Fino alla quinta giornata di Serie A, i 24 minuti disputati da Rodrigo Bentancur lasciavano presagire un’altra annata da comprimario, in piena continuità con un 2017/18 da 25 presenze (ma appena 8 da titolare) e 859 minuti in campo. Nemmeno tre mesi dopo il minutaggio è già arrivato a quota 1421, le presenze sono diventate 19 – di 14 consecutive dal 1’, a partire dallo 0-2 esterno all’Udinese dove ha segnato il suo primo gol in Serie A – e il suo ruolo centrale nella Juventus va ben oltre la necessità di supplire ai cronici problemi fisici di Sami Khedira: l’inserimento in pianta stabile del giovane uruguaiano nell’undici tipo, infatti, è il segnale più evidente del cambio di paradigma resosi necessario per ristrutturare il centrocampo bianconero. A rivelarlo è stato proprio il tecnico livornese alla vigilia della partita contro l’Inter: «In questo momento fa meglio la mezzala piuttosto che il centrale davanti alla difesa, perché da solo fa fatica a gestire i tempi di gioco della squadra: è una cosa su cui deve lavorare e migliorare molto. Però ha già trovato due volte il gol, un dettaglio che fino a poco tempo fa sembrava un’utopia: ha qualità importanti, è migliorato nel tiro, nell’inserimento e nella convinzione, diventando un giocatore importante».
In occasione della gara contro la Fiorentina, Bentancur trova il suo secondo gol in bianconero agendo nominalmente da vice-Pjanic, ma sintetizzando in una singola azione tutte le sue qualità da mezzala a tutto tondo, in grado sia di consolidare il possesso che di farsi valere negli inserimenti senza palla dopo aver trovato i corretti riferimenti tra le linee
La sua trasformazione in centrocampista totale – chiarendo l’equivoco iniziale di un’interpretazione del ruolo di pivote à la Busquets, quel giocatore cioè in grado di far girare l’intero sistema di gioco “scomparendo” all’interno di esso – in grado tanto di supportare Pjanic nella prima costruzione (oltre l’88% di precisione di passaggio su una media di 54 palloni toccati a partita, con 1,4 key passes ogni 90’) quanto di surrogarsi a Khedira come box to box player (garantendo rispetto al tedesco una maggiore partecipazione in fase di non possesso: due tackle e 1,5 palloni intercettati di media a partita), in quella dimensione di corsa verticale e immediata che Allegri richiede ai suoi interni di centrocampo, sono il segno di un’evoluzione del singolo che è andata di pari passo con quella del collettivo, soprattutto in funzione dell’upgrade in ambito europeo.
Le due partite contro lo United, dal punto di vista della prestazione pura, sono state le due migliori della Juventus 2018/19. E sono coincise, non a caso, con le migliori esibizioni del Bentancur bianconero: i dati aggregati delle due partite (75 passaggi di media con un’accuracy che ha sfiorato il 90%) raccontano come il volume di gioco si sia sviluppato essenzialmente nella zona di competenza dell’uruguaiano, che è riuscito a garantire una trasmissione palla ottimale tanto in ampiezza quanto in profondità.
Se l’inserimento di Bentancur nella Juve è stato graduale e progressivo, quello di Fabián Ruiz nel Napoli ha rivestito i crismi dell’immediatezza e della necessità per venire incontro alle esigenze di fluidità di sistema voluta da Carlo Ancelotti e che rappresenta il vero discrimine rispetto al periodo sarriano. E se già ai tempi del Betis Quique Setién aveva intuito come la qualità migliore del classe ’96 fosse quella di saper agire indifferentemente da mezzala e/o trequartista – in una sorta di ibrido tra il giocatore di corsa e inserimento e l’elemento di raccordo tra centrocampo e attacco –, il tecnico emiliano non ha dovuto far altro che completare la trasformazione di Fabián nel giocatore universale tout court, in grado di fare la differenza in un contesto privo di compiti fissi e posizioni rigide: «Parliamo di un grande calciatore» ha detto Ancelotti dopo la partita contro la Roma. «Gioca bene quando parte dalla fascia e anche quando si accentra. Ha tante qualità, è stato un grande acquisto».
Quelle contro Parma e Liverpool sono tra le prime partite stagionali in cui Fabián Ruiz è stato impiegato dal primo minuto e costituiscono la cartina di tornasole della sua centralità nel Napoli attuale. In entrambi i casi, pur partendo da una posizione più esterna rispetto a quella cui sarebbe abituato, è stato sempre pronto ad offrire un’ulteriore soluzione di passaggio (138 palloni toccati in 158 minuti, precisione di passaggio media dell’86%) al terzino e all’interno della catena di riferimento: che sia quella di destra o di sinistra dipende dalla caratteristiche degli avversari e dalla zona che, di volta in volta, Ancelotti sceglie per costruire il gioco. Contro gli emiliani, addirittura, è stato Callejón a lasciare il posto all’ex Betis, certamente più adatto a consolidare il possesso in una partita in cui il pallino del gioco è stato nettamente in mano agli azzurri (67-33 il dato sul possesso palla, 92-20 quello relativo alla precisione nel tocco).
Ruiz è un giocatore duttile, dalla natura marcatamente associativa, adattabile, ricettivo agli stimoli, alle indicazioni e alle proposte del suo allenatore, che si tratti finalizzare un contropiede leggendo con largo anticipo lo spazio da occupare (come nel gol realizzato all’Atalanta), di consolidare il possesso in situazioni di completo e totale controllo del gioco agendo tanto da regista quanto da mezzala (85% di passaggi realizzati su quasi 54 totali di media a partita, più 1,8 passaggi chiave ogni 90 minuti), di surrogarsi come un credibile riferimento tra le linee muovendosi negli half spaces alle spalle del centrocampo avversario. Non si tratta (più) di una mera questione di ruolo, ma di attribuzioni e compiti che variano a seconda di ciò che richiede la partita.
Senza dimenticarsi di attaccare l’area di rigore quando è necessario, come nella rete segnata al Genoa
Come per Bentancur, anche la crescita e la continuità di impiego di Fabián Ruiz sono lo specchio fedele della modernità insita nel loro essere centrocampisti perfettamente adeguati ai tempi, secondo un’interpretazione perfettamente aderente agli standard europei. Del resto, già nel 2013, Jonathan Wilson scriveva sul Guardian che «il calcio è in una progressione continua che non è ciclica né lineare. I ruoli si dividono e si suddividono, talvolta riunendosi in un modo sorprendente».