo al di fuori dei confini europei. Merito anche di sua madre, Mariana Sandoval, allenatrice di una squadra giovanile che dopo l’addio al calcio del primogenito decide che Charles deve diventare un professionista. Il gol del 2-0 contro la Spagna gli vale la chiamata del Bayer Leverkusen nel 2015, ma dopo appena una settimana in Germania si rompe il tendine d’Achille (nelle due successive stagioni con le aspirine raggranellerà in tutto 53 presenze).

Il gol di Aranguiz alla Spagna campione del mondo in carica

Niente in confronto a quanto fatto vedere dall’Olanda. Dopo aver portato gli Oranje al terzo posto, van Gaal è chiamato a guidare la ricostruzione del Manchester United. Il tecnico decide di portarsi dietro Daley Blind, jolly difensivo che tanto bene aveva fatto in Brasile. Peccato che fra problemi fisici e rendimento al di sotto delle aspettative, il ragazzo non riesca a imporsi fino a finire nella lista degli indesiderati di Mourinho. Proprio come è successo a Memphis Depay, talento a volte strafottente la cui classe scintilla sotto il sole brasiliano. Nel 2015 van Gaal lo porta allo United, e gli consegna la maglia numero 7 di Best e Cantona. Ma i suoi problemi di adattamento a un calcio più fisico e la sua scarsa propensione al ripiegamento difensivo gli rovesciano addosso una pioggia di critiche. Gullit lo bolla come «il peggior acquisto della Premier League nel 2015», mentre a gennaio del 2016 Mourinho lo spedisce al Lione, dove in un anno e mezzo riesce a ricostruire la propria carriera. Senza dimenticare Bruno Martins Indi, il difensore dagli occhi a palla che ha annullato Diego Costa. Le sue ottime prestazioni nella difesa a tre dell’Olanda gli hanno fatto sognare la chiamata da parte di una big che, però, non è mai arrivata. Così, dopo due anni fra alti e bassi al Porto, il centrale è stato protagonista di un biennio allo Stoke City culminato con la retrocessione dei Potters.