Sono vent’anni da “quel” gol di Bergkamp all’Argentina

L'ex Arsenal ha detto in passato che è stato «come risolvere un puzzle».
di Redazione Undici 04 Luglio 2018 alle 11:12

Sono passati 20 anni dal sabato 4 luglio del 1998, Mondiali di Francia: si gioca Olanda-Argentina, valida per i quarti di finale, al Vélodrome  di Marsiglia. Siamo intorno al minuto 89 e il risultato è di 1 a 1, Frank de Boer porta palla nella propria metà campo e poi lascia partire un lancio di sinistro che viaggia altissimo per circa una quarantina di metri. Quando il pallone spiove in area argentina, alle spalle della difesa, a controllarlo c’è Bergkamp che fa tre cose magnifiche, tutte insieme e tutte di destro. Addomestica prima il pallone che sembra cadere direttamente dal cielo, con il piede che attutisce la caduta della sfera e si ferma davanti a lui; poi aspetta che rimbalzi una volta e tocca ancora il pallone mandando fuori giri Ayala. Quando la palla è alle spalle del numero 2 argentino sposta il corpo, si inarca e calcia per anticipare l’uscita di Roa dai pali della porta. Bergkamp riesce a calciare con l’esterno, ed è un insieme di elementi così appagante che può facilmente essere riguardato in loop.

La perfezione è un tema ricorrente di Stillness and Speed, il libro di Bergkamp scritto con David Winner. Un capitolo è intitolato proprio “Deve essere perfetto”, come fosse un suo mantra. «Bene, ti sei prefissato obiettivi e obiettivi. E una volta arrivato, vuoi andare avanti e andare oltre. Continui ad alzare l’asticella e quindi niente è mai abbastanza buono. Tu vuoi la perfezione. Scali una montagna e vuoi quella più alta». Il 4 luglio 1998, Bergkamp ha scalato la montagna più alta in 2,11 secondi – il tempo impiegato da lui per produrre i tre tocchi. «Perfetto», fu anche la descrizione fatta del gol da Ruud Gullit su ITV. Bergkamp ha aggiunto, in un’altra occasione:«Non giochi mai la partita perfetta, ma il momento stesso era, almeno credo, perfetto». L’ex Arsenal ha detto a FourFourTwo che «è stato come risolvere un puzzle. Ho sempre avuto una foto nella mia testa su come sarebbero andate le cose due o tre secondi dopo. Avrei potuto calcolarle. C’è un grandissimo piacere nel fare qualcosa che qualcun altro non può prevedere».

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