Ricordo che una volta ho avuto questa conversazione con un amico: «Se la tua vita dipendesse da un calcio di rigore, a chi lo faresti tirare?». Entrambi non avevamo dubbi: «A Mario Balotelli». Era la stagione 2012/13, ed era sicuramente prima del 3 febbraio 2013. Me lo ricordo perché quella sera, il 3 febbraio, Balotelli esordì con la maglia del Milan contro l’Udinese e al 94’, sul risultato di 1-1, si presentò sul dischetto contro Daniele Padelli. Mentre prendeva la rincorsa ripensai a quella conversazione con il mio amico, e al dramma sportivo che avrei vissuto se avesse sbagliato il suo primo rigore della carriera in un’occasione così speciale, ma poi per fortuna Balotelli segnò.
Mario Balotelli era infallibile nei calci di rigore, si diceva. Era infallibile perché adottava una tecnica particolare, unica. «È una questione di testa. Devi stare calmo e aspettare che il portiere si muova. Se rimane fermo fino alla fine, non riuscirà a parare un pallone tirato negli angoli della porta. Se si muove, lo vedo e tiro dall’altra parte. È impossibile, per lui. Gli unici due modi in cui posso sbagliare un rigore sono se non sono concentrato e se tiro fuori», spiegò in un’intervista a Sports Illustrated. Balotelli sfidava il portiere in una guerra di nervi, e la vinceva sempre. Prendeva la rincorsa, poi rallentava simulando un effetto “rinculo” sulla gamba destra e lì, in quel preciso istante, il portiere avversario si muoveva. A quel punto il gioco era semplice: tirare il pallone dall’altra parte, in maniera quasi svogliata, come in un’esibizione a porta vuota davanti a un gruppo di bambini.
Intorno al secondo minuto del video, il povero portiere dello Sporting Lisbona fa mezzo passo a destra, poi mezzo a sinistra, poi decide di stare fermo e viene ridicolizzato da un tiro che gli passa molto vicino alla mano, ma che non può parare perché ormai è totalmente in controtempo
Solo due portieri non si erano mossi davanti alla finta di Balotelli: il suo compagno di squadra al Manchester City Joe Hart nei quarti di finale di Euro 2012 tra Italia e Inghilterra e Stefano Sorrentino, gran pararigori, in un Milan-Palermo sotto la neve del marzo 2013. Entrambi, però, erano stati comunque battuti da due tiri in cui l’ex Inter aveva dato l’impressione di impegnarsi sul serio, non due appoggi a porta praticamente libera, ma due conclusioni potenti e precise, molto simili tra loro, entrambe vicinissime al palo alla destra del portiere. Mario Balotelli era infallibile nei calci di rigore, poi è arrivato il 22 settembre 2013 e, dopo 21 tiri dal dischetto realizzati su 21 tentativi in carriera, Pepe Reina gliene ha parato uno in un Milan-Napoli vinto dagli azzurri per 2-1 a San Siro.
L’attaccante della Danimarca Nicolai Jørgensen in carriera ha tirato 11 rigori e ne ha sbagliati due. Gli ultimi due, per l’esattezza. Uno nel settembre 2017 in Feyenoord-Ajax 1-4 e l’altro domenica scorsa negli ottavi di finale del Mondiale contro la Croazia. Ha provato a calciare “alla Balotelli”, ma Danijel Subašić è stato in piedi fino all’ultimo e la guerra di nervi l’ha vinta lui, parando con le gambe un tiro a quel punto debole, basso e centrale. Quello di Jørgensen era il quinto rigore della Danimarca, squadra sfavorita che Kasper Schmeichel stava portando ai quarti di finale non si sa bene come, e il suo goffo tentativo, in un momento così delicato della sua carriera e della storia calcistica del suo Paese, mi ha convinto a chiedermi una volta per tutte: perché tirare un rigore “alla Balotelli” se non si ha la personalità di Balotelli?
Anche Eden Hazard usa il “metodo Balotelli”: in carriera ha segnato 41 rigori e ne ha sbagliati sette, ma l’ultimo risale a più di un anno fa
Su internet si trovano molte cose sui rigori: articoli in italiano, articoli in inglese, persino una ricerca accademica. Quasi tutti citano un libro fondamentale, Undici metri. Arte e psicologia del calcio di rigore di Ben Lyttleton (titolo originale Twelve Yards: The art and psychology of the penalty, TEA, 2015). Allora ho parlato direttamente con lui. La prima cosa che mi ha detto è il nome di questa tecnica, che io chiamo “alla Balotelli” ma che in realtà è “GK-Dependent penalties” (rigori che dipendono dal portiere). Quando si sceglie prima dove calciare e si tira lì indipendentemente da cosa fa il portiere, invece, si fa un “GK-Independent penalty” (rigore che non dipende dal portiere). Ben mi ha spiegato che «ci sono studi statistici che dimostrano che i GK-Dependent penalties sono rigori più efficaci dell’altra strategia, che si chiama GK-Independent. Sono però anche più difficili da calciare perché bisogna essere bravi tecnicamente per mirare entrambi gli angoli, ma anche perché richiedono grande freddezza per cambiare all’ultimo la propria decisione. Visto che li possono sbagliare anche i grandi giocatori, sono la combinazione più pura del calcio – inteso come tecnica e nervi – in un solo tiro».
Al di là di tutto quello che si possa pensare su di lui, è innegabile che Mario Balotelli sia bravo tecnicamente e dotato di grande freddezza. Balotelli, in un certo senso, è i suoi rigori. Ma Balotelli – ho pensato – non si è mai trovato a tirarli in un Mondiale o in una fase a eliminazione diretta della Champions League. Allora ho chiesto a Ben se all’aumentare della tensione può diminuire l’efficacia dei GK-Dependent penalty. «Più si va avanti in un Mondiale, più è probabile che i giocatori scelgano rigori GK-Independent. È una strategia molto meno rischiosa per i giocatori che sono nervosi e potrebbero non fidarsi della loro tecnica. I GK-Dependent sono veramente per specialisti. Più è alta la pressione, meno calciatori tireranno con questo metodo», mi ha risposto. E poi ha aggiunto: «Bisogna anche ricordarsi che nelle serie dei rigori a volte vediamo tirare dei calciatori che non sono normalmente dei rigoristi. Non consiglierei a chi non tira frequentemente i rigori di usare il metodo GK-Dependent: serve molto tempo per perfezionarlo ed è rischioso da provare per un neofita».
Ecco, appunto
Insomma, i rigori “alla Balotelli” hanno maggiori probabilità di successo, ma solo a determinate condizioni. Quindi è una strada potenzialmente scivolosissima. Poi, chiacchierando con un altro amico, è venuto fuori un altro punto di vista. Un ribaltamento della chiave di lettura: e i portieri? Se riuscissero a stare in piedi per una frazione di secondo in più, posticipando il tuffo rispetto al tiro senza però perdere efficacia sulle conclusioni angolate, ridurrebbero la percentuale realizzativa dei rigori GK-Dependent? In un certo senso questo già avviene, mi ha spiegato Ben, e non è un caso che i portieri moderni siano sempre più alti ma allo stesso tempo sempre più esplosivi. In più, «ora sempre più portieri usano i dati per l’analisi statistica dei rigori, quindi chi calcia sa che chi ha di fronte conosce le sue caratteristiche. A questo punto bisogna compiere di nuovo la scelta: tirare in maniera casuale o usare il metodo GK-Dependent?».
Per quanto Ben insista nel dire che i rigori sono un fondamentale «da allenare come i putt nel golf prima della Ryder Cup o le seconde di servizio prima di Wimbledon», e non una lotteria (come il ct della Spagna Fernando Hierro dopo la sconfitta con la Russia), è evidente che non esiste la conclusione perfetta, né con il metodo GK-Dependent né con quello GK-Independent. Sbagliare aspettando la mossa del portiere – ha concluso – è però peggio, perché si perde il duello forse più delicato dei calci di rigore, cioè quello mentale, e perché «un portiere che ha appena compiuto una parata metterà molti più dubbi nella testa del tiratore successivo».