Per una nuova idea di nazionalità

Una tendenza in crescita: il 9% dei giocatori del Mondiale sono nati in nazioni diverse da quelle per cui stanno giocando.

È il primo settembre del 2017, il Marocco allenato da Hervé Renard affronta il Mali nel Gruppo C di qualificazione alla Coppa del mondo. La gara finisce 6 a 0 e i gol sono di Hakim Ziyech due volte, Khalid Boutaib, Achraf Hakimi, Faycal Fajr, Mimoun Mahi. Cinque marcatori e un’unica caratteristica comune: nessuno di loro è nato in Marocco. Ziyech e Mahi in Olanda, Boutaib e Fajr in Francia, Hakimi in Spagna. Il Marocco che debutterà domani nella competizione mondiale è composto per il 61% da calciatori provenienti da territori diversi da quello per cui giocano. È il dato più alto della competizione, ma non l’unico: su 32 squadre circa il 9% dei calciatori è figlio di una terra differente ed è arrivato a giocare il Mondiale per necessità o per pressione familiare. Già dieci anni fa Ruud Gullit provò a convincere Sofyan Amrabat – centrocampista del Feyenoord – a scegliere l’Olanda come Nazione da rappresentare, ma ci fu poco da fare: «La famiglia premeva per farlo giocare con il Marocco e non c’era altra scelta». Le Nazionali moderne sono figlie di una diaspora globale. Il Marocco che si qualificava 20 anni fa alla Coppa del Mondo francese, dove trionfò proprio la Francia multiculturale, aveva soltanto due giocatori nati in Europa. Oggi sono 17.

Hervé Renard – tecnico giramondo della Nazionale marocchina – ha detto di non essere spaventato, e che conta lo spirito di squadra, non da dove vengono i ragazzi. «Certo ogni tanto c’è bisogno di fare i discorsi prima in francese e poi in inglese, poi se serve che vengano fatti in arabo ci pensa Mustapha Hadji». Cosa spinge i giocatori a scegliere la Nazionale nord-africana? Le famiglie come abbiamo visto, ma anche calcoli professionali, che li portano a disputare ogni due anni una Coppa d’Africa, rischiando al tempo stesso di perdere gare importanti a livello di club. Ma non è forse anche attraverso il palcoscenico internazionale delle Nazionali che si può approfittare di un vago senso di rivalsa? I genitori di Mimoun Mahi hanno dipinto il momento in cui il proprio figlio ha realizzato il 6 a 0 contro il Mali come «indescrivibile».

Gli highlights della gara tra Marocco e Mali

Alle spalle del Marocco sono in molte ad avere incluso nelle proprie fila giocatori in Nazioni differenti da quelle dei colori che difenderanno. Il Senegal ha il 39% di giocatori nati fuori da territorio adottivo, il Portogallo il 32, la Svizzera il 31 e la Tunisia il 23%. Storie di colonie e colonizzatori. Ma anche storie di scelte complesse come quella di Saman Ghoddos, con la maglia della Svezia e dell’Iran tatuate a metà. Nato a Oxie, area urbana della città di Malmö, Ghoddos è cresciuto in squadre del circondario come Bk Vången, l’Fc Malmö e Limhamn Bunkeflo. Partito dalle serie minori, ha costruito la sua fortuna un pezzo alla volta, lavorando contemporaneamente come operatore di telemarketing per una compagnia telefonica. Arrivato a giocare in Europa League, la sua carriera è stata dipinta dal giallo-blu della Nazionale svedese. Due presenze con rete al debutto al primo tiro nello specchio, ma dopo le amichevoli con Costa d’Avorio e Slovacchia le porte della Nazionale svedese si sono chiuse. «Da piccolo avevo le bandiere di Svezia e Iran sul mio letto. In realtà non pensavo veramente in quale Nazionale avrei giocato, si trattava piuttosto di trovare un club». Quando Queiroz si è accorto della possibilità di convocarlo, e vista la non partecipazione a gare ufficiali con la maglia svedese (Ghoddos ha preso parte soltanto a due amichevoli), per il talento di Malmö è arrivata la chiamata da parte della Nazionale dei suoi genitori. È così che giocherà il Mondiale con la maglia iraniana.

Altra storia, ma che non apparterrà ai Mondiali di Russia, è quella di Leon Bailey. Ala del Leverkusen, giamaicano e atleta a cui interessa molto che la sua carriera prosegua nella maniera migliore possibile. Anche per questo non ha ancora trovato spazio in una Nazionale. Qualcuno in Giamaica non lo apprezza per le pressioni del padre nell’avere un ruolo importante in federazione. Intanto lui ha provato a trovare il modo di farsi convocare nella Nazionale inglese (tramite i nonni adottivi) e in quella tedesca e papà Bailey ha dichiarato di avere anche Malta e Belgio tra le possibili opzioni.

Sono storie che ci mostrano, in particolare nel caso del Marocco, come molti calciatori considerino le Nazioni dei loro genitori un approdo migliore rispetto a quella che hanno sempre chiamato “casa”. Nel caso olandese, una dei Paesi più rappresentati da questa nuova diaspora, c’entra anche il sostrato razzista che in alcuni casi accompagna la crescita di questi ragazzi in zone che li considerano “feccia”. È il caso di Geert Wilders del partito nazionalista Party for Freedom dei Paesi Bassi, solo l’iceberg di un sentimento xenofobo che si sta allargando a macchia d’olio in tutta Europa. Maurice Crul, un professore della Vrije Universiteit di Amsterdam, i cui temi di ricerca sono i figli degli immigrati in Europa, ha detto che l’attuale generazione di giocatori fa parte di quella del post 9/11, è un gruppo che «è diventato consapevole del fatto che la loro religione non è apprezzata».

Gruppi di ragazzi che si sono sempre sentiti ai margini della società Europea, a causa della povertà o della lingua, della loro cultura. Per il vice presidente della Fifa, Vittorio Montagliani, invece «il mondo sta cambiando, l’immigrazione sta cambiando. Ci sono questioni di nazionalità che prendono vita in tutto il mondo. Quindi è un buon momento per dare un’occhiata a come cambierà tutto questo, senza danneggiare l’integrità del gioco». E poi c’è una questione di possibilità, quella che a Ghoddos e ai ragazzi del Marocco è stata data, di poter disputare un Mondiale, un evento unico e che forse non avrebbero mai vissuto senza aver abbracciato la terra di famiglia. In bilico tra opportunità, amore e fede.