La qualità migliore della Juventus

La capacità di essere tante squadre in una sola e di cambiare pelle come nessun'altra big in Europa.

«Oggi la Juventus è la squadra più forte d’Europa». Nell’immediato post vittoria dei bianconeri contro il Manchester United, Marca rilancia uno statement forte, debordante. «Tre vittorie su tre, nove punti e leader del girone. Questa è la Juventus, una squadra che non si stanca di inserirsi tra i favoriti alla vittoria della Champions League. Dopo aver vinto negli stadi più complicati del suo gruppo, la squadra di Allegri, in base alle sensazioni e ai risultati domestici e continentali, appare come la squadra più forte d’Europa». La prova di autorità a Old Trafford ha amplificato la forza della Juventus, cui pure non serviva battere un mesto United per iscriversi tra le migliori del continente. È servito però per certificarne l’attenzione mediatica a livello internazionale, ingrandita ulteriormente dalle difficoltà delle abituali contendenti al titolo europeo: il Real Madrid che cade a pezzi, una lenta decomposizione sottolineata dai fischi dei tifosi pure in una partita vinta; il Barça che balbetta in campionato ed è terrorizzato dall’assenza di Messi; il Bayern che non riesce nemmeno più a dominare in Bundesliga, terreno privilegiato del suo strapotere. Ci sarebbero le “nuove” contendenti, City e Liverpool più il Psg: nessuna di queste, però, ha dalla sua quattro anni di convincenti campagne europee alle spalle.

Il gol vittoria di Dybala

È difficile, al tempo stesso, dire che la Juventus sia la squadra più forte d’Europa. Probabilmente lo è, e in questo ci sono d’aiuto i risultati – i bianconeri sono l’unica formazione imbattuta in stagione tra le big. Ma ha poco senso fare un power ranking in salsa europea, in una competizione in cui bisogna arrivare al meglio nella seconda parte di stagione e in cui contano anche gli aspetti microscopici. Nell’esaltazione, giusta e condivisibile, nei confronti della Juventus corsara a Manchester – quinta trasferta vittoriosa di fila in Champions, una prima volta nella storia bianconera: questo vale ancor di più del gol di Dybala che piega la floscia armata di Mourinho – c’è il controcanto di Mark Ogden su Espn, che ben chiarisce le insidie della competizione: «È stata una vittoria convincente, ma non quel tipo di prestazione che renda la Juventus la principale contendente al titolo. In pochissimi momenti lo United ha rappresentato una minaccia seria, ma le grandi squadre ammazzano la partita e la Juventus, in questo, non ci è riuscita. Occorre qualcosa di speciale per vincere il torneo più importante d’Europa».

Il “ritorno sulla terra” di Ogden serve, giustamente, a inquadrare la situazione con equilibrio: oltre la partita di Old Trafford – dove pure Pogba è andato vicino al gol della beffa, unica grande occasione del Manchester United nata da un errore dei bianconeri – per arrivare al senso generale della Champions, un torneo che non si vince in una serata. Se la Juve è una tra le due-tre favorite, e in questo ci sentiamo di confermarlo, è per quello che ha dimostrato negli anni, non solo nelle ultime tre partite. Arrivare una volta in finale può anche portare con sé un quantitativo di fortuna, arrivarci due volte, in quattro anni, testimonia una maturità che pochissime realtà possono vantare. Ma una maturità da foraggiare costantemente, da dimostrare giorno dopo giorno. Persino minuto dopo minuto, e la finale di Cardiff lo sta a ricordare.

La vittoria a Manchester però dice qualcosa di interessante. La nota Paolo Condò negli studi dopopartita di Sky Sport: «Quando gli avversari la mettono sulla tecnica, la Juve vince di fisico. Se invece gli avversari se la giocano con il fisico, la Juve vince di tecnica». La capacità dei bianconeri di recitare più spartiti nel corso di una stagione, e si potrebbe dire addirittura all’interno della stessa partita, è unica tra le migliori squadre d’Europa. Una squadra come il City deve giocare al meglio delle proprie possibilità, soprattutto tecniche, per vincere; una come il Liverpool deve far ricorso all’intensità, e ancora l’Atlético a una compattezza collettiva. Se squadre di questo tipo incappano in giornate no, perdono uno o due elementi imprescindibili, o semplicemente soffrono le contromisure degli avversari, sono spacciate. La Juventus, invece, può attingere a risorse di vario tipo per risolvere i grovigli di giornata.

Contro una squadra rognosa come lo United, che attende bassa e che si limita ad aspettare l’errore dell’avversario, lo stesso Allegri ha ammesso che c’era un unico modo per piegarne le resistenze: «Mi aspettavo che giocassimo così dal punto di vista tecnico, era l’unico modo per mettere in difficoltà una squadra così fisica». La Juventus, che non viene mai inserita tra le squadre che giocano un calcio “proattivo”, ha interpretato la partita come invece fosse abituata a quel tipo di calcio da anni. Il primo tempo è stato sensazionale, con le cifre che danno l’idea di una gara a senso unico: 67 per cento di possesso contro il 33 degli inglesi, 360 passaggi completati (il 92 per cento del totale) contro appena 136, otto conclusioni contro una.

È un falso mito, quello della Juventus che gioca male o che non sfrutta a dovere la qualità dei suoi giocatori; a proposito di questo è utile ripescare quanto Antonio Corsa scriveva qualche mese fa, che spiega numeri alla mano il tipo di gestione tecnica – e di possibilità di cambiare la stessa: «Allegri è piuttosto intelligente e pratico. Ad inizio stagione (2017/18), ha provato ad impostare una squadra più proattiva e più votata all’attacco, e nelle prime 13 giornate di Serie A ha segnato 2,85 gol a partita. Il problema però è che la Juve era terza in classifica, perché attaccare significa anche concedere. Nelle ultime 16 giornate, perciò, Allegri ha scelto di segnare meno (è sceso a 1,88 gol a partita) e di favorire di più l’equilibrio difensivo della squadra (1 gol subito nelle ultime 20 partite di Serie A e Coppa Italia) ed è risalito fino al primo posto. Questo deve far capire che la coperta è corta, e che – almeno nel nostro campionato – l’equilibrio è tutto».

In sintesi, la forza di Allegri, e della Juventus tutta, è che il tipo di calcio praticato non è né proattivo, né reattivo: è un “ibrido”, che riesce a prendere le peculiarità migliori dell’uno o dell’altro approccio, a seconda delle situazioni di gioco, degli avversari, delle circostanze. Un “cambio di pelle” che nessun’altra squadra, in Europa, è capace di replicare come i bianconeri. Una rarità che è la qualità più preziosa di questa squadra.