L’ultima occasione di Falcao

È finalmente arrivato l'esordio mondiale di quello che sembrava poter essere uno dei più forti attaccanti sudamericani di sempre.
di Federico Raso 19 Giugno 2018 alle 10:29

La notte del 31 agosto 2012 una realtà già sotto gli occhi di tutti diventò ancora più limpida: Radamel Falcao aveva appena finito di demolire il Chelsea con tre reti meravigliose, consegnando all’Atlético Madrid la Supercoppa Europea. Fu il punto più alto di un periodo incredibile, la terza finale europea vinta e decisa dai suoi gol nel giro di due anni tra Porto e Madrid. Dal 2009, l’anno del suo arrivo al Dragão, al 2013, il suo ultimo da colchonero, “el Tigre” aveva segnato 142 gol. La tripletta del Louis II prese forma nel contesto di una prestazione individuale mostruosa, l’ennesima, ma la più esplicativa di quel biennio di onnipotenza, fatto di reti difficili pesantissime, in cui Falcao è stato il miglior centravanti del mondo.

Per questo motivo, quando a fine stagione firmò per il Monaco di Rybolovlev, in molti si chiesero se a ventisette anni fosse stata una scelta oculata rifiutare le offerte dei top club per diventare il centravanti di una neo-promossa dalle grandi ambizioni. Il dubbio lo cancellò dopo mezza stagione un difensore dello Chassalay, squadra di quarta divisione che il Monaco incontrò in Coppa di Francia: una sua entrata lasciò el Tigre a terra, con il legamento crociato anteriore rotto, il momento migliore della propria carriera stroncato sul più bello e senza il Mondiale che avrebbe giocato all’apice della propria forza. La partita contro il Giappone, per Falcao, sarà l’esordio assoluto in una Coppa del mondo: vestendo la maglia della Colombia in Russia non potrà riportare indietro il tempo, ma potrà in un certo senso chiudere il proprio conto in sospeso con il passato.

Il primo gol di Falcao nelle qualificazioni a Russia 2018: un bel colpo di testa per raggiungere il Brasile sull’1-1

Demolire le montagne

Dal giorno dell’infortunio all’inizio di Brasile 2014, passarono quattro mesi e mezzo. In questo lasso di tempo decisamente troppo breve, Falcao si lanciò ugualmente nella propria feroce corsa al Mondiale, ma fu tutto inutile. «A volte gli uomini possono demolire le montagne, altre volte non riescono a fare ciò che desiderano. È il giorno più triste da quando alleno la Colombia», disse un affranto José Pekerman in conferenza stampa, dopo aver comunicato l’elenco dei 23 convocati definitivi per la Coppa del mondo, in cui non appariva il nome di Radamel.

Forse per la sete di un immediato riscatto, o per paura che il tempo, a 28 anni, iniziasse a scorrere troppo in fretta, mise da parte la cautela e decise di accettare sfide ad altissimo tasso di rischio. Come trasferirsi al Manchester United, in pieno caos post-Ferguson, con un margine di errore minimo e senza ancora realmente sapere quanto l’infortunio gli avesse tolto in termini di brillantezza. La risposta a questo quesito la scoprì nel giro di un qualche mese: troppo per poter sostenere il suo calcio fatto di reattività nei movimenti in area e negli spazi, e di sterzate per costruirsi vertiginosi angoli di tiro. Anche il rapporto con il gol, regolato dai suoi mostruosi fondamentali da centravanti, era rimasto vittima di una pessima condizione atletica: in tutta la stagione, segnò soltanto 4 gol in 29 partite. A questo problema Louis Van Gaal pensò di rispondere retrocedendo el Tigre nell’Under 21 dei Red Devils, dando l’ultimo schiaffo alla controfigura di uno dei più letali killer d’area degli ultimi anni.

La stagione seguente Falcao perseverò, riuscendo a trovare l’unico contesto tra i top ancora più complicato nel quale provare a rilanciarsi: il Chelsea, di Mourinho prima e di Hiddink poi, che concluse la Premier League da decimo in classifica. Questo però non influì sulla stagione del colombiano, che a novembre, dopo nove presenze, era già entrato in una spirale di infortuni e ricadute da cui non sarebbe più uscito. Prima che lasciasse definitivamente l’Inghilterra, il Daily Mail lo salutò definendolo un giocatore «dalla reputazione distrutta, con cinque gol segnati in due anni e 22 milioni di sterline in più nelle tasche». Apparentemente, un calciatore finito.

Chiudere il cerchio

Il compito di cancellare due anni di rendimento disastroso, scelte sbagliate e problemi fisici dalla carriera di Radamel Falcao, non preoccupò minimamente Leonardo Jardim, che fin dal giorno in cui Falcao tornò nel Principato lavorò con l’obiettivo di restituire al calcio e al Monaco un giocatore che sembrava perduto. La prima mossa, come racconterà lo stesso allenatore portoghese a Le Figaro, fu costituire insieme al suo staff un piano di lavoro personalizzato per recuperarlo dal punto di vista atletico, pur consapevoli che la reattività di un tempo non sarebbe più tornata. La rigenerazione di Falcao, finito ai margini di entrambe le sue ultime due squadre, doveva necessariamente passare per il recupero di una dimensione di centralità: sia a livello psicologico, tanto che Jardim non risponderà mai a una domanda sul suo centravanti senza specificare che a suo avviso è ancora uno dei migliori attaccanti al mondo, sia a livello tattico, costruendo principalmente sugli esterni un gioco offensivo e atletico, di cui è il catalizzatore. Nel suo primo anno, vinse la Ligue 1 2016/17, su 29 presenze in campionato segnò 21 gol e, mettendone 30 in tutte le competizioni, fissò una media di un gol ogni 98 minuti. Un dejà-vù.

La rete del momentaneo 2-2 nell’amichevole pre Mondiale vinta in rimonta dalla Colombia sulla Francia a Parigi per 3-2

Secondo Jardim, il Falcao di oggi «è meno potente rispetto al suo periodo d’oro, ma compensa questa mancanza con esperienza e senso del gol». Non a caso, nel corso degli anni il suo minutaggio si è ridotto, ma le sue medie realizzative sono rimaste praticamente intatte. Inoltre, anche se la sua carriera è stata segnata da un infortunio al legamento, mantiene una tendenza da injury prone a livello muscolare, come dimostrano i quattro stop già subiti nel solo 2018. Radamel Falcao non è più il giocatore perfetto che abbiamo ammirato sei anni fa, ma il percorso di rinascita attraverso cui è tornato ad essere un grande attaccante ci ha regalato un mese di bonus, in cui proverà a lasciare il segno sia sulla storia della sua selezione che su quella di una carriera che, comunque vada, avrebbe meritato qualcosa di più.

La Federación Colombiana de Fútbol ha presentato la lista definitiva dei 23 convocati a Russia 2018 con un video semplice, ma a suo modo significativo: ogni giocatore annuncia il nome di un compagno, che avrebbe poi fatto lo stesso con un terzo, innescando una catena che si sarebbe chiusa con l’ultimo della lista che presenta il primo. Ad aprire e chiudere questo cerchio c’è proprio Falcao, capitano e uomo attorno a cui ruota emotivamente il gruppo. Così come la struttura circolare del video, el Tigre sta portando a termine anche quella dei suoi ultimi quattro tormentati anni di carriera: dal Mondiale perso nel 2014, all’apice della sua forza, a quello che sta per vivere dopo gli anni più difficili della sua vita da calciatore, di nuovo da protagonista. Un Mondiale che inizia con Colombia-Giappone, e che, con ogni probabilità, sarà il primo e ultimo della carriera di Falcao: non lo vorrà sprecare.

 

Immagini Getty Images
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